Indagine Ipsos per Comieco, presentata all’apertura di “Paper Week” in IULM.
Su queste pagine dicevamo tre mesi fa che la pandemia stava cominciando a far bene ai sentimenti sociali e civili degli italiani, ma da questa indagine specifica spunta anche riflusso individualistico, modesta fiducia istituzionale, poco slancio per la coesione sociale. Il vecchio familismo sembra prevalere ancora rispetto a una robusta tenuta etica collettiva. Non è una slavina. Ci sono anche dati in parte buoni (in particolare quelli favorevole ad ambiente e a economia circolare). Forse sono due facce della stessa medaglia.
Stefano Rolando
Articolo pubblicato sul giornale online L’Indro (4.4.2022) – https://lindro.it/emergenza-e-pandemia-non-rafforzano-molto-il-senso-civico-degli-italiani
Tre mesi fa si parlava di “apprendimenti sociali”
In apertura d’anno, su queste pagine, ho provato a scrivere qualcosa di controtendenziale sugli effetti sociali della crisi pandemica[1]. Il sottotitolo di quella nota era questo: “Fare l’elenco delle lezioni soprattutto sulle nostre insufficienze è legittimo e la critica resta utile. Ma è sbagliato negare che cresca anche una lezione civile che ha ripercussioni su ripresa e riorganizzazione”.
Non avevo dati di ricerca vistosi, salvo un lungo colloquio con uno dei migliori sociologi italiani di territorio e di cultura di impresa, Nadio Delai, con cui avevo misurato varie voci, alcune (soprattutto nel campo economico e dei rapporti di lavoro) erano frutto di sue rilevazioni.
Insomma, l’idea che si dovesse omologare il principio di “essere in guerra” (col virus) – che girava al tempo con propositi censori nei confronti dei media – andava contrastata partendo dal dato di una società con cenni di apprendimento sociale e solidale, che venivano in quell’articolo spiegati. Un dato che poteva essere assunto come uno stimolo, un passaggio di qualche importanza per la ripresa.
Non ho avuto levate di scudi. Nemmeno troppi applausi, per la verità. Ma scorre così tanto inchiostro virtuale soprattutto sugli ambiti di crisi, che non si sta a misurare specifici consensi e dissensi.
Mi pareva tuttavia che si potesse lavorare (media, imprenditori, amministratori, educatori) su una ipotesi di ricompattamento valoriale anche da intendersi come percezione di qualche opportunità da ricavare dall’esperienza del rischio.
Ora un’altra rilevazione sul senso civico degli italiani
Mi trovo in questi giorni come partner – non personalmente, ma come ateneo (lo IULM a Milano) – dell’annuale settimana di promozione della cultura del risparmio e del riutilizzo di carta e cartone che porta il divertente nome di Paper Week ed è una lodevole iniziativa del COMIECO, il consorzio tra i produttori del settore che da anni ampliano la cultura delle imprese e dei consumatori attorno ai postulati dell’economia circolare (qui nell’ambito dell’economia del settore carta, ma con principi che valgono per tutti i settori).
In settimana si svolgeranno quattro webinar condotti da quattro docenti (io tra questi) su temi di convergenza tra trasformazioni tecnologiche e produttive ed evoluzione dei comportamenti collettivi[2].
E in tale prospettiva assume significato di riferimento l’evento di avvio del programma con la conferenza stampa che ha impegnato l’1 aprile sia l’ateneo (Stefania Romenti), sia COMIECO (Carlo Montalbetti) sia l’istituto di ricerca IPSOS che ha presentato i dati originali di una ricerca sulla civicness, ovvero sugli italiani e il senso civico, illustrata da Nando Pagnoncelli.
Una buona occasione – ho pensato – per validare lo spunto di tre mesi fa sull’addolcimento del carattere solidale e in un certo senso civico degli italiani, dopo essersi misurati a lungo sui caratteri verificati e anche imprevisti del flagello epidemico. Sfoglio dunque il rapporto di rilevazione e traggo però una modesta riprova di quello spunto d’inizio d’anno. Dice Nando Pagnoncelli in termini riassuntivi, con le sue esatte parole nelle conclusioni sui key points dell’indagine:
“È drastico il cambio di umore rispetto a due anni fa relativamente all’impatto della pandemia sulla civicness. Dell’ottimismo che aveva caratterizzato il lockdown, nei mesi dell’«andrà tutto bene» oggi rimane solo la disponibilità (rassegnazione?) ad accettare sacrifici e il senso di responsabilità. Anche in prospettiva futura, sul come saremo nella «nuova normalità», si registra un crollo di diversi indicatori (fiducia nella classe politica e verso le autorità, apertura agli immigrati, la coesione sociale, tolleranza, concordia e disponibilità a comprendere le esigenze degli altri). Gli italiani si confermano legati agli affetti e alla qualità della vita più che ai valori. La famiglia, la vita affettiva, gli amici e le buone relazioni con la rete sociale «locale» sono tra gli aspetti ritenuti più importanti nella vita. Ritorna quindi, almeno in parte, un ripiegamento individualista, sui valori del singolo e della famiglia, sulla ricerca di un benessere e di una qualità della vita a propria misura, più che nella prospettiva della collettività (anche se la fiducia nel prossimo rimane stabile)” [3].
