Università IULM, Milano
OSSERVATORIO SULLA COMUNICAZIONE PUBBLICA, IL PUBLIC BRANDING E LA TRASFORMAZIONE DIGITALE
Dipartimento Business, Diritto, Economia e Consumi – Business, Law, Economics and Consumer Behaviour
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Direttore scientifico: prof. Stefano Rolando
Dossier Astensionismo 2022

Approfondimento del tema connesso alla dinamica di “non voto” nel contesto elettorale italiano. Alcuni testi di problematizzazione. Commenti e opinioni nel dibattito pubblico recente. Le previsioni degli operatori di analisi demoscopica italiana. Nel giorno di stop alla diffusione dei sondaggi (10 settembre) Le ipotesi che sommano astenuti e indecisi sono tra 41% e 44,5%. Una selezione del dibattito pubblico in Italia, intesa come servizio cognitivo e di documentazione della comunità didattica dell’Università IULM di Milano. Aggiornamento del dossier al 30 settembre: i dati definitivi dell’astensione e i primi commenti
Milano, agosto/settembre 2022
Indice
Presentazioni
- Guido Di Fraia
- Stefano Rolando
Problematizzazione
- Le previsioni della demoscopia italiana. Astensionismo primo partito
- Stefano Rolando – Astensionismo, sfida per la democrazia futura
- Federico D’Incà – Intervista sull’election pass (L. Garofalo, Kei4biz)
- Nando Pagnoncelli – L’ultimo sondaggio; indecisi oltre il 10%,
astensionismo record (Corriere della Sera)
Contributi recenti
- Openpolis – Perché cresce il partito del non voto
- Angelo Perrone – Astensionismo e partecipazione
- Stefano Rolando – Eurobarometro – UE fotografa sentiment europei
- Marzia Gazzo – Trend partecipazione a elezioni politiche
- Giorgia Serughetti – Ragioni non voto e rischio del vuoto (Domani)
- Giuseppe De Rita – Politici prigionieri dei social. Non mobilitano – (intervista a cura di Stefano Cappellini, Repubblica)
- Marco Damilano – “Il Cavallo e la torre” – Al via, tema gli indecisi al voto
- Riccardo Luna – Giovani, il voto perduto (Repubblica)
- Stefano Rolando – Astensionismo: diritto, scappatoia, menomazione?
- Gabriele Bartolini – Sei milioni senza voto (Espresso)
- Marco Lo Conte – I partiti sbarcano sui social per conquistare i giovani 18-25 anni (8% dell’elettorato) – Sole 24 ore
- Vitalba Azzollini – L’astensionismo concentrato tra i poveri e i giovani del sud mette a rischio la democrazia
- Roberto Saviano – L’astensionismo ai partiti piace: meno persone votano, più il risultato è controllabile (Corriere 7)
- Infodata – Uno su quattro non ha votato. Quanti saranno domenica? (Il Sole 24 ore)
- Enzo Risso – Settant’anni di non voto – (Domani)
- Giuliano Cazzola – Astensionismo volontario, astensionismo involontario.
Coinvolgimento della comunità IULM – Un invito alla discussione
Esiti del voto in merito ad astensioni e voti nulli e primi commenti
- I dati
- Emanuela Valente – Astensionismo record: 63,91% dato più basso di sempre
- Franco Astengo – Vincono astensione e sondaggisti.
- Walter Veltroni – Astensione. Solitudine (e perché) del non voto (Corriere)
Chiusuraredazionale
Presentazioni
I testi introduttivi sono stati scritti prima dell’apertura delle urne. Gli esiti (riportati a pag. 51) hanno confermato le previsioni in materia di astensione (36,2%) e di voto nullo espresso fino a sfiorare il 40%. Suggerendo un aggiornamento di questo testo con questi dati e i primi commenti.
