
Club of Venice – Conferenza plenaria – Belgrado (con partecipazione anche da remoto) 10-11 giugno 2021
Dalla pagina FB di “Rivista italiana di comunicazione pubblica” – Bruxelles, 10.6.2021 h. 19.40 – Si apre a Belgrado, capitale della Serbia, con larga partecipazione da remoto, la prima conferenza plenaria del 2021 del Club of Venice dedicata alla comunicazione istituzionale europea. Dunque una “plenaria” questa volta in un paese candidato, non in un paese membro, con una larga partecipazione istituzionale e professionale. Per parte serba la massima attenzione: i lavori sono aperti dal Presidente della Repubblica Aleksandar VUČIĆ e chiusi dalla prima ministro Ana BRNABIĆ. Per il CDV intervengono in apertura il presidente Stefano Rolando, il segretario generale Vincenzo Le Voci, la responsabile del National Resilience Communications Hub (United Kingdom) Claire Pimm, il segretario generale Public Diplomacy governo greco John Chrisoulakis (anche membro Steering Group del CdV), con 38 relatori provenienti da tutti i paesi euopei e dalle istituzioni europee e internazionali (tra cui OCSE) che aderiscono al CdV.Quattro panel prrincipali di discussione: la comunicazione pubblica in tempo di pandemia; la conferenza sul futuro dell’Europa (che si apre formalmente il 19 giugno); il rapporto tra istituzioni e sistema dei media; l’ulteriore allargamento della UE.
Stefano Rolando (Presidente del Club di Venezia) – Opening Statement
In lingua italiana
Sento di interpretare tutti i membri del Club di Venezia nel salutare e ringraziare a nome di tutti il Presidente della Repubblica Serba Aleksandar Vuĉić , che ci ha fatto l’onore di aprire i lavori di questa sessione.
Il Club di Venezia, dal 1986 a oggi, è cresciuto da 6 a 27 paesi, da 3 rappresentanti di Bruxelles a più di 20, con l’aggiunta di esperti, professori universitari, responsabili di funzioni comunicative di agenzie europee e internazionali, insomma la maggiore comunità professionale della comunicazione istituzionale europea –
Siamo lieti del risultato raggiunto, perseguito dalla lunga preparazione che ha impegnato la Consigliera del Presidente Susanna Vasiljević e il nostro segretario generale Vincenzo Le Voci.
Fin da ora un pensiero di gratitudine va alla Primo Ministro del governo serbo, la Signora Ana Brabić, che si esprimerà nelle conclusioni di domani 11 giugno.
Posso dire che questa altissima attenzione all’interlocuzione con il tavolo di discussione più professionale della comunicazione istituzionale europea – nella sua indipendenza e nella sua informalità, ma al tempo stesso nella sua capacità di non vincolarsi ai limiti procedurali e talvolta anche di contenuto dell’Europa ufficiale – è un segno di apprezzamento che esprime la reputazione “europeistica” che il Presidente della Repubblica Serba ha e che poco fa ci ha testimoniato.
Un evento, quello di oggi, che corona una fase istruttoria che consideriamo interessante e proficua.
Ero a capo del Dipartimento dell’Informazione del Governo italiano al tempo della caduta del muro di Berlino. E avevo lavorato pochi anni prima alla stessa fondazione di questo Club (che prese vita a Venezia perché questa città è da secoli percepita come un patrimonio sconfinato delle culture europee),
Così che dal 1990 il Club si aprì ai rappresentanti di paesi che uscivano dal blocco orientale, molti dei quali anni dopo divennero candidati all’inclusione nell’Unione Europea.
Fu un dialogo difficile nei primi anni. Mancavano alcune esperienze condivise, soprattutto di presa di distanza dalla cultura della propaganda. Ma proprio per questo fu anche un dialogo fruttuoso.
Oggi con sensibilità largamente avvicinate e con un’agenda del rapporto tra criticità e opportunità che – nell’ottica sempre più globale delle nostre cisi – sta diventando una lingua civile comune.
Negli ultimi anni il CdV ha svolto riflessioni in eventi svolti in Turchia, in Tunisia, in Montenegro.
E più volte sui temi migratori che segnano una geopolitica allargata.
