I 100 giorni della Maratona Mentana

Pubblico volentieri, condividendola, l’opinione di Gianluca Veronesi sul laboratorio di televisione interpretativa costruito su La 7 da Enrico Mentana, con il forte ruolo di Dario Fabbri, nel corso dei 100 giorni della guerra russa in Ucraina.

Mentana e la logica della guerra

Gianluca Veronesi (4.6.2022)

Mentana al centesimo giorno di guerra ha sospeso il suo “speciale”.

Eravamo abituati alle sue maratone elettorali ma trecento ore, sabati e domeniche incluse, sono un vero record.

È vero che 30 ore sono state di pubblicità ma il direttore del Tg7 -con la sua redazione rafforzata da un unico esperto- ha compiuto un capolavoro di giornalismo.

Una trasmissione di “servizio pubblico” che la Rai, purtroppo, non ha allestito. La Rai con i suoi duemila giornalisti e le decine tra canali e testate.

L’emittente di stato ha correttamente informato l’opinione pubblica in ogni suo notiziario, dall’alba al tramonto, ma non poteva fare ciò che ha compiuto la “piccola” emittente di Cairo.

Ovvero provare a comprendere la logica della guerra, cercare di dare un senso alle iniziative dell’invasore, interpretare il perché delle reazioni più diverse in ogni angolo del globo.

Certamente questo “spiegare il mondo” poteva apparire la pretenziosa ambizione di

alcuni “tecnici” dotati di relazioni internazionali.

Ma l’alternativa era il racconto “permesso” ai giornalisti Rai: quello di testimoniare i contorcimenti e capovolgimenti di fronte ad opera dei partiti italiani, nel tentativo di inseguire gli altalenanti umori degli spettatori-elettori.

Le tattiche per tenere insieme pacifisti e guerrafondai, armi e disarmo.

Il malato terminale e “profeta” Putin e il senescente e gaffeur Biden.

Mentana insieme ai suoi coraggiosi inviati e a Diego Fabbri, uno dei pochi esperti italiani di geopolitica, ha innanzitutto documentato la battaglia sul campo, dando la parola direttamente ai superstiti.

Ma la parte affascinante era quando ti spiegavano la nascosta concatenazione di avvenimenti apparentemente episodici e casuali.

Ad esempio, il comune destino che lega l’Ucraina e Taiwan; il sofisticato doppio o triplo gioco di Paesi quali l’India, la Turchia, l’Iran e quello mediocre e avido di Orban.

Del perché quattro miliardi di terrestri su sette si siano dimostrati indifferenti a “questa” guerra, salvo scoprire poi le nefaste conseguenze “indirette” ed universali, che siano gli aumenti delle materie prime, la penuria di approvvigionamenti energetici, la crisi alimentare.

Di solito Mentana nelle sue maratone tiene le distanze -come fan tutti-  invitando in studio una platea di commentatori, variegati per aree politiche; ma egli fa un passo ulteriore dovuto alla sua vanità: per evitare effetti scontati li vuole eretici verso il loro riferimento ideologico.

Questa volta il “brillante” (qualunque cosa voglia dire) conduttore ha giocato da solo, in prima persona, mai nascondendosi. Aiutato da un interlocutore per nulla intimorito o riconoscente per l’opportunità di fama e notorietà concessagli.

Hanno messo in piedi un balletto studiatissimo, dove non erano mai in totale disaccordo ma mai in accordo completo. Hanno saputo usare ironia quando era lecito.

Mentana cominciava ogni trasmissione con una frase: ricordiamoci che c’è un invasore e un popolo invaso. Dopo di che -senza alcun pregiudizio – dava la parola ai fatti e non ai commenti inutili.

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