Su Il Mondo Nuovo / Audio / 12 settembre 2022

Il biglietto da visita che vorrei porgere oggi è quello della rappresentazione degli anziani.
Anziani, diciamo dai settanta agli ottanta. E anche più anziani, dagli 80 in su.
Ne conosco molti vitali, vitalissimi, propositivi, interessati al futuro.
Io stesso, pur ancora abbastanza connesso alla vita professionale e civile, ho acquisito il titolo anagrafico-previdenziale di “pensionato” e quindi sono parte della rappresentazione.
Parto da lontano. Un archetipo storico.
La fondazione di Roma avvenne grazie alla drammatica tribolazione di Enea che fuggiva dal campo sconfitto dei troiani e raggiungeva perigliosamente l’Italia.
La metafora del fondatore, del perno anagrafico della generazione che costruisce il cambiamento, è che Enea è un uomo forte. Che tiene per mano un bambino e sulle spalle il padre. È lui a connettere le generazioni che producono il passaggio al futuro. Giusto che sia così. Ma non è giusto che quel bambino e quell’anziano vengano privati del diritto di interpretare una domanda. Rivolta alla società, ai poteri, al loro tempo. E, in generale, privati del diritto di avere titolo per negoziare – ancorché per delega – attorno ai contenuti di quella domanda che mantiene uno in tensione verso la responsabilità e l’altro in tensione verso la custodia creativa della memoria.

Questo è il punto che vizia, che stravolge, il senso di “patto”, di “lecita offerta”, che c’è dietro ogni biglietto da visita. Rispettare la tua attesa, ma riconoscere il diritto alla altrui domanda.
Il costume sociale ha pagato un prezzo a un piccola minoranza – la finanza che controlla alcune imprese e il condizionamento elettorale che controlla alcuni ambiti della politica – non ostacolando più di tanto una certa gerontocrazia. Fenomeno che in quegli ambiti è sempre esistito e che ancora esiste.
Ma ha fatto pagare un prezzo eccessivo alla qualità media della vita degli anziani. Scoraggiando la loro continuità produttiva, sia in ambito privato sia in ambito pubblico (dove ogni prestazione di un pensionato oggi deve essere gratuita) anche quando essa è richiesta perché portatrice di necessaria esperienza.
Anziché disegnare ruoli di contenuto rispetto a ruoli di gestione (come è per i media in cui un direttore deve essere nel pieno delle energie, ma un notista o un editorialista basta che scriva cose interessanti e pertinenti), si è favorita una tesi populista. Quella per cui tenere in panchina gli anziani è garantire la liberazione di posti.
È una tesi che andrà forse bene per una società arcaica fondata sul lavoro manuale. Non per una società complessa, con un’economia largamente smaterializzata. Non per una società in cui il potenziale lavorativo tra i settanta e gli ottanta anni è ancora superiore al 50%.
Le soluzioni non solo facili, ma richiedono volontà e progetti. Nel primario scopo di rilanciare la capacità produttiva di una comunità – territoriale e nazionale – perché non c’è un’altra via per mettere basi sane allo sviluppo, questo tema dovrebbe essere nei programmi elettorali. E non c’è una riga. Dovrebbe essere nei parametri contrattuali. E gli spunti sono finiti nell’acido muriatico.
Attaccando l’etichetta di “improduttivo” alle anziane e agli anziani si è invece commesso un abuso sociale.
E’ una cosa legata alla cultura previdenziale che, nel corso degli anni, ha imposto l’etichetta della de-valorizzazione degli anziani. Che corrisponde all’idea sovrastante di Enea, l’uomo forte rispetto a donne, bambini e anziani. E al tempo stesso si è persa l’opportunità di mettere in campo un vero alleato per la crescita di mobilità e di carriera dei giovani e dei giovanissimi.
Così come servirebbe almeno un terzo degli anziani in campo a lavorare – nelle forme e nelle condizioni adeguate – così deve essere bilanciato il sistema con soluzioni da trovare alla svelta per almeno un terzo tra giovani e giovanissimi, cominciando da chi è fuori tanto dallo studio quanto dal lavoro. Cifre da capogiro.
Ne faccio un problema di “biglietto da visita” perché è stata introiettata dai più la delegittimazione. Questo e’ da tempo il carattere della ”rappresentazione”.
Sei vecchio e non hai più diritto ad avere una domanda. Una domanda per te, per le cose che sai fare, per la tua parte da svolgere nel campo creativo e produttivo. Per l’esercizio di una tua quota di responsabilità.
È accettabile invece la tua domanda solo come consumatore. Se alla tua domanda attacchi i soldi allora vieni ascoltato. Ma se pretendi di conservare – magari in forma allusiva – un diritto a compensi corrispondenti a meriti, beh questo è un rischio che il sistema non vuole correre.
E infatti ti mette in panchina prima che tu abbia modo di farti sentire. Qualche carta da giocare la hanno gli intellettuali. Quelli a cui il diritto di parola costa qualche neurone ma tutto sommato poca finanza (perché se fai mestieri intellettuali costosi il problema si ripropone). Ma lo spazio degli intellettuali è vistoso ma statisticamente irrilevante. Sarebbe bello se si riaprisse seriamente lo spazio per gli artigiani, ma qui le componenti in gioco sono assai complesse.
Dice il socio-analista Carlo Pelanda, facendo buona sintesi di quello che ho provato a dire: “Alla domanda su quale beneficio possa compensarne i costi, la riposta è sistemica: la previsione di una vecchiaia attiva e non marginalizzata è un fattore di fiducia che si traduce in maggiore propensione al consumo e, quindi, in sostegno alla crescita. Inoltre, l’estensione facoltativa dell’età lavorativa fino agli 80, ed oltre in alcuni casi, aumenterà il tasso di occupazione e, alla fine, quello di produttività “
Non posso pretendere in questo angolo narrativo altro che lanciare il tema.
Spero pero’ che ci sia qualcuno che mi contraddica. Perché allora sarò autorizzato ad usare l’artiglieria di dati e citazioni che ho, ma che tenuto oggi al coperto.
Grazie e a risentirci