
Fulvio, dopo un anno tempestoso per la salute, con un cuore improvvisamente scoperto pieno di disfunzioni, valido per meno di un terzo, che lo ha portato a sostenere un’operazione drammatica miracolosamente riuscita in Humanitas verso la fine del giugno del 2021, a distanza di un tempo di lenti miglioramenti ma in quadro rimasto precario e con continue sorprese, ha avuto una grave crisi nei giorni scorsi.
Una crisi che lo ha portato al Pronto Soccorso dell’ospedale S. Ambrogio, vicino alla Fiera, in cui è stato operato per forme ischemiche intervenute sugli organi centrali (intestino, fegato, milza).
Senza entrare nel dettaglio di questa nuova complessità, in cui di nuovo il cuore è apparso antagonista e non regista di altre importanti parti del corpo, la crisi non è stata superata. Poi nessuna cura è più servita.
Oggi, a 72 anni, Fulvio Francesco Ronchi, chiude il suo capitolo terreno, originato nelle brume milanesi della metà del secolo scorso, sollecitato dal profumo degli inchiostri delle tipografie fin da piccolo, temprato dalla grande scuola grafica dell’Umanitaria e poi tenuto sul filo del rigore e della qualità professionale fino ad oggi. Insieme a una vita personale con gioie e dispiaceri, nella quale gli è stato di conforto negli ultimi anni, la ripresa di rapporti affettuosi con il figlio Rocco, che lo ha seguito e supportato nelle difficoltà crescenti di queste ultime crisi. Nelle ultime ore grazie anche alla nipote Lorenza, figlia della sorella Daniela.
Era in attesa della nascita di un piccolo nipote, Lorenzo, che porterà il suo cognome, nascita prevista per il 6 luglio. Non la vedrà. Ma ciò assume il senso simbolico di una staffetta vitale, che tramanderà qualcosa nel futuro e che farà certamente ricordare questo tratto di pochissime ore tra la morte e la vita.
Ci siamo conosciuti all’inizio degli anni ’70, quando Riccardo Felicioli, già segretario di Adriano Olivetti e tra i manager intellettuali della Corazzata Comunicazione della Olivetti dell’epoca d’oro, lasciò l’azienda (era il capo della Pubblicità), portando la sua intelligenza e il suo gruppo di lavoro nella agenzia RPR, costruendo la sede milanese che sdoppiava la sede storica romana fondata da Mario Lucio Savarese (ex capo delle Relazioni esterne dell’Italsider), in cui io dal 1972 crescevo professionalmente a ponte tra Roma, Milano e le iniziative internazionali.
I due più giovani e più brillanti di quel team olivettiano erano appunto Fulvio e la Maxi Baumann, segretaria di Felicioli e capace di enorme lavoro organizzativo. Tra il 1973 e il 1974 eravamo assestati e in campo, in Italia e all’estero, per conto dei nostri clienti, tra i maggiori gruppi industriali italiani (in particolare IRI-Finsider a Roma e Fiat-Iveco a Milano) con un lavoro altamente creativo che corrispondeva a un’epoca in cui la qualità era commisurata alle risorse che per la verità non mancavano.
Ricordo la fine di una giornata intensissima di lavoro – di analisi e di prodotto – condotta nella sede di via Serbelloni a Milano con la decisione di sospendere alle 2 di notte. Fulvio e io uscimmo con le seggiole a rotelle delle nostre stanze, messe in pista in corso Venezia e rivolte verso San Babila. E al via della Maxi facemmo una sfrenata e liberatoria corsa a colpi di veloci sgambate sull’asfalto allora rossastro della maggiore arteria del centro di Milano, vuota ed elegantemente illuminata, ridendo come pazzi.
Racconto questo minuscolo dettaglio di mezzo secolo fa per far capire che, pur camminando da quel tempo a oggi su strade in sostanza diverse, abbiamo sempre trovato il modo di intersecarci, anche professionalmente. Tanto che Fulvio, che era stato il più giovane art director del gruppo Olivetti (azienda in cui approdai anni dopo come direttore centrale), dopo l’esperienza di agenzia, tornò a lavorare strettamente con me, in diversi contesti (l’Istituto Luce prima, la Presidenza del Consiglio dei Ministri dopo e a lungo). Quasi sempre gli bastava un briefing accurato per assicurare in grande autonomia innovazione, creatività, presidio tecnico completo dei prodotti, eccetera.
Il destino è intervenuto con un’altra coincidenza, oltre a quella della nascita del piccolo Lorenzo. Proprio ciò che si chiama “il destino” ha voluto che la sua vita avesse termine negli stessi giorni in cui ha avuto termine, causa un tumore trascurato, anche quella della Maxi, ossia Massimiliana Baumann, sua gemella nella stessa formazione professionale in Olivetti. Anche con lei il mio congedo è stato difficile, per la quantità e l’intensità delle cose che abbiamo condiviso sul lavoro. Dopo il 2001, con Fulvio a lungo e con la Maxi per alcuni anni, c’è stato anche un certo modo di fare università, io di ruolo in Iulm e – grazie soprattutto a lui e ad altri professionisti – con un piede nelle tecniche e nelle culture professionali della comunicazione. Per un po’ lui ha retto anche l’insegnamento di Identità visuale nell’area del Design del Politecnico. Chi era abituato ad un Fulvio conviviale, pronto alla battuta, eternamente ottimista, sul lavoro e in Università lo trovava serio, rigoroso, precisissimo nei linguaggi. Un po’ svizzero, come i suoi maestri dell’Umanitaria (Albe Steiner, per primo).
Pubblico alcune foto e un testo.
La prima foto è nel top ten della mia Galleria sul sito personale (andreac223.sg-host.com).
Fine anni ’80, in Campidoglio a Roma, lui è il terzo da destra con gli occhi socchiusi.
Il resto della compagnia è il fortissimo sestetto di operai e tecnici tipografi del Poligrafico dello Stato con cui abbiamo realizzato in dieci anni mille (realmente mille) prodotti editoriali innovativi, coerenti, professionalmente riconoscibili, per una Presidenza del Consiglio dei Ministri che tornava ad essere comunicante senza timidezze rispetto alle qualità della comunicazione di impresa.

