Lettere dalla Merica – 2/2022 – Aborto e Corte suprema. Le decisioni scappate di mano.

Paolo Giacomoni



La tragedia della guerra in Ucraina non ha cancellato i bradisismi che scuotono le interiora degli americani. Mentre Biden sta facendo cose egregie sul piano degli investimenti sociali, salta fuori che la Corte Suprema ha riflettuto sulla costituzionalità dell’aborto, tema sul quale gli americani sono divisi e che rischia di influenzare fuor di misura le elezioni di novembre.

Gli Stati Uniti assomigliano più al mosaico dell’Unione Europea che allo stato centralizzato-giacobino della Repubblica Francese. 

Il governo federale organizza due cose: la Posta e le Forze Armate: il resto è di competenza degli stati individuali. Come Bruxelles gestisce per esempio fondi per la ricerca, così il governo USA gestisce tutto il denaro da spendere in ricerca e tecnologia, dalla NASA agli NIH, NIA, NSF eccetera, ma questo denaro è attribuito dal parlamento e può essere revocato, mentre per ora non è pensabile di revocare la Posta federale, anche se Trump un pensierino ce l’aveva fatto.

Come in Europa nessuno accetterebbe che Bruxelles, per esempio, dica cosa si deve insegnare nelle scuole dei vari paesi dell’UE, così negli USA la scuola è di competenza degli stati, come gli ospedali, la viabilistica eccetera e, come in Europa, anche la pena di morte è di competenza degli stati membri, (anche se adesso in Europa non se ne parla più poichè perfino il Regno Unito , buon ultimo, ha finito per abolirla una ventina di anni fa).

Lo stesso vale per l’aborto

In un paese dove vige la Common Law, e dove non ci sono codici civile e penale nel senso napoleonico del termine, la legge cambia con il costume e i giudici giudicano basandosi sui precedenti giuridici, e la Corte Suprema viene chiamata a decidere se un comportamento o una legge statale rispettano le norme scritte nella Costituzione, ma non a indicare una proibizione o un obbligo qualsivoglia, poichè questo è compito del legislatore.

Nel 1970 una signora dal nome fittizio Roe sporse querela contro Henry Wade, District Attorney (l’equivalente del nostro Procuratore della Repubblica) nella contea di Dallas in Texas, sostenendo che la legge del Texas che criminalizza l’aborto quando non è praticato per salvare la vita della madre non è costituzionale.Nel 1973 la Corte Suprema federale, con un testo tutto arzigogoli bizantineggianti, decideva che quella legge non era costituzionale.

Negli anni successivi, esprimendosi in varie occasioni,  la Corte Suprema federale ha mantenuto il principio della sentenza detta “Roe versus Wade” che garantisce il diritto di una donna all’aborto prima del momento – ancor mal definito – in cui il feto può sopravvivere fuor dal ventre materno, e concludendo che una legge che impone regole sullaborto è incostituzionale se il suo scopo, o il suo effetto, è di imporre un “undue burden“, cioè di creare ostacoli sostanziali, sul cammino di una donna che cerchi di praticare un aborto prima che il feto raggiunga la capacità di sopravviverer fuor dal ventre materno.

Siamo quindi di fronte a disaccordi tanto sul piano morale (abortire è omicidio – contro – l’aborto è un diritto) quanto sul piano medico-tecnologico (il feto può sopravviverer fuor dal ventre materno al sesto mese, no al settimo, macchè, dopo venti settimane, e via discorrendo) e ci si nasconde dietro il conflitto relativo a un diritto “individuale” per evitare di affrontare il problema “sociale” del controllo delle nascite, cosa tipica dell’ipocrisia puritana: mentre il controllo delle nascite generalizzato costituisce un “via libera” alla lussuria impunita, l’aborto richiede una decisione che implica il prendere responsabilità di un’azione che potrebbe anche essere perseguita o comunque giudicata immorale. Resta comunque il fatto, di cui pochi parlano, che  ogni anno negli Stati Uniti ci sono due milioni di aborti e tre milioni di nascite, come se la pratica dell’aborto fosse una semplice pratica di controllo delle nascite…. quindi, de facto, un “via libera” alla lussuria sfrenata.

Ma allora, mi si dirà, perchè il Congresso non promulga per l’aborto una legge uguale per tutti? Forse una domanda più ragionevole sarebbe: cosa si può imparare dal fatto che il Congresso non legifera sull’aborto? Una legge uguale per tutti sull’aborto è un cespuglio di rovi: non solo ci sono i favorevoli e i contrarii, ma anche tra i favorevoli e i contrari le opinioni differiscono in modo monumentale. 

C’è chi si oppone per motivi religiosi, dimenticando che la Chiesa di Roma, nella sua saggezza, diceva secoli fa, e Dante lo fa spiegare bene a Stazio nel Purgatorio,  che l’anima è insufflata dal Padreterno nel feto solo dopo che il cervello del feto è completo, dopo il terzo mese (e così dicendo la Chiesa non interferiva nelle pratiche abortistiche correnti).

C’è chi è favorevole rivendicando  il diritto della donna a gestire liberamente il proprio corpo.

C’è chi è contrario per mantenere in difficoltà una schiera di donne  che possono esere facilmente sottoposte a qualunque corvée, dalla servitù alla prostituzione.

C’è chi è favorevole ma vorrebbe che il futuro padre possa esprimere la sua opinione.

E poi c’è da dire che gli stati non sono omogenei, c’è più differenza tra il Texas e il Massachussetts di quanta non ce ne sia tra la Spagna e la Danimarca…

E quindi deputati e senatori non voglion rischiare la loro rielezione votando per una legge che sarebbe comunque controversa, e tutti pensano che è meglio “proibire di proibire” piuttosto che “permettere esplicitamente“, e si è lasciato alla Corte Suprema federale il compito di ritirare le castagne dal fuoco, con le conseguenti ansie e animosità.

E con una Corte Suprema in cui tre giudici sono stati nominati da Trump, c’era poco da sperare.

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