I Podcast di Mondo Nuovo – n. 4 – In grande spolvero il “teatrino”

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Il Mondo NuovoPodcast n. 4

(registrato il  6.8.2022 pubblicato il 9.8.2022)

Il link al podcast sul magazine Il Mondo Nuovo

I biglietti da visita della campagna elettoraleIn grande spolvero il “teatrino”.

Buongiorno, sono Stefano Rolando, dedico su questo giornale riflessioni in audio al tema “Biglietti da visita”, ovvero l’arte, le furbizie e spesso l’incompetenza in materia di rappresentazione.

Oggi ci occupiamo dei biglietti da visita che volano in questa campagna elettorale.

Brevissimi sono i biglietti da visita, fulminei i punti focali della rappresentazione politica.  Soprattutto quellache viene e verrà servita agli italiani da qui al 25 settembre. Cioè una campagna elettorale-lampo.

Tutti sanno che la comunicazione elettorale è per lo più plateale.

Magari è pensata in modo arzigogolato, con astuzie, invenzioni. Ma poi è naturalmente fornita per adeguarsi al comun denominatore della comprensione. In un paese – non smetto mai di ricordarlo – in cui più di un cittadino su tre non coglie quasi nulla di leggermente elaborato, niente di ciò che sta scritto sulla prima pagina di un giornale. Ma tutti potenzialmente votano, come è giusto che sia.

Dire che la politica sia verità, sincerità, coerenza, autorevolezza non è una pretesa di ricchi o di poveri, di istruiti o di ignoranti. Dovrebbe essere la domanda di un paese civile che ha a cuore il suo futuro. In verità ormai in Italia pochissimi credono che quella italiana sia così.  

Qualcuno pensa forse che lo sia stata, magari a sprazzi. Si spera sempre che ci sia almeno una buona minoranza a chiedere che lo diventi.

Non è difficile scoprire che – malgrado le anime migliori che sono ancora in battaglia all’interno dei partiti – molti leader in campo hanno almeno due verità (diverse se non opposte) da vendere al pubblico, qualche volta da spendere in tempo 1 e tempo 2. Altre volte più spudoratamente da spendere una al mattino e l’altra al pomeriggio o in alternativa giocando su più tavoli.

Questo argomento pesa poco, perché ormai molti danno per scontato il malcostume narrativo.

E pochi anche hanno una sana reazione civica. Secondo cui in politica conta l’offerta, certamente, ma conterrebbe in ugual modo anche la domanda. E sulla domanda qualche responsabilità i cittadini ce l’hanno. Lo si vede anche in molte emergenze, lo si vede in politica, lo si è visto nella pandemia. Mezzo paese esercita questa responsabilità, un altro mezzo paese la ignora.

Esercitare questa responsabilità vorrebbe anche dire scegliere di votare dando peso a questo criterio.

Ecco perché penso che un certo giornalismo debba aiutare a capire se il voto è chiesto in nome di un valore fondante, un serio programma, la qualità dei candidati scelti, un principio di coerenza tra quel che dicevo ieri e quel che dico oggi. Oppure comanda quella tecnica che da mezzo secolo fa il bello e il cattivo tempo in economia, in politica, nello sport e persino nelle arti, cioè il marketing, per cui importante è piazzare il prodotto, anche a chi non lo domanda, anche convincendo chi ne ha in testa un altro.

Piegando la coerenza a nascondersi, spezzando la verità in due o tre, proponendo al mio vicino di destra quasi il contrario di quel che propongo al mio vicino di sinistra.

Una caratteristica della politica italiana (anche qui non tutta, innescata molto da Grillo) è di far credere che essere assertivi e un po’ vocianti significhi dire la verità. Niente di più falso. La verità sta nei contenuti non nelle forme.

La coscienza comunque viene lavata ogni giorno ripetendo come un mantra la seguente formula: conta la mia centralità e quella del vero gruppo dirigente. Le alleanze servono per adattarsi alle leggi elettorali. 

