

Citoyenneté et partecipation dans les territoires. Le rôle de la communication publique locale dans les différents pays de l’Union européenne
Seminario promosso da Cap Com, CDV, Regione Occitania, Parlamento europeo, Omitato UE Regioni e Citta’.
Toulouse, 16-17 febbraio 2022
Relazione introduttiva
Stefano Rolando
Cari Amici e Colleghi,
i patrocinatori di questo importante seminario (Cap Com e Club di Venezia, con il patrocinio di Regione dell’Occitania, del Parlamento europeo e del Comitato UE Regioni e Citta’) mettono in chiara evidenza il perimetro in cui è collocato il tema della nostra discussione.Le tre istituzioni segnalano la dimensione regionale ed europea. Il Club di Venezia esprime l’informale adesione della comunicazione governativa dei paesi membri della UE (insieme a quelli candidati e a confronto con le istituzioni europee e a molti soggetti e agenzie che agiscono nel processo comunicativo transnazionale europeo). Cap Com – soggetto centrale dell’iniziativa – esprime la dimensione professionale della comunicazione territoriale.
Ringrazio chi ha ritenuto che io potessi dare anche un minimo di contributo introduttivo alla nostra discussione. Yves Charmont e Dominique Megard in primis. Faccio appello al mio percorso, ormai diciamo abbastanza compiuto, solo per dire che può servire aver lavorato negli anni per le città (ho guidato il comitato brand della città di Milano), le regioni (sono stato segretario generale dell’Assemblea legislativa della Regione Lombardia) , le nazioni (almeno la mia per dieci anni direttore generale dell’informazione del governo), le istituzioni europee (in vari contesti e funzioni).
E anche attraverso forme associative e professionali, che si sono molto esercitate sul tema delle interazioni tra processi comunicativi e livelli istituzionali. Quello del Club di Venezia è un terreno di metodo importante. L’informalità, la marginale difesa di interessi, la non decisionalità legata a doveri di rappresentanza. Ma in cambio anche la libertà di dialogo e di confronto; l’attenzione ai processi trasversali; la scelta sempre innovativa dei temi in agenda.
La velocità e la vastità dei cambiamenti
Nei 36 anni di vita del Club abbiamo visto un cambiamento radicale – cioè concettuale, tecnologico, civile – della comunicazione pubblica.• Era verticale (nei dieci anni prima di internet), si è progressivamente orizzontalizzata.• Era schiacciata professionalmente dalla comunicazione di impresa, da cui progressivamente ha assunto una ampia autonomia deontologica e anche tecnica.• Era concentrata sulla riscoperta di due valori (la trasparenza e l’accesso); poi si è sviluppata nel quadro di almeno dieci grandi specialismi, che ne fanno comunità professionali distinte. • In Europa aveva una contraddizione nord-sud e adesso sta crescendo la tematica est-ovest, mentre il nord-sud è diventato questione globale e certamente euro-mediterranea.• Era piuttosto separata tra dinamiche locali e dinamiche nazionali ora – in evoluta globalizzazione – l’Europa (la cui legislazione ha un crescente recepimento automatico nelle legislazioni nazionali) interseca tutti i livelli e ogni livello ha una relazione convergente e conflittuale (in sostanza quindi competitiva) con gli altri. Ma gli ambiti si influenzano tutti di più e stanno in rete insieme.
Potrei andare avanti a lungo con questo modo di sfogliare il tempo e le trasformazioni.
Il punto che considero sempre interessante del lungo percorso di sviluppo della comunicazione pubblica sia nei paesi dell’Europa dell’ovest che dell’est e’ il complesso lavoro di presa di distanza dalla cultura e dalla tecnica della pura “propaganda”.
Segnalo anche un piu’ recente punto fermo del mio pensiero. Che tende a vedere l’immensa centralità della trasformazione tecnologica e ora digitale, continuando tuttavia a vedere la questione tecnologica come un mezzo e non come un fine. Così come continuo a pensare che la vera vitalità in trasformazione di questo settore professionale sia quella di cogliere il cambiamento della domanda sociale. Cioè di contribuire, nella propria percezione diciamo istituzionale a generare o comunque a facilitare risposte in termini di cultura della spiegazione e dell’accompagnamento. Propongo schematicamente alcuni argomenti per dar corpo ma anche per semplificare questa complessità relazionale (senza cui non ha senso parlare solo della comunicazione puramente territoriale).
