Articolo pubblicato sul giornale online L’Indro (6.12.2021) – https://lindro.it/controllo-istituzionale-sullinformazione-della-pandemia-dibattito-agli-albori/
Stefano Rolando
Una settimana dopo la posizione presa qui sull’avvio di un dibattito naturalmente controverso (l’ipotetico controllo istituzionale sull’informazione riguardante la pandemia) si registra che il tema ha, adesso, un suo percorso.
L’avevamo trattato in forma pacata ma avvertendo sul risvolto piuttosto dirompente[1]. Ora le voci in campo – quasi sempre le stesse, intellettuali (per lo più filosofi), scrittori, medici (in particolare dei settori coinvolti) e naturalmente giornalisti (ben inteso tutti al maschile e al femminile), raramente studiosi di scienze della comunicazione e stranamente anche ben pochi giuristi – prendono posizione.
Questa sera intercetto un medico (il prof. Raffaele Bruno infettivologo del S. Matteo di Pavia) che – di fronte alla fermezza di Umberto Galimberti che chiede ormai nettamente di discriminare i no vax non dando più loro il diritto di parola sui media – mantiene il principio di voler e dover “curare tutti”. Quindi non estendendo la discriminazione ai reparti di cura; anche se l’obiezione è che il costo di un giorno di terapia intensiva superiore a 1.500€ di chi è principalmente lì per causa sua va in conto ai contribuenti.
La temperatura sale quando lo stesso medico ammette che in terapia intensiva grave l’85% risulta non vaccinato.
Mentana lancia la posizione no ai novax tra i direttori delle testate
Chi ha seguito altri organi di stampa o del sistema audiovisivo coglie insomma che, al di là della forma della perorazione iniziale del sen. Mario Monti (sulla quale lui stesso ha fatto un po’ marcia indietro, ma lo scopo era di lanciare il sasso nello stagno e il sasso sta facendo il suo lavoro), cominciano ad emergere opinioni più nette. Questa sera, ad esempio, ancora restando sulla 7 (che tuttavia consacra moltissimo tempo televisivo ai temi della pandemia), il direttore del TG della rete, Enrico Mentana, conferma di agire in forma discriminante: no al diritto di parola per i negazionisti del genere “terrapiattista”, cioè con evidenti inverosimiglianze scientifiche. L’edizione di Repubblica di domenica, dunque ieri mattina, aveva già dato una pagina intera a Monica Maggioni, direttrice del Tg1 e già presidente della Rai, per dire la stessa cosa in forma netta: “Non si scherza se c’è la vita di mezzo. E’ impossibile mettere sullo stesso piano uno scienziato e uno sciamano”.
La prof. Antonella Viola interviene per chiedere di mantenere il dialogo con gli scettici che esprimono dubbi sulla vaccinazione ma di natura clinica in relazione a loro vere o presunte problematiche di salute generale.
Quindi l’argomento c’è ed è evidente che non ci si può limitare a questo spicchio di dibattito a fronte del pluralismo dei sistemi mediatici e all’ampiezza sovrannazionale della problematica. Allora proviamo a fare qualche altro passo avanti in relazione alla necessità, almeno, di non riferirci a una generalizzazione impossibile. Quella di pensare che per informazione si debba intendere tutto l’insieme della movimentazione delle notizie. Cosa che è evidente ma che pochi dicono tirando qualche conseguenza e continuando a dire piuttosto cose allusive.
Cose molto diverse parlando di informazione
Da una parte c’è una realtà di solito radicata nei territori (geografici e linguistici) di organi di informazione su qualunque vettore – carta, via etere o digitalizzazione – che risponde al criterio che 73 anni fa la Costituzione italiana esprimeva con la parola “stampa”. Cioè organi che poi hanno avuto una disciplina normativa, che configura alcune regole e alcune responsabilità.
Dall’altra parte c’è una realtà che ha la sua straordinarietà proprio nel non rispettare né confini geografici né linguistici. E di avere in particolare quasi eliminato la distinzione tra comunicazione e informazione.
Cioè prima abolendo il profilo delle “testate”, poi avendo creato contenitori di scambio in cui chiunque può essere “fonte” e infine eliminando sostanzialmente una vera e propria responsabilità professionale in ordine alla selezione delle notizie o delle opinioni che possono anche non contenere “notizie” ma contenere comunque elementi di orientamento dell’opinione altrui, in particolare se collocati in contenitori esposti a estensione virale.
