Presentazione del libro di Enrico Passaro,capo del Cerimoniale di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, “Non facciamo cerimonie!”

Da sinistra: Enrico Passaro, Stefano Rolando, Renato Saccone (prefetto di Milano), Beppe Sala (sindaco di Milano), Angelo M. Perrino (direttore del giornale online Affari italiani), Stefano Buffagni (parlamentare di Milano), Piercarla Delpiano (presidente della Fondazione Stelline)

Fondazione Stelline Milano, lunedì 22 novembre 2021 h. 18.00

Questo testo [1]

Intervento di Stefano Rolando [2]

Enrico Passaro entrò in Amministrazione, come me, nel 1985, lui al Tesoro io alla Presidenza del Consiglio dei Ministri alla guida allora di una direzione generale competente in materia di informazione, editoria e diritto d’autore e, dopo la riforma del 1988, diventata Dipartimento.

Ci rimasi dieci anni e con dieci governi. Anni in cui il rapporto con il Cerimoniale di Palazzo Chigi era strettissimo, anche perché al tempo – nel quadro di funzioni poi molto mutate – eravamo responsabili di una sequenza continua di grandi eventi, in Italia e all’estero, centrati su eventi politico-istituzionali (celebrazioni) e soprattutto sull’immagine culturale, scientifica, artistica, ambientale del Paese.

Dai tempi del prefetto Bottiglieri – che ho ben conosciuto nei primi anni di lavoro a Palazzo Chigi – al lungo e competente governo del settore da parte di Massimo Sgrelli, ho avuto modo di compenetrarmi molto nella complessità di un ufficio che è responsabile delle forme delle istituzioni e delle articolate e connesse relazioni.

Ma come scrive lo stesso Massimo Sgrelli nella prefazione al libro di Enrico Passaro, suo successore, parlando del “professionista delle forme pubbliche”, dice che le “forme pubbliche non sono formalismi”, perché infatti – come si vede in tutta l’anedottica – esse sono l’interpretazione nelle forme della rappresentazione di questioni di sostanza.

Per quanto mi riguarda da quegli anni mi dedico a dare carattere professionale e disciplinare alla ”comunicazione pubblica” (gli ultimi venti anni di ruolo nell’ambito universitario) e naturalmente considero che le competenze degli uffici del Cerimoniale facciano parte di diritto di questo settore.

Infatti la comunicazione pubblica in se stessa più che una professione o una disciplina monolitica, è piuttosto una cornice tematica che contiene elementi diversi, sia per le fonti, sia per le funzioni, sia per le tecniche.

La comunicazione sociale, parte da soggetti appunto sociali (associativi, rappresentativi, eccetera) per esprimere richiesta di diritti e affermazione di valori.

La comunicazione politica – di cui la fonte principale è quella dei partiti e dei movimenti che attuano i principi stabiliti dall’art. 49 della Costituzione – deve narrare ipotesi di governo dei problemi, visione degli indirizzi, soprattutto proposte per ottenere consenso e rappresentanza. Così potendo dare le gambe per trasformare bisogni in diritti. Grazie a quel consenso la politica esprime responsabilità istituzionali pro-tempore, che danno voce alle istituzioni.

Ma che hanno anche responsabilità comunicative, quindi voce propria, attraverso una complessa struttura che si interfaccia alla società. La comunicazione istituzionale è questa voce. A sua volta oggi declinata in molti specialismi (Crisi ed emergenza/ Public diplomacy/ Public Branding / Comunicazione statistica / Contrasto fake news / eccetera).

Si capisce bene che considerando il Cerimoniale come un linguaggio organizzativo e relazionale, esso vada considerato come un ambito specialistico proprio della comunicazione istituzionale. Ma fortemente relazionato con questioni sia politiche (la natura della democrazia decidente) che sociali (il fine ultimo dell’azione pubblica).  

I tre settori naturalmente convergono e di frequente anche confliggono. Un conflitto naturale che è parte della dinamica stessa del dibattito pubblico e delle regole della democrazia.

Anche se va detto che uno dei fattori di crisi che si esprime da molto tempo e che la pandemia ha messo in ulteriore rilievo è il processo per cui la comunicazione politica, soprattutto nel caso italiano per crescita dei suoi problemi di visibilità, ha teso a marginalizzare la comunicazione istituzionale. Anche se le funzioni del Cerimoniale, rispetto ad altre funzioni, sono rimaste più al riparo da questa tracimazione, pur  non essendo mai esenti da rischi.