Da qui il mio ringraziamento – e di tutto lo Steering Committee – a chi ha lavorato sull’agenda di questi giorni trovando facilmente l’interesse convergente su tre temi:
- la lezione etico-professionale della complessa relazione tra comunicazione e pandemia
- gli auspici e lo sguardo alle potenzialità della conferenza sul futuro dell’Europa, che apre la prima sessione il prossimo 19 giugno
- l’evoluzione del rapporto tra istituzioni, poteri e sistema mediatico nel quadro di un principio che, per esprimerci in sintesi, vede il suo carattere saliente del riconoscimento senza deroghe nello “stato di diritto”.
Dirò solo brevi parole sullo spirito dell’approccio a questi tre temi, che sono tutti connessi al quarto punto della nostra agenda che contiene lo spunto dell’ulteriore allargamento della UE.
Perché il tema dell’allargamento è molto legato:
- alla dinamica della reattività europea contro la crisi sanitaria e sociale;
- ai convincimenti che la conferenza sul futuro dell’Europa sapranno trovare la strada dei popoli, cioè il superamento dei tecnicismi della governance per diventare piattaforme identitarie;
- infine a mettere da parte definitivamente le gravi conflittualità intraeuropee di tutto il ‘900 che hanno reso vera l’intuizione di Eschilo (parliamo del 400 a.C.) secondo cui “la verità è la prima vittima delle guerre”. Siamo in un momento storico – con notizie in questi giorni sui media di tutto il mondo – in cui questo argomento presenta ancora la sua evidenza.
Su pandemia e comunicazione ho lavorato molto durante la crisi, ho scritto tre libri e partecipato a molte discussioni. Fare sintesi è impossibile. Mi limito a tre “titoli”.
- Pandemia e comunicazione. Tutti i paesi hanno fatto errori, ma hanno fatto anche una grande esperienza, hanno dato all’Unione Europea la chance di riorganizzare parametri comuni di uscita dalla crisi. Più alta è stata la domanda sociale interna di “più informazione, più comunicazione scientifica di qualità, più centralità della buona statistica” più la mediazione tra poteri e società ha fatto della crisi una cognizione maturativa. Ma al contrario più la domanda sociale è stata debole e passiva più le istituzioni si sono messe dietro la pericolosa insegna di “non allarmare il popolo” e si è prodotta modesta crescita culturale, paura e negazionismo.
Insomma la comunicazione è il termometro di una qualità partecipativa che vuol dire uscire migliori e non peggiori dalla guerra scatenata da Coronavirus.
L’Unione europea dovrà lavorare molto intensamente per evitare questa dicotomia radicata non solo nei governi ma anche nei popoli. Corollario essenziale è domandarci se, finita la crisi, spariranno dai media anche i virologi e gli infettivologi e la comunicazione scientifica tornerà nel suo ghetto. Questa è una vera scommessa sul futuro della comunicazione pubblica.
La chance è forte. Ma è forte anche la voglia di imporre il “tutto come prima”.
- Conferenza sul futuro dell’Europa. Due brevissime considerazioni. Intanto osservo – anche a seguito di un chiaro documento promosso dal Movimento Europeo (che mi ha segnalato Pier Virgilio Dastoli, che partecipa ai nostri lavori) – che si chiama “futuro dell’Europa” e non “futuro dell’Unione europea”. Questi titoli non si danno per caso. La geopolitica del dopo-pandemia ha bisogno di immaginare un destino europeo generale. Se ne parliamo qui, in un evento promosso in collaborazione con le istituzioni della Serbia, mi pare che sia almeno un’allusione favorevole. E tuttavia non vediamo ancora innestata una marcia comunicativa importante, uno sforzo dei media di “spiegazione” dei cambiamenti in corso.
In sostanza un coinvolgimento più importante della società civile.
- Il rapporto tra informazione, libertà, trasparenza, anti-manipolazione. Esso è un baricentro di qualunque strategia sul futuro dell’Europa. Le condizioni tra i paesi restano ancora disuguali. So il patimento che anche nel mio Paese, l’Italia, alcuni di noi hanno vissuto quando si sapeva che le leggi erano ottime, ma che il rispetto delle leggi ovvero la presenza di fattori “limitanti oggettivamente” non rendevano un buon ordinamento normativo l’unico parametro per vedere concesso il titolo di “paese libero”.
Non mi dilungo perché nei nostri panel ci sono molti specialisti che ci aiuteranno a capire.