Dal giorno dopo, infatti, il controllo torna in poche mani.  Ed è per questo che si fanno poche riforme. Non si riesce a riformare la legge elettorale. Perché più passa il tempo, più conta il marketing in politica, più si fanno campagne multicolori, più conta decidere in pochi gli eletti, cioè i nominati, creando a poco a poco la maggiore verità della politica contemporanea: i partiti sono ormai una organizzazione elettorale; gli apparati sono stipendi da garantire; il controllo delle nomine (elettorali e funzionali) è parente stretto della leadership, che ha ormai largamente prevalso sulla “community” (tema questo su cui torneremo un giorno).

Eccoci allora alla storia di questa elezione, intesa come i pochi che giocano le carte, ma molti di loro sono fedeli alla legge della doppia verità.

Anche se le elezioni del 25 settembre sono chiamate “un nuovo 48” – cioè lo spartiacque, o di qua o di là, allora tra Russia e America, oggi più o meno la stessa cosa – alla fine non sarà su questo vero spartiacque della geopolitica che si formeranno le liste, che si chiederanno i voti e che si produrranno gli eletti.

Il garbuglio delle doppie verità produrrà una tale serie di deroghe e veti, in commistione a volte alle camarille territoriali, che una vera maggioranza sul tema spartiacque diventerà ben difficile da formarsi. 

E se conteranno più le dipendenze che i valori ecco che il Parlamento nel suo complesso riproporrà la spiacevole constatazione che ha già fatto saltare in questa legislatura il principio costituzionale della nostra democrazia.  Cioè che essa è democrazia parlamentare. 

Una legislatura – lo abbiamo visto tutti – che ha reso possibile tutte le formule di governo, anche quelle inverosimili e poi si è rifugiata nella condizione emergenziale rinunciando ad esprimere qualunque cosa: una maggioranza, un governo, un premier. Persino un Presidente della Repubblica. Una legislatura in cui molti partiti (d’accordo, non tutti) si sono regolarmente divisi in due, alla fine tra governisti e antigovernisti.  Questo è il vero tema spartiacque.

Se si prolunga questa malattia, finirà per non esserci più una situazione di pronto soccorso. Perché si parlerà di patologie terminali.

  • Oggi monumentale appare l’assenza di verità nel centrodestra inteso come coalizione, in cui l’accordo è su niente, salvo che chi prenderà più voti guiderà. Su cui i patti non si fanno sul merito ma sulle tendenze dei bacini elettorali.
  • Irrisolto però appare il conflitto su opposte verità nel centrosinistra, con situazioni dilanianti già viste che abitualmente tolgono di mezzo provvedimenti coraggiosi e necessari per salvare apparenze funzionali ad assicurare i posti.

Le giravolte di queste ultime ore – non entro nel merito perché i cambiamenti sono al minuto – sono parte di questi conflitti, in cui si mescolano rispettabili questioni di principio insieme a  meno evidenti questioni di convenienza, che dipendono più dal problema dei partiti di mantenere posto agli uscenti. Chi sente meno questo argomento è naturalmente più libero di agire.

D’accordo, c’è l’estate di mezzo. Gli italiani percepiscono e non percepiscono. I vecchi vizi non si correggono in due mesi. La rappresentazione della campagna elettorale appare pirandelliana. Fondamentalmente basata sull’idea del “falso sé” (che ognuno attribuisce agli altri). Come nei matrimoni destinati a fallire o nelle imprese non fondate sul mercato trasparente.

Sergio Mattarella si prepara insomma alla parte più difficile del suo mandato: come convivere con quello che una volta tutti chiamavano “il teatrino” criticandolo.  Che appare come l’unico copione in bacheca. 

Salvo che sindaci e amministratori locali che conservano fiducia e credibilità non si facciano sentire.

E salvo i conti che devono fare ancora tutti gli italiani con il diritto di Mario Draghi di parlare nelle sue funzioni. E quando parla la sensazione percepita di recente da molti lavoratori e pensionati,  è che c’è anche un’altra Italia nella rappresentazione.

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