Si potrebbe – sulla base di questa basilare ovvietà – immaginare che se un governo – per esempio quello italiano – immaginasse di fare un provvedimento di inibizione al trattamento di opinioni circolanti su media, soprattutto quelli che rientrano correttamente nello schema coperto da forme di normazione regolamentativa e quindi salvaguardati da un articolo inequivoco della Costituzione (il 21, per l’esattezza), troverebbe le difficoltà della Corte Costituzionale a tollerare un provvedimento ancorché chiaramente emergenziale ma in sostanza anti-costituzionale.
Si dovrebbe quindi pensare ad altro. Per esempio sollevare in forma di “moral suasion”, da parte del governo e delle istituzioni rappresentative della comunità scientifica, un appello alle responsabilità connesse al diritto di scelta nelle singole redazioni tese a conformarsi a situazioni largamente suffragate dalla comunità scientifica stessa, nazionale e internazionale. Un intervento che potrebbe avere successo per evitare ai media di essere additati come “avversari” di una causa che (dati del Rapporto Censis di questi giorni) al massimo trova adesione nel 6% della popolazione. Percentuale di scarso interesse per organi che vivono sul mercato dell’informazione in condizioni di autosufficienza economica. Così facendo, le istituzioni non si troverebbero nemmeno in conflitto con il sistema professionale dell’informazione a cui resterebbe comunque il diritto finale di scelta di chi firma, di cosa si firma e di chi e perché è soggetto invitato a fornire opinioni anche nel format dell’intervista.
Il nodo più grande
Resta così evidente che il problema di crescente dimensione sarebbe rappresentato dalla rete e da ciò che in essa si agita al di fuori dello schema “di responsabilità” descritto. Quindi escludendo anche le testate giornalistiche online che rispondono ai principi generali dell’ordinamento del sistema dell’informazione.
Punto cruciale è allora quello dei social, cioè dei contenitori in cui la “fonte” individuale che immette opinione è liberata in principio da qualunque appartenenza a ordini, associazioni, regole generali. Fatte salve le leggi ordinarie del proprio paese e quindi passibili di contrasto giudiziario ove accusati di falso, di calunnia, eccetera.
Ma tra il falso o la calunnia e l’insinuazione di elementi di manipolazione di elementi tesi a creare allarmismo, confusione, gravi condizioni di travisamento, corre una gamma di forme comunicative (meme, vignette, battute, casi inventati, simulazioni, riferimenti inesistenti, eccetera) da rendere quei contenitori un problema non gestibile solo confidando nel senso di responsabilità di proprietari e gestori. Essi sono per lo più fuori dai confini nazionali, operano in logiche globalistiche, sono coperti da schermi di protezione che l’ormai più che ventennale cantiere openspace ha rafforzato in modo corrispondente al successo di pubblico e di utenza che è internazionalmente vasto.
E qui si arriva al nodo delle forme di regolamentazione che sono ipoteticamente all’odg da anni, ma che finora hanno avuto esito solo quando gli stessi poteri della rete hanno ritenuto conveniente adottare misure di controllo (come è stato il caso di Twitter nei confronti dell’allora presidente Donald Trump).
E qui dovrebbe cominciare una seria discussione al tempo stesso giuridica, scientifica e politica che – per quel che ci riguarda – avrebbe bisogno di un’ampiezza almeno europea e comunque sovrannazionale per misurare come l’emergenza possa creare condizioni di convivenza con l’eccezionalità del clima di contrasto al virus e non come perenne rischio di vanificazione. Un tema così in agenda della UE, per esempio, porrebbe un ambito negoziale più forte di quello che si è visto in materia di tassazione. Metterebbe questo sistema in condizioni serie di regolare la sua crescita nella piena legittimità di accesso o di fronte ad una delegittimazione sociale di accesso, argomento pesante anche per gli investor pubblicitari.
Si sa che non è una discussione all’ora zero. Me nessuno – tra chi ha responsabilità decisionale – ha avuto finora il coraggio di esplicitare i punti di ricadute possibili.
[1] https://lindro.it/pandemia-entra-in-scena-lipotesi-del-controllo-comunicativo-istituzionale/