Sarebbe forse giusto dire che le due percezioni del problema potrebbero anche convivere.
Da un lato coglievamo un apprendimento sociale che si fa strada, che ha anche momenti vistosi nelle realtà del lavoro, nelle situazioni di cura e ricovero, nei contesti scolastici.
Poi, andando su campioni statistici che devono rappresentare grandezze assolute, si percepisce che accanto a sentimenti più distesi ci sono in realtà arroccamenti maggioritari nelle dinamiche endo-familiari.
Che gli aspetti importanti della vita siano per gli italiani (in ordine) la salute, la famiglia, l’amore/vita affettiva e anche la qualità ambientale (ai primi quattro posti nell’indagine Ipsos) non solo non è scandaloso, ma fa parte di elementi di tradizione aperti anche a qualche rinnovamento.
È che poi nella tabella, dopo altre tredici cose, arrivano alla fine, agli ultimi tre posti, l’impegno sociale, l’impegno religioso e l’impegno politico. Come dire: ben poco impegno.
Inoltre, lo stesso Ipsos parla di “crescita del familismo amorale”, che tuttavia per fortuna non è maggioritario: all’idea che la prima responsabilità deve andare all’amore per la famiglia e per i figli e non per la collettività aderisce il 26%. È un dato tosto, ma il 74% non la pensa così.
C’è anche una certa stabilità circa la percezione dell’origine del senso civico: da almeno vent’anni al primo posto sono i valori individuali (nel 2001 era altissimo ora è al 79%); l’appartenenza territoriale in questi venti anni aumenta un po’ e arriva al 49%, scende un po’ la fiducia nelle istituzioni (arriva al 21%).
Rispetto ad indagini sul senso civico degli italiani di mezzo secolo fa in cui tra nord e sud c’era una grande distanza, adesso i dati sono abbastanza omogenei per territorio.
La scuola resta un ambito in cui riporre fiducia e l’educazione rimane il fattore chiave per stimolare più senso civico. Questo è un aspetto importante che non perde quota. Interessante il balzo dal 49% (pre-pandemia) all’attuale 62% della consapevolezza dell’impegno della società nei confronti dell’ambiente.
Ma tolta la Scuola e la Presidenza della Repubblica tutto il resto del sistema pubblico non riscuote una fiducia maggioritaria. I cittadini vedono meglio di loro stessi (si autostimano meritevoli di fiducia il 43%) gli intellettuali (48%). I media stanno tra 36% e 41%. Governo e imprenditori sono affiancati al 31%. Si fidano dei social networks solo il 27% degli italiani (degli influencer il 25%). La politica chiude la classifica al 22%, dato che va preso un po’ con le pinze perché risulta il doppio del valore reputazionale assegnato annualmente dalle rilevazioni di Demos.
Colpo basso, piuttosto, sullo scarso senso civico tra cittadini e politici: sei italiani su dieci pensano che sia condiviso. E sempre sei su dieci pensano che l’Italia stia messa, su questo delicato tema, peggio che altri paesi. E poi ancora due tabelle fanno riflettere. Gli italiani sono (un poco) più disposti di prima (20 anni fa) ad accettare sacrifici e a far conto sul senso di responsabilità. Ma su molte altre cose la disponibilità decresce, con questo ordine di crescente indisponibilità: rispettare le regole; venire incontro alle esigenze degli altri; coesione sociale; avere semplicemente fiducia negli altri cittadini; aprirsi agli immigrati; fidarsi delle autorità; fidarsi della classe politica.
Sarebbe ora di un vero piano di investimento sociale
Soprattutto a fronte di dati che spingono in direzioni opposte (normale in un quadro in cui si sono incrociate diverse emergenze) si può anche pensare a facce opposte della stessa medaglia. Elementi di spaccatura di opinioni e di domanda di informazione sono evidenze segnalate in tutta la crisi della pandemia e prima o poi verranno fuori anche sulla guerra in Ucraina, così come c’erano negli anni passati sulle migrazioni.
A maggior ragione dovrebbe proprio essere sul sociale e sulla qualità della comunicazione istituzionale che andrebbero fatti investimenti di metodo e di merito.
[1] Il virus Covid-19 come fonte di apprendimento sociale (3.1.2022) – https://lindro.it/il-virus-covid-19-come-fonte-di-apprendimento-sociale/
[2] https://www.iulm.it/it/news-ed-eventi/news/paper-week-iulm e anche https://www.comieco.org/ritorna-lappuntamento-con-gli-aperitivi-della-paper-week/
[3] Elementi aggiuntivi nella nota stampa sulla ricerca – https://www.ecodallecitta.it/il-senso-civico-dopo-la-pandemia-salute-famiglia-e-qualita-dellambiente-ai-primi-posti/