Solo per fare un esempio, tutti ricordano il caso recente avvenuto ad Ankara, il 7 aprile di quest’anno, il cosiddetto scandalo del sofá che ha visto la presidente della Commissione europea, la signora Ursula von der Leyen, in un esplicito disagio istituzionale e, si è detto, anche in quanto donna, costretta ad assistere seduta su un divano separato alla discussione faccia a faccia tra il presidente del Consiglio europeo Charles Michel e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Quando aveva immaginato un pari trattamento delle condizioni di dialogo. E’ evidente che le forme organizzative di quell’incontro erano state trattate dai rispettivi cerimoniali. Ma nel quadro di divergenti opinioni circa il pari ordinamento di Consiglio e Commissione UE, tenuto conto che per parte di Bruxelles il cerimoniale implicato nella trattativa era stato quello del Consiglio. Dunque apparentemente Erdogan non avrebbe imposto una sua regola misogina o umiliante. Ma resta evidente che un politico di quel livello deve anche vivere le situazioni e porsi nella capacità di valutare modifiche all’istante di una regola di cerimoniale che implichi problemi. Per esempio, vedendo il disagio della presidente della Commissione, avrebbe potuto trasferirsi in modo sdrammatizzato sullo stesso sofà dove si trovava relegata la signora von der Leyen dicendo che si sentiva più a suo agio così. Siccome non l’ha fatto vuole anche dire che quella condizione discriminante non lo ha turbato molto.

Ankara, 7 aprile 2021

Tornando alla complessità e originalità delle principali funzioni del Cerimoniale, provo qui ad annotare alcuni punti, che spesso vengono ridotti all’idea che tale Ufficio si limiti ad assegnare posti e precedenze negli eventi, mentre esso – complessivamente – è custode dei profili di cultura specifica di ogni istituzione ed è quindi ambito di tutela e gestione sia di profili simbolici che di garanzie relazionali.

Il Cerimoniale, primariamente, è lo strumento che assolve ad essenziali aspetti organizzativi nel quadro di una funzione strategica: la relazionalità. Tenendo conto della difficoltà della cultura laica e istituzionale di gareggiare rispetto all’estetica e alla emozionalità delle forme liturgiche religiose. Dunque gareggiando in precisione e adesione ai valori simbolici. Esso è dunque strumento di precisione in ordine alla rappresentazione della gerarchia. Incarna un codice di prevenzione rispetto alle conflittualità. Esprime in generale il linguaggio di una cultura amministrativa: sia il carattere della “forza” (attenzione in democrazia repubblicana a non sfiorare gli eccessi di militarismo), sia il rapporto tra solennità e sdrammatizzazione. Ovviamente – soprattutto in grandi o importanti istituzioni interpreta la cultura di comunicazione simbolica della figura che protempore incarna quell’istituzione (e questo vale per lo Stato, per le Regioni, per i Comuni). E ancora traduce alcune finalità di legittime politiche di immagine e modula la gamma dei contesti compresi tra l’ufficialità e l’ufficiosità.

Nel libro di Enrico Passaro (3) – in forma colloquiale e descrittiva – ci sono molti spunti che si riferiscono a tutti questi aspetti. Una lettura consigliabile perché essi permettono di avere le idee più chiare quando accadono eventi che non si se attribuire alla sostanza della politica o alla forma dei profili di cerimoniale.

L’esperienza del lavoro nelle istituzioni consente naturalmente una interessante casistica attorno gli aspetti lineari, ma anche attorno agli aspetti controversi del rapporto tra progetto e gestione delle incombenze del Cerimoniale.

Il cerimoniale può essere anche trasgredito, al più alto livello di chi rappresenta l’istituzione, profilando situazioni che possono risultare imbarazzanti o, al contrario, generando benefici di immagine e relazionale, tanto nei commenti dei presenti quanto per gli effetti mediatici.


[1] Testo integrale originariamente predisposto. Poi esposto in forme abbreviata per dar posto ad una aneddotica di esempi di alto riferimento istituzionale connessi all’attuazione ma anche all’infrazione del cerimoniale, spesso nella generazione di effetti positivi.  

[2] Dal 2001, professore di Comunicazione pubblica e politica all’Università IULM di Milano. Per oltre 20 anni prima dirigente della Rai, direttore generale dell’Istituto Luce e, dal 1985 al 1995, direttore generale e capo Dipartimento Informazione ed Editoria alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

(3) Editoriale Scientifica, 2021.

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