Le conclusioni riguardano il senso di marcia della nostra materia – che è anche una disciplina universitaria, un ambito di ricerca, un campo di filosofia del diritto e della politica – che è in evoluzione. Apprezzo che le giovani generazioni abbiano posto la questione della forte spinta ai processi digitali come ineludibili. Ai giovani colleghi dico “d’accordo”. Ma non a considerare la tecnologia come un fine ma come un mezzo. E a pensare che l’evoluzione deve adesso riguardare l’obiettivo “sociale” più che l’obiettivo “social”. Cioè ridurre le distanze, combattere l’analfabetismo funzionale, rendere istituzioni e società un sistema in cui l’accompagnamento a capire dovrebbe contare almeno come il PIL.
Auguro ai nostri lavori il miglior esito e mi felicito con l’amico e collega olandese Erik den Hoedt che ha accolto con favore la nostra proposta, per tanti meriti acquisiti, di essere il nostro vice-presidente.

Club de Venise Réunion plénière – 10-11 juin 2021
Stefano Rolando Président du Club de Venise – Déclaration d’ouverture
Versione française
Je pense interpréter le sentiment de tous les membres du Club de Venise pour remercier, au nom de tous, le Président de la République serbe Aleksandar Vuĉić, qui nous a fait l’honneur d’ouvrir les travaux de cette session.
De 1986 à aujourd’hui le Club de Venise est passé de 6 à 27 pays, de 3 représentants bruxellois à plus de 20, auxquels s’ajoutent des experts, professeurs d’université, responsables des fonctions de communication; en bref, la plus grande communauté professionnelle de la communication institutionnelle européenne.
Nous sommes heureux du résultat obtenu, poursuivi par la longue préparation qui a impliqué la Conseillère du Président Susanna Vasiljević et notre secrétaire général Vincenzo Le Voci.
Une pensée de gratitude va aussi à la Première ministre du gouvernement serbe, Mme Ana Brabić, qui s’exprimera dans les conclusions de demain 11 juin.
Je peux dire que cette très grande attention au dialogue avec la table de discussion la plus professionnelle de la communication institutionnelle européenne – dans son indépendance et son caractère informel, mais en même temps dans sa capacité à ne pas être lié par les limites procédurales de l’Europe officielle – est un signe d’appréciation qui exprime la réputation « pro-européenne » dont jouit le Président de la République serbe.
Cela couronne une phase d’enquête et de préparation que nous jugeons intéressante et rentable.
Lors de la chute du mur de Berlin j’étais à la tête du service d’information du gouvernement italien. J’avais travaillé quelques années plus tôt à la fondation même de ce Club (né à Venise, car cette ville est perçue depuis des siècles comme un héritage sans limite des cultures européennes).
De sorte qu’à partir de 1990, le Club s’est ouvert aux représentants des pays sortant du bloc de l’Est, dont beaucoup sont devenus des années plus tard candidats à l’adhésion à l’Union européenne.
C’était un dialogue difficile dans les premières années. Certaines expériences partagées manquaient, notamment de se distancer de la culture de la propagande. Mais c’est précisément pour cette raison que ce fut aussi un dialogue fructueux.
Aujourd’hui avec une sensibilité largement approchée et avec un agenda de la relation entre les problèmes critiques et les opportunités qui – dans la perspective de plus en plus globale de notre crise – devient un langage civil commun.
Ces dernières années, le Club a réfléchi aux événements organisés en Turquie, en Tunisie et au Monténégro. Et plusieurs fois sur des questions migratoires qui marquent une géopolitique élargie.
D’où mes remerciements – et de tout le Comité directeur – à ceux qui ont travaillé sur l’ordre du jour de ces journées, et qui ont trouvé facilement un intérêt convergent sur trois questions :
- la leçon éthique-professionnelle des relations complexes entre communication et pandémie ;
- les espoirs et le regard sur le potentiel de la Conférence sur l’avenir de l’Europe, qui ouvre sa première session le 19 juin prochain ;
- l’évolution des relations entre les institutions, les pouvoirs et le système médiatique dans le cadre d’un principe qui, en bref, voit son caractère essentiel dans la «règle de l’Etat droit».