Infatti la seconda foto è di quel tempo, anche qui un evento di presentazione a Palazzo Chigi, in cui Fulvio illustra all’allora sottosegretario Giuliano Amato gli aspetti “invisibili” di una professione “visibile” (insieme anche Mirella Boncompagni che allora dirigeva l’area della comunicazione pubblica).

La terza foto, anni ’90, è con il team della PPV di Pier Paolo Venier (lui il più in alto sulla sinistra), insieme allo stesso Venier al centro, a Jaime Fadda, a Pierfrancesco Anzà. Un magnifico gruppo di realizzazione audiovisiva, multimediale e grafico-pubblicitaria con cui avevamo fatto a Piazza del Popolo a Roma l’immenso schermo frammentato per il quarantennale della Repubblica italiana, insieme ad altri cento eventi istituzionali.

La quarta foto è abbastanza recente, con me e mia figlia Amelia, al sacrario laico dedicato all’eccidio di Fondotoce, alle porte della Val d’Ossola, dove avevo commemorato Sandro Pertini in un 25 aprile dedicato agli “sconosciuti” italiani che hanno difeso l’onore del Paese sacrificando la loro vita per la libertà. Materia su cui Fulvio mi seguiva sempre.

Il testo è anch’esso abbastanza recente. Con grande orgoglio sulla prestigiosa rivista della Fondazione Cologni “Mestieri d’Arte &Design”, nel settembre del 2020 un bel servizio con curate foto è stato dedicato al “Collezionista di Mani”, insomma all’impegno di Fulvio per una ricerca decennale sul maggiore simbolo della prestazione umana, con migliaia di reperti di antiquariato e di etnografia di tutto il mondo, sempre sul punto di diventare una mostra che si è fatta e disfatta infinite volte. Le poche pagine di questo testo danno un’idea dell’impegno costante da lui messo sulla materia sulla quale resta il mio impegno a “fare qualcosa”.







