L’Ucraina, la Russia e tutti noi. Venti di guerra, tempeste comunicative.

Oggi un nuovo Eschilo potrebbe anche legittimamente scrivere: “La prima micidiale arma che può generare ma anche mettere fine a una guerra è la reputazione”.

Gli elementi a disposizione permettono un’analisi che aggiunge a ogni indispensabile valutazione geo-militare anche qualche elemento geo-immaginario.

Dalle ore 14 del 28.2.2022 sul giornale online L’Indro

Stefano Rolando [1]

Accanto a carri armati, missili e mitragliatrici – cosa c’è di più brutalmente “materiale”? – una guerra è anche prima, durante e dopo, un’immensa nuvola immateriale che al tempo stesso provoca pari danni ma apre anche le vie di negoziato e di soluzioni.

La massima di Eschilo (scritta nel VI° secolo a.C.) resta sempre l’iscrizione principale del problema. “La prima vittima di una guerra è la verità”. Ma oggi un nuovo Eschilo potrebbe anche legittimamente scrivere “La prima micidiale arma che può generare ma anche mettere fine a una guerra è la reputazione”.

E con questo approccio che vorrei provare a leggere qualche elemento di un dibattito pubblico che giustamente attanaglia il mondo – e l’Europa in particolare – a fronte di scoperte che non immaginavamo e a interrogativi che credevamo (soprattutto la nostra gioventù credeva) materia storica, cioè del passato.

Cosa non immaginavamo

Non immaginavamo che l’attacco da ogni latitudine dell’Ucraina da parte della Russia fosse preparato nei dettagli. Non immaginavamo che Kiev sarebbe stata circondata in tre giorni dai carri armati lanciati da Putin, anche se qualche volta con ragazzini spauriti a bordo. Non immaginavamo che la questione fosse ben altra rispetto alla contesa sul Donbass filorusso. Non immaginavamo che la resistenza ucraina fosse temeraria, orgogliosa, diffusa. Non immaginavamo che Putin evocasse esplicitamente lo spettro della guerra nucleare. Non immaginavamo che la Germania – per la prima volta dopo settant’anni di vergogna e colpe – arrivasse a mandare i missili in difesa di un paese europeo sovrano micidialmente attaccato. Non immaginavamo che mezza giornata dopo l’entrata dei carri armati dalla Bielorussia e dalla Crimea la borsa di Mosca crollasse come un budino dimezzando la capitalizzazione finanziaria dell’economia russa. Eccetera, eccetera.

Ora scriviamo in attesa di vedere se i colloqui ai confini nord del Paese apriranno una moratoria o finiranno a insulti e ripresa immediata del linguaggio delle bombe.

Ma gli elementi a disposizione permettono un’analisi che aggiunge a ogni indispensabile valutazione geo-militare anche qualche elemento geo-immaginario. Inteso come un processo che connette parole, segni, simboli, percezioni, emozioni, evocazioni. Soprattutto i tratti che legano – virtuosamente e a volte mostruosamente – identità e immagine.

Ho scritto un breve post nei giorni scorsi osservando che la questione reputazionale sta stagliandosi come uno scenario dichiaratamente strategico nella vicenda russo-ucraina. Ho avuto molti riscontri, tra stupore e consenso.

In essa scorre il film della storia (spesso misconosciuta) che fa di quella regione un insieme di vicende che l’Europa occidentale, insieme al mondo extra-europeo, sa per vaghi cenni, non come storia propria (si sa che ancora tutti studiamo la porzione di storia nostra al 90% e limitiamo al 10% della storia di tutti).

E scorre il film dell’Europa dopo la caduta del muro di Berlino. Che credevamo ben chiarita e risolta con al centro la parola “caduta”. Ma che evidentemente teneva aperte ferite, malintesi, spinte di rivincita, scarso dialogo inter-politico e interreligioso (intuizione questa invece di papa Ratzinger per mantenere aperto il cantiere relazionale tra cattolici e ortodossi), incertezze fatte di accelerazioni e indietreggiamenti della formazione dell’Europa unita.

Il fronte comunicativo di una guerra

In questo argomento scorrono in positivo e in negativo tutti gli argomenti che costruiscono il fronte comunicativo di una guerra. In generale la opposta rappresentazione. Poi tutte le voci conflittuali di questo sistema: l’interpretazione, la manipolazione, l’omissione, la pressione, il ricatto, il bisogno di coesione.

