Paolo Vittorelli (pseudonimo assunto nella lotta clandestina nelle file di Giustizia e Libertà da Raffaello Battino, nato nel 1915 e scomparso nel 2003) è stato un militante di primo piano del Partito d’Azione, redattore capo dell’organo del PdA “L’Italia libera”. Dopo il 1947 ha fatto parte (insieme a Codignola, Calamandrei, Garosci e Faravelli) della ricomposizione socialista di area saragattiana confluendo poi nel PSI nel 1957 (dopo l’anno spartiacque del 1956), primo presidente del Consiglio regionale del Piemonte, poi senatore e deputato socialista e direttore dell’Avanti!, dopo Gaetano Arfè, dal 1976 al 1978.
Ne scrivo perché proprio in quei due anni (e anche successivamente) ho intensamente collaborato al quotidiano socialista, avendo con Vittorelli continuità di interlocuzione; e, in particolare, ho scritto al tempo un libro (Caro Avanti! – Mille lettere dall’interno del PSI, Marsilio; con le introduzioni di Bettino Craxi e Claudio Signorile) per raccontare l’analisi (tematica, sociologica e politica) del dibattito interno della base socialista (svoltosi proprio sulle pagine dell’Avanti! diretto da Vittorelli) nella grande trasformazione del Psi dal 1976 (anno dell’avvento di Craxi) al 1978 (anno del congresso di Torino).
Ritrovo oggi la copia del libro che Vittorelli mi diede nel ’98 (ricordo ancora dopo una lunga conversazione su Alessandria d’Egitto, città di nascita sua e di mia nonna materna) pubblicato dalla Nuova Italia, “L’età della speranza – Testimonianza e ricordi del Partito d’Azione”, con introduzione di Paolo Bagnoli, che è redatto in forma di diario (dall’Egitto – con importante periodo al Cairo, in cui fondò la sezione del Partito d’Azione – all’Europa, tra la Francia dei fratelli Rosselli e l’Italia della Resistenza).
Il libro è ancora recuperabile in rete ed è di grande interesse per l’analisi soprattutto del confronto tra la componente al tempo denominata “democratica”, che poi sarà repubblicana, guidata da La Malfa, e la componente (che faceva riferimento a Lussu e a Lombardi) che prefigurava un progetto socialista. Conflitti che appartengono a un racconto che mantiene sempre i toni alti e che comunque è un contributo originale a comprendere come quell’esperienza produsse “tracce indelebili” sull’Italia che si posizionava nella storia del mondo nel dopoguerra e segnatamente attorno alle elezioni del 1948.
Una sbirciatina alle ultime parole, quando ancora il diario è sospeso “tra speranza e disperazione“.
“Mi ancorai all’unico fermo convincimento che mi animasse ancora, quali che fossero state le pieghe che avrebbe preso la mia vita, a quel motto emblematico che un oscuro partigiano giellista delle Langhe aveva coniato poco tempo prima, profetando quella che sarebbe stata la nostra sorte comune: ‘Per la nostra generazione non c’è congedo’ “.