In queste ore di un pomeriggio senza più speranze ho ritrovato nel mio archivio anche un testo del 2003 rimasto inedito. Era la prefazione al catalogo ragionato di tutta l’opera grafica di Fulvio. Che poi fu rimandato. Intervenne l’idea di una mostra. Poi non si trovavano gli interlocutori giusti, poi la sua citata straordinaria collezione di mani ha preso il sopravvento.
Insomma, il testo è rimasto lì, sul binario di partenza, senza mai un semaforo né giallo né verde.
Mentre il tempo passava. Passava e cambiava le cose.
A un certo punto anche il semaforo aveva cessato di funzionare.
Ma nessuno se ne accorgeva. C’era ancora tanto da fare. Tanto da fare.
Non lo pubblico ora. Deve venire il momento in cui esso troverà finalmente il suo posto nella cosa giusta da fare.
Un abbraccio forte. Con Fulvio nel cuore
Grazie. A presto
Di Fulvio ho un ricordo allegro e scanzonato. Abbiamo lavorato alla Direzione Pubblicità della Olivetti ormai molto tempo fa, in settori diversi, ma il rivedere il suo viso nelle foto è stato come se ci fossimo salutati ieri sera, lui con il suo sorriso largo largo, per reincontrarci stamane. Anche della Maxi, ridente e fuori dagli schemi ho un ricordo vivido e piacevole.
Riposino nella pace.
Leggo ora anche la seconda replica. Cari saluti
Caro Stefano, il tuo saluto al comune amico Fulvio mi ha riempito di gioia e rende onore ad un uomo speciale qual’ era. Io posso solo dire che mi mancherà la sua amicizia e la bellezza creativa con la quale affrontavamo insieme i progetti in Genivs Loci. La grande mostra sulle mani andrebbe fatta “ad memoriam” e se l’idea fosse fattibile mi renderebbe felice l’idea di onorare la sua memoria. Del caro amico Fulvio sentirò la sua mancanza ma sono certo che ora aiuterà i suoi amici da lassù! Grazie e ti saluto amichevolmente. Sandro
Davvero un sentito “grazie” per questo riscontro. Ho scritto un ricordo professionale suo sul giornale online L’Indro dive parlo dell’insieme delle mostre “lasciate in eredità”. Speriamo sia possibile.
• https://lindro.it/fulvio-ronchi-quattro-mostre-lasciate-in-eredita/
Ho saputo solo oggi della sua dipartita, io sono stata il suo primo amore , frequentavamo la stessa scuola media ,ma cominciammo ad uscire quando lui lavorava come grafico presso lo studio Nava Confalonieri in via Caminadella e io il liceo artistico delle Orsoline di via Lanzone .Ricordo benissimo quando progettò il logo del Nephenta , lo lasciai durante il primo anno di università e lui che era appena stato assunto in Olivetti mi disse “ diventerò un grande art directory “ e così è stato . Poi nel corso degli anni ci siamo incontrati casualmente a Venezia quando fu curatore per la mostra dei Futuristi a Palazzo Grassi e nel suo studio in via Vico . L’ultima volta fu vicino a casa dei suoi dove mi parlò del faticoso rapporto con suo figlio , che ora so che è stato recuperato negli ultimi anni e della sua famosa collezione di mani . Questa mattina leggendo il Corriere ho avuto un sussulto , ciao Fulvio , come nonna mi spiace moltissimo che tu non abbia potuto vedere io tuo primo nipotino , con te se ne va una parte della mia giovinezza , se faranno delle mostre sui tuoi lavori le verrò a vedere senz’altro, che la terra ti sia lieve .
Cara Rossella, grazie per avere riscontrato la mia nota. Grazie per le belle parole, anche – diciamo – a nome suo, solo perchè so che avrebbe apprezzato.
Per ogni evenienza: 335294222.
Quanta tristezza, non l’avevo saputo, dato che ormai passo l’estate in Scandinavia poco attenta alle cose milanesi.
Per me Fulvio è stato in primis un fornitore: quando ero responsabile della comunicazione in Elea (Olivetti) facemmo un bel percorso insieme, nonostante le difficoltà a far apprezzare quanto stavamo facendo agli organi dirigenti di allora!
Poi siamo diventati non posso forse dire amici, ma più che conoscenti, e abbiamo condiviso qualche riflessione nei paralleli percorsi di vita (la mia prima figlia Carolina ha l’età di Rocco e mi sono separata da mio marito più o meno quando lui e Cristina si sono lasciati).
L’ho ammirato tantissimo nel suo lavoro anche se, da professionista e divulgatrice dell’innovazione e della tecnologia, abbiamo fatto negli ultimi anni grandi litigate sulla sua determinazione a continuare a lavorare col pennarello senza indulgere a qualche forma di “modernizzazione”.
Sarebbe stupendo riuscire a dare forma in qualche modo al patrimonio di lavoro e di ricerca che gli è sopravvissuto, spero davvero che si riescano a trovare delle vie e dei modi.
Ciao Fulvio, dovunque tu sia, ti abbraccio con affetto!
Grazie per questo riscontro e grazie per le belle parole.