Permettez-moi de dire quelques mots sur l’esprit d’approche de ces trois questions, Elles sont liées au quatrième point de notre ordre du jour qui contient le signal pour le nouvel élargissement de l’UE. Car la question de l’élargissement est intimement liée :
- à la dynamique de réactivité européenne face à la crise sanitaire et sociale ;
- aux convictions que la Conférence sur l’avenir de l’Europe trouvera la voie des peuples, c’est-à-dire dépasser les technicités de la gouvernance pour devenir des plateformes identitaires.
L’important est de mettre définitivement de côté les graves conflits intra-européens de tout le XXe siècle qui ont confirmé l’intuition d’Eschyle (400 ans avant J.C.) selon laquelle «la vérité est la première victime des guerres ». Nous sommes dans un moment d’événements – dans les médias du monde entier – où ce sujet reste toujours d’actualité.
J’ai beaucoup travaillé pendant la crise sur la pandémie et la communication, j’ai écrit trois livres et participé à de nombreuses discussions. Faire une synthèse est impossible. Je me limite à trois “titres”.
- Pandémie et communication. Tous les pays ont fait des erreurs. Mais ils ont eu une super expérience. Ils ont donné à l’Union européenne la possibilité de réorganiser des paramètres communs de sortie de crise. Plus la demande sociale interne pour avoir plus d’informations, plus de communication scientifique de qualité, plus de centralité de bonnes statistiques est élevée, plus la médiation entre pouvoirs et société fait de la crise un savoir mûrissant.
Au contraire, plus la demande sociale est faible et passive, plus les institutions se sont placées derrière le signe dangereux de «ne pas alarmer le peuple» et une croissance culturelle modeste, la peur et le déni se sont produites. Bref, la communication est le thermomètre d’une qualité participative qui signifie sortir mieux et pas pire de la guerre déclenchée par le Coronavirus. L’Union européenne devra travailler très dur pour éviter cette dichotomie enracinée non seulement dans les gouvernements mais aussi dans les peuples. Un corollaire essentiel est de se demander si, une fois la crise passée, les virologues et les médecins spécialistes disparaîtront aussi des médias et la communication scientifique retournera dans son ghetto. C’est un véritable pari sur l’avenir de la communication publique.
La chance est forte. Mais il y a aussi une forte volonté d’imposer «tout comme avant».
- Conférence sur l’avenir de l’Europe. Deux considérations très brèves. En attendant, je note (suite également à un document clair promu par le Mouvement Européen, dont Pier Virgilio Dastoli me vien de parler) qu’il s’appelle «l’avenir de l’Europe » et non «l’avenir de l’Union européenne ». Ces titres ne sont pas donnés par hasard. La géopolitique post-pandémique doit imaginer un destin européen général. Si on en parle ici, dans un événement promu en collaboration avec les institutions serbes, il me semble que c’est au moins une allusion favorable. Et pourtant, on ne voit pas encore s’engager une importante marche de communication, un effort des médias pour «expliquer» les changements en cours. Il s’agit, en substance, d’impliquer de façon plus prégnante la société civile.
- La relation entre information, liberté, transparence, anti-manipulation. C’est un centre de gravité de toute stratégie sur l’avenir de l’Europe. Les conditions entre les pays restent inégales. Je sais la souffrance que même dans mon pays, l’Italie, certains d’entre nous ont vécue quand on savait que les lois étaient excellentes, mais que le respect des lois ou la présence de facteurs “objectivement limitatifs” ne faisaient pas du seul paramètre à accorder le titre de “pays complétement libre dans l’information“.
Je n’irai pas plus loin car dans nos panels il y a beaucoup de spécialistes qui vont nous aider à comprendre.
Les conclusions portent sur l’orientation de notre sujet – qui est aussi une discipline universitaire, un domaine de recherche, un domaine de la philosophie du droit et de la politique – qui évolue. J’apprécie que les jeunes générations ont posé la question de la forte poussée des processus numériques comme incontournable. Aux jeunes collègues, je dis “d’accord”. Mais il ne faut pas considérer la technologie comme une fin, mais comme un moyen. Et dire que l’évolution doit désormais concerner l’objectif «social» plutôt que l’objectif «social-media»; c’est-à-dire réduire les distances, lutter contre l’analphabétisme fonctionnel, faire des institutions et de la société un système dans lequel l’accompagnement pour comprendre devrait compter au moins comme le PIB.
Je souhaite à notre travail les meilleurs résultats.