Il primo argomento riguarda il nesso che la comunicazione pubblica ha con la politica. Parlo quindi delle culture e delle regole che partono dalla società, lottano attorno ad idee e proposte, conquistano infine la rappresentanza democratica. E a quel punto devono convivere – possibilmente orientando e non “occupando” – con il quadro istituzionale e amministrativo che dovrebbe avere i propri binari di conduzione e gestione delle attività comunicative.
Tre brevi annotazioni:
L’origine costituzionale della funzione istituzionaleprevedrebbe in democrazia che lo Stato legiferi, che il Comune renda servizi e che le Regioni svolgano la ben difficile funzione di “integratore”. Peccato che la politica abbia scelto di orientare la sua prima fila di dirigenti a svolgere la politica nazionale; la sua seconda fila a svolgere la politica locale e solo la sua terza fila a svolgere la politica regionale, ovvero intermedia. Non sempre, non dappertutto. Ma questa è stata la tendenza. Fare l’integratore in realtà è il mestiere più innovativo e complicato. Se non lo si fa si aprono conflitti inter-istituzionali.
Nel tempo la politica sembra avere perso, almeno in certi paesi, una certa caratura, un po’ di autorevolezza soprattutto la capacità progettuale. Ha però accentuato la funzione comunicativa. Ha cercato di incrementare la visibilità per proteggersi dal suo diminuito prestigio. E questi due aspetti hanno creato confusione di ruoli, in alcune realtà anche invasione di ruoli che ha sviato molta parte dell’autonomo sviluppo della comunicazione istituzionale.
Si è però creata dal basso una corrente di civismo articolato (associazionismo di scopo, organizzazioni territoriali, esperienze civili legate a culture professionali e di impresa, ambientalismo, eccetera) che riesce anche nei territori a contrastare un po‘ la crescita dell’astensionismo elettorale, che modifica i termini del rapporto tra politica e amministrazioni.
Il secondo argomento riguarda i grandi processi che hanno scosso, turbato, ma anche meglio focalizzato e quindi migliorato la qualità dei processi comunicativi trasversali tra le varie dimensioni accennate.
Abbiamo al riguardo dei veri e propri cantieri aperti in cui si stanno formando nuove generazioni di operatori.
Che qui posso solo toccare per cenni. Ma a cui abbiamo dedicato non poche sessioni di lavoro del CdV oppure a cui abbiamo partecipato unendo l’agenda con altri organismi. Mi riferisco a:- I processi migratori (attorno a cui va ricercato un nuovo equilibrio di interpretazione e di iniziativa tra Europa del nord ed Europa del sud con il coinvolgimento decisivo delle realtà territoriali)- La nuova dialettica città/campagna che è alla base di molti fenomeni di polarizzazione del rapporto attuale con la globalizzazione (salute, ambiente, processi alimentari, energia, traporto, mobilità, eccetera); che tuttavia ha creato conflittualità anche nei processi di comunicazione pubblica (l’esempio maggiore ha riguardato la vicenda della Brexit).- La rivoluzione cognitiva e quella organizzativa che sta procedendo attorno alla realtà della pandemia in atto, dividendo la società tra la passività e la reattività e mettendo in movimento ambiti di riprogettazione che sono rilevanti sia nel campo imprenditoriale, sia nei servizi pubblici sia nel campo della formazione, sia nelle dinamiche promozionali di territori in cui cambiano radicalmente i paradigmi della mobilità e della velocità. – L’immensa trasformazione della comunicazione generazionale che sta segnando separazione di contenuto, di tecnologie e di processo; tagliando a fette anagrafiche le nostre società e inquadrando nuove priorità di attenzione ma anche di conflitto attorno ai diritti di genere, ai processi educativi ai diritti di accesso al mercato del lavoro, eccetera. – E a proposito di questioni generazioni dobbiamo mettere in agenda un tema inaccettabile per tutti i paesi membri dell’Europa: la crescita del numero dei giovani che dai 15 ai 25 anni vivono senza studiare e senza lavorare. Parlo per il mio paese: il dato del 22% è inaccettabile, inaccettabile, inaccettabile.
Per la comunicazione territoriale: la prospettiva del Public Branding
I miei amici di Cap Com sanno che da anni – nel quadro dei nuovi specialismi che originano dalla Comunicazione Pubblica – ritengo che il Public Branding sia una grande opportunità (culturale, professionale e politica) di affrontare il tema della promozione del territorio in modo meno riduttivo, ovvero non solo per ragioni di marketing commerciale ma con attenzione ai temi storici, identitari, narrativi e relazionali.
Per le nostre comunità “vendere” il territorio non è tutto. E molto spesso non è neppure questo il problema principale. Conta avere chiaro che la coesione identitaria (su cui incide il passato e il nuovo cambiamento) chiede di essere governata in equilibrio con i messaggi che riguardano reputazione e attrattività.