E ancora la quasi impossibilità di governare il principio moderno dell’appartenenza.

Dopo che guerre, migrazioni, separazioni, ricomposizioni, confini tracciati con la matita dell’opportunismo non delle vocazioni, hanno scomposto in brandelli quel concetto. Un concetto che per l’800 è stato un valore rivoluzionario e per il ‘900 un territorio immateriale che ha sepolto quasi cento milioni di morti in due guerre mondiali.

Per ragioni di reputazione Putin genera (negli anni) il suo piano di rivincita sul ridimensionamento del ruolo della Russia a partire dalla fine del comunismo. Attaccandoci anche le falsificazioni che fanno parte dell’auto-convincimento del proprio “diritto”.

Per ragioni di reputazione le nuove generazioni di quasi tutto il mondo respingono l’aggressione militare all’Ucraina che dà anche alla gioventù russa il coraggio di scendere in piazza e che al tempo stesso fa vacillare gli interessi economici della Russia, come il 45% di finanza bruciata in borsa in poche ore rivela una spia forse non calcolata nelle strategie del Cremlino.

Per creare un terreno di “spiegazione”, di “interpretazione” che non possono essere questioni per gli addetti ai lavori i media hanno creato una condizione di “maratona”. In tv – con epicentri alla 7 e al Tg1 – l’orchestra degli inviati in tutto il sistema di crisi è in queste ore una forte rappresentazione del giornalismo di coraggio testimoniale e investigativo. In rete si sta producendo poi uno scenario molto complesso.

C’è la velocità con cui i dettagli tecnici, emozionali, critici corrono da un punto all’altro del pianeta, accompagnati da una semiologia che frusta – come la satira sa fare – i comportamenti.

Ma ci sono anche storie che danno spessore al carattere umanitario della solidarietà.

La parte inedita della guerra

Ed è in rete che si sta svolgendo una inedita parte della guerra. Dall’offensiva degli hacker russi contro i sistemi informativi occidentali, emersa poche ore dopo l’attacco da terra dei carri armati, alla reazione forte e diffusa di Anonymus che raccoglie un network di kacker occidentali che – in una vera premessa di guerra 4.0 sul web – ha in corso la controffensiva contro il Cremlino e la Duma. Come si sa i pirati informatici non sono sempre buoni. Ma qui si va profilando uno scontro tra l’intelligence militare russa e una sorta di civismo digitale belligerante che non era scenario così evidente, pur essendo da anni in atto un’attenzione forte soprattutto dei paesi del nord Europa (GB e paesi baltici in testa) in preoccupata attenzione per la disinformazione prodotta dai russi nell’Europa occidentale.

Così che la questione reputazionale ha invaso in poche ore anche i territori che compongono molto l’immaginario comunicativo, lo sport e lo spettacolo.

Nel giro di poche ore il mondo dello sport ha smontato la finale di Champions League prevista a S. Pietroburgo spostandola a Parigi. E, ferita che vale come una cannonata, ha derubricato la presenza russa da Eurovision Song Contest 2022 che si svolgerà a Torino.

Anche qui, soprattutto per i giovani (giovani russi compresi) sono questi i fattori che spostano in modo forte attenzioni e interrogativi che magari la cronaca politica non riesce ad attivare in tutti.

Immagine, reputazione, sentimenti di orgoglio, di identità e di appartenenza sono cose antiche come il mondo. Esistevano anche – come fattori tanto bellicosi quanto pacificanti, come strumento di polizia quanto di filosofia – dalle guerre puniche alle guerre contemporanee.

Non sono temi che hanno abitualmente fermato i carri armati, anche se hanno creato le condizioni riparatorie. Questa volta sono forse in condizioni di attivare – la speranza è che ciò avvenga in tempo utile – la riparazione di un dialogo colpevolmente mancato tra Occidente e Russia che si sono occupati entrambi in questi anni più di affari che di ragioni.

Da qui l’appello soprattutto ai giovani a seguire con spirito critico l’andamento drammatico di queste ore, non solo per la banale spettacolarizzazione di un ennesimo “risultato” di vincitori e vinti (che pure è un elemento cruciale della vicenda), quanto perché siamo entrati in un’altra epoca storica della conflittualità geopolitica da cui si capirà in che riassetto del mondo stiamo per vivere.


[1] Insegna Comunicazione pubblica e politica all’Università Iulm di Milano ed è presidente del Club of Venice, rete della comunicazione pubblica istituzionale in Europa.

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