Istituzioni, elezioni e public engagement delle Università
L’imminente scadenza elettorale (25 settembre) è carica di attese e interrogativi. Il contesto è delicato e difficile, nel mondo e certo anche da noi. Le risposte elettorali non sono “tutto”. Ma rimangono un indicatore democratico in ordine alla probabilità che i problemi aperti abbiano (o meno) attenzione, analisi, risposte. Dunque, potenzialmente tutti dovrebbero essere interessati agli esiti, tutti dovrebbero partecipare a configurare deleghe veramente rappresentative che corrispondano alla domanda esplicita ma anche a quella meno esplicita dei cittadini. Le previsioni demoscopiche ci parlano, invece, di una forbice di disinteresse al voto che va (per ora, comprendendo anche gli indecisi) dal 30 al 45%. E con la fascia giovanile che si colloca per più di un terzo nel limbo dell’astensione. Così si finisce per ammettere – come scrive Stefano Rolando in uno dei suoi interventi introduttivi a questo dossier – che alla fine “la democrazia è chi c’è”.
Ce n’è abbastanza per sollecitare un Ateneo che presidia disciplinarmente molti dei temi che hanno a che fare con elezioni, partecipazione, voto, responsabilità sociale, a patrocinare un’iniziativa di approfondimento e di coinvolgimento. Un apprezzamento da parte mia va dunque all’Osservatorio sulla Comunicazione Pubblica, diretto scientificamente dall’amico e collega prof. Rolando, per avere messo insieme – un’altra volta, dopo i contributi dati in materia migratoria, sulla pandemia e sulla guerra russo-ucraina – anche un agile ma denso dossier dedicato all’astensionismo. Promuovere l’attenzione della comunità universitaria – docenti, studenti e personale amministrativo – è parte del crescente obiettivo di public engagement delle università italiane. E, insieme all’apprezzamento per l’iniziativa, anche l’occasione per favorire il riscontro di opinione nell’ambito della comunità didattica della nostra Università.
Guido Di Fraia (Docente di Metodologia e tecnica della ricerca sociale. e prorettore all’Innovazione e all’Intelligenza Artificiale, Università IULM)
Un fenomeno complesso, che riguarda tutte le generazioni. Ma cresce l’attenzione riguardo ai giovani 18-25 anni.
Il trend in costante crescita dell’astensione alle elezioni (a partire dalla fine degli anni ’70, con accentuazioni negli ultimi venti anni) e la previsione degli istituti demoscopici italiani di un ulteriore aumento del fenomeno in occasione delle elezioni politiche in Italia del 25 settembre 2022, con diffusi riferimenti anche alla fascia di elettorato giovanile dai 18 ai 25 anni (l’1 settembre SWG stima l’astensione giovanile tra il 34 e il 38%) , hanno indotto l’Osservatorio sulla Comunicazione pubblica dell’Università IULM a promuovere questa iniziativa di approfondimento e dialogo con la comunità degli studenti. In particolare i materiali sono qui repertoriati come traccia del dibattito pubblico su questa materia, che è oggetto di abituale approccio dell’ambito disciplinare della Comunicazione pubblica e politica. Come si vedrà dal blocco delle testimonianze raccolte il tema non è al centro del dibattito elettorale, ma non è stato del tutto emarginato sui media, che hanno anche intensificato un po’ le analisi. Mettendo in rilievo che un progetto per la riduzione del non voto era stato messo a punto dal governo Draghi, ma lo scioglimento del Parlamento ne ha vanificato la trasformazione in norma e quindi l’attuazione.
Per agevolare valutazioni e opinioni più documentate, l’Osservatorio ha predisposto questo dossier che contiene all’inizio una sintesi della problematizzazione connessa al tema dell’astensionismo, comprendente anche un survey sulle previsioni circa il non voto su cui tra luglio e agosto si sono espressi quasi tutti gli istituti demoscopici. Poi alcuni articoli pubblicati di recente finalizzati a vari aspetti del fenomeno, in approfondimento di tematiche generali e specifiche. Si ringrazia vivamente tutti coloro che vorranno partecipare alla discussione su questa materia. In una redazione conclusiva si terrà conto dei contributi eventualmente espressi.
Stefano Rolando (Docente di Comunicazione Pubblica e Politica e direttore scientifico dell’Osservatorio sulla comunicazione pubblica, Università IULM)
Osservatorio IULM CP – DOSSIER ASTENSIONISMO – PROBLEMATIZZAZIONE /1
L