La pandemia ci ha insegnato molte cose al riguardo. Che rafforzano l’aspetto sociale e civile della missione, non solo quello tecnico legato agli aspetti di mercato.
Comunicatori pubblici: cambiare parte della formazione e parte della mission
Lra piu che mai abbiamo il dovere di capire i cambiamenti e scrutare il futuro. A fronte di come si combinano le realtà a cui mi sono riferito (la crisi di rappresentanza della politica, la crescita di fenomeni sociali anche nel quadro di processi globali che producono discontinuità) la comunicazione pubblica deve profondamente interrogarsi ponendosi domande sulla sua condizione formativa e sulla sua missione etica e culturale.
Parto dall’approccio che proprio in questi due anni di pandemia mi ha portato a riscrivere tutti i testi e i manuali di comunicazione pubblica e di public branding che nel corso degli anni avevo prodotto.
Anche qui vado solo per cenni.
Dobbiamo esplicitare di più nella definizione della mission della comunicazione pubblica nazionale e territoriale dei nostri paesi la lotta all’analfabetismo funzionale che (classificazioni OCSE) arriva in alcuni paesi a toccare livelli inauditi rispetto alla definizione di “paese civile” che diamo a noi stessi. Significa persone che sanno magari leggere e scrivere ma che non capirebbero neanche una parola di ciò che ci stiamo dicendo in questi due giorni. Questa è la base sociale di ogni e qualunque negazionismo che si sta sviluppando in Europa e nel mondo.
Dobbiamo spingere perché resti in tensione la comunicazione scientifica anche alla fine di questa pandemia.
Dobbiamo investire nell’ambito della relazionalità, una parte delle funzioni che credevamo bastasse svolgere davantia un video, a un pezzo di carta o a un telefono. Parlo proprio del concreto accompagnamento sociale soprattutto in materia di coesione, integrazione e forma di vecchie e nuovedisuguaglianze.4. Dobbiamo costruire nel territorio concrete forme di sussidiarietà comunicativa tra pubblico e privato per razionalizzare un po’ il corso dei processi comunicativi coinvolgendo soggetti beneficiari dell’attuazione di compiti non facilmente delegabili.
Dobbiamo essere attivi nel patto con il sistema educativoper diminuire i tempi di contrasto dell’analfabetismo digitale soprattutto lavorando nel campo della terza età.
E quindi – anche per concludere – e’ sempre piu necessario individuare e depotenziare gli stereotipi, quelli culturali e quelli professionali.
Tutte le volte che ci si propone una trasformazione di percorso bisogna individuare gli stereotipi che abbiamo accumulato per combatterli.
Chiudo con questo breve elenco.
Il quadro operativo non è più verticale. Lo sanno tutti ma una parte del sistema fa finta di dimenticarlo.
Nella cultura di impresa è il marketing che traina la comunicazione (perché abbassa i costi commerciali generali) e la politica ha mutuato questa cultura. Ma le istituzioni devono parlare a tutti e quindi devono ammettere solo un marketing attuativo che si limiti a distinguere e adeguare la produzione dei messaggi.
La politica ha invaso molti campi di azione della comunicazione istituzionale. Non c’è difesa possibile da parte dei funzionari, che sono poco sindacalizzati e molto preoccupati della loro carriere. Dunque bisogna promuovere regole applicabili.
Le stesse regole dovrebbero contenere professionalmente l’eccesso di giornalistizzazione che c’è stato nel settore pubblico, essendo tuttavia quella dei giornalisti una cultura importante per la semplificazione e per ricerca della notiziabilità. 5. L’Europa, infine, sa che la comunicazione istituzionale è un terreno di gelosia delle nazioni. Arriveremo a processi uniformati quando faremo gli Stati Uniti d’Europa. E non basterà perché, almeno per i territori, sarà necessario arrivare anche al federalismo. Ma almeno cominciamo a creare un sostegno concreto da parte dell’Europa a piani di formazione professionale con aiuti concessi a chi ha simili regole di perimetro. Questo sarebbe un passo avanti con benefici enormi in poco tempo.
Il mio tempo è scaduto. Ringrazio per l’ascolto.
Confermo la mia felicità per essere in una città che ho conosciuto da bambino perché una parte della mia famiglia stava a Montpellier e si facevano viaggi istruttivi regionali. E la sentivamo un po’ come “casa nostra” perché la prima cosa che spiegavano era che Tolosa era “una città romana”.
Auguro a questa conferenza di far farealcuni passi avanti per le nostre consapevolezze che sono magari più uniformi di quel che crediamo.