Il documentario della Rai, curato da Alessandro Turci, per i cento anni dalla nascita di Giorgio Strehler, andato in onda l’1 gennaio su Rai3 e accessibile su Rai Play – Una nota personale di Stefano Rolando (presidente della Fondazione “Paolo Grassi) al regista.

Il comunicato stampa della Rai
31.12.2021 – Dopo il grande successo al 39mo Torino Film Festival e la presentazione a Milano in collaborazione con Piccolo Teatro di Milano, “Strehler, com’è la notte?”, il documentario girato in occasione dei cento anni dalla nascita di Giorgio Strehler, approda in televisione, sabato primo gennaio alle 15.05 su Rai 3.
Diretto da Alessandro Turci e scritto insieme a Federica Miglio e Antonia Ponti, “Strehler, com’è la notte?” è co-prodotto da Dugong Films e Rai Documentari, in collaborazione con Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa in occasione di Strehler100, del Museo Teatrale Carlo Schmidl Comune di Trieste “Fondo Giorgio Strehler”, dell’Archivio Storico Teatro alla Scala. Un viaggio e una guida nell’immensa galassia strehleriana che accompagna lo spettatore lungo una carriera formidabile, attraverso una miniera di voci e testimonianze inedite provenienti dagli archivi della Rai. Grazie a questi straordinari contributi, la parabola di Giorgio Strehler si proietta nitida e ricca di suggestioni, indispensabili per capire l’uomo e il suo lascito culturale, il tutto intrecciato con performance, interventi e riflessioni sull’arte e sul teatro. Le tante testimonianze sveleranno la parabola del regista: i ricordi d’infanzia, l’impatto nel mondo del teatro, la psicologia dell’uomo, gli allestimenti più celebri, le grandi battaglie del Piccolo, il sodalizio con Paolo Grassi e con alcuni attori e attrici, il fondamentale rapporto di Strehler con i suoi scenografi, lo Strehler privato e l’incredibile simbiosi tra arte e vita. Dalla fondazione del Piccolo Teatro alla rivelazione di Bertolt Brecht, dall’“Arlecchino” al “Così Fan Tutte”, dalla lite con il direttore d’orchestra Von Karajan alle ultime regie mozartiane, il film restituisce uno Strehler emblema del Teatro, grazie alla forza narrativa dell’archivio Rai e alla partecipazione di Ornella Vanoni, Franca Cella, Franca Squarciapino, Andrea Jonasson, Giulia Lazzarini, Pamela Villoresi, Vittoria Crespi Morbio, Franca Tissi, Rosanna Purchia, Ezio Frigerio, Giancarlo Dettori, Stefano Rolando, Maurizio Porro, e Claudio Magris.



Gli appunti di Stefano Rolando ad Alessandro Turci


5.1.2022 – Caro Alessandro, finalmente questa mattina ho visto il tuo “Strehler”. Grazie a Rai Play. Prendo spesso appunti al cinema (con l’handicap del buio) e a teatro (con l’handicap della sfacciataggine). Così che farlo davanti al mio pc mi dà più senso di libertà. E ti trasferisco questi appunti, che accompagnano la mia “prima visione”.
Grande ritmo. Ritmo della storia e della vita. Della volontà e della rappresentazione. La velocità delle sequenze prima dei titoli è un ottimo inizio.
Splendida la rotazione dei documenti. Leggera, volante, danzante. In tutto il lavoro c’è una magnifica rigenerazione fotografica. Mai retorica. Anche le foto più note ritrovano la loro originalità.
La scelta narrativa è meditata e giusta. Lui centrato nella tensione egocentrica che tutti gli riconoscono, ma tutti anche amandola. Amandola perché il teatro is different.
Preziose le donne, tutte, una meglio dell’altra. Una delizia la Villoresi, attrice totale. L’intarsio della Cortese è la cifra del protagonismo eterno delle donne nella vita del teatro. E in quello di Strehler in particolare. Ma anche i giganti del Piccolo hanno il loro meritato posto. Raccontati tutti con discrezione, perché vissero con discrezione. Tutti giganti. Soleri, Carraro, Dettori, Santuccio, Buazzelli. Tutti.
“Com’è la notte, Virginia?”. ”Chiara”. La dice così bene la Lazzarini. Io l’ho detta, in privato, tutta la vita, da quando da ragazzo vidi il Galileo. Come metafora del Piccolo e come sintesi del rapporto tra il teatro (cioè la rappresentazione) e la storia.
Paolo Grassi è un filo più leggero della sua monumentalità di ruolo. E questo va bene, va molto bene in questo documentario. Nel ’68 viene fuori l’impresario civile, il politico, l’istituzione. Giusto dire lì (Maurizio Porro) che Giorgio se la diede a gambe. Sono contento delle brevi cose che hai selezionato del nostro colloquio. Grassi, Strehler, la Vinchi. E il teatro come servizio pubblico. Davvero basta questo.
Il documentario è curatissimo, degno della migliore Rai. E si capisce da quest’opera che cosa abbia in pancia questa azienda per reggere qualunque post-produzione. Dunque il rilancio dei documentari è cosa molto importante. E i meriti di Duilio Giammaria gli dovranno essere riconosciuti. Sono verissimi nei loro interventi Frigerio, Porro. Insomma quella Milano lì. Breve ma giusta la “restituzione” a Tino Scotti ricordato nelle Baruffe. Così come sono importanti tutte le annotazioni triestine (tra cui Claudio Magris).
Forse la verità identitaria la dice Andrea Jonasson (di cui mi colpiscono gli 80 anni ora nel ’22 e che ha giustamente lamentato di essere stata cancellata da Milano e dal Piccolo, dopo Strehler): “Aveva soprattutto una grande malinconia e ad un tratto si metteva a ridere come un pazzo”. “Scontento e smanioso“, dice poco prima la Vanoni, su note simili. Magnifiche le foto eleganti di Andrea giovane. Sincera ora – se posso dirlo, anche commovente – nel racconto delle staffette amorose di Giorgio, le donne che accompagnano l’una con l’altra le eredità amorose di Strehler. Rosita Lupi rispetto alla Vanoni, la Vanoni (qui preziosa) rispetto alla Cortese, la Cortese rispetto a se stessa. Forse altre (la trasformazione di Milva è ben disegnata).


E poi lasciano un segno di eleganza, di metodo, di cura delle eredità, le testimonianze di figure femminili che hanno operato dietro le quinte. Soprattutto a proposito della accurata gestione degli archivi (Franca Tissi). Per la mia foscoliana passione per la manutenzione della memoria è un balsamo rispetto alla sciattezza del nostro tempo. Molto bello come Vittoria Morbio Crespi, Rosanna Purchia e altre tirano le fila magnificamente al Giardino dei ciliegi. E al ruolo di Valentina Cortese. Altri testimoni sarebbero stati ingombranti. Loro (e ancora una volta la Villoresi) fanno respirare il “bianco” di Strehler allo spettatore come se fossero ancora nelle prove. Il passaggio di Pamela Villoresi nel magazzino dei costumi è (a proposito di archivi e memorie) un altro fantastico frammento sul teatro inteso come industria culturale e come, appunto, luogo di organizzazione della memoria. Con la fisicità che la rete (che si vanta di essere oggi l’industria della memoria) non può nemmeno lambire. Una scena che, dico per conoscenza diretta, sarebbe piaciuta moltissimo a Paolo Grassi.
Annoto ancora qualche elemento. Il nesso tra il violino della madre di Giorgio, Alberta Lovric, e le competenze dell’uso della musica come trama strategica del suo teatro. Tanto che la sequenza con Muti è una perla. A me ignota. Come ignota era la scenettina del mio amico Gianni Minà a fianco del compiaciuto Strehler, divertiti da Gino Negri al piano che ironizza sui mostri sacri della musica. Così si introduce anche la indispensabile sequenza della Scala. Con la stupenda intensità della Verrett (anche quando freme tacendo, sommersa dagli applausi) nelle immagini del Macbeth del 1975.
Alla fine, la chiusa. Difficile per chiunque mettere la parola fine a questo capitolo che dal 1947 è una storia vulcanica. Ora è l’uscita di scena.
I passaggi sono accurati. La sintesi estrema facilita. Il contesto politico è accennato. Quello umano anche. L’incidente giudiziario non censurato (con il brillante recupero della spiegazioni in taxi che Giorgio fa a Piero Chiambretti). Ma, in sostanza, è finito un lungo e grande ciclo. E Giorgio Strehler (come forse anche lo stesso Paolo Grassi) non avrebbe mai vissuto come un sopravvissuto.
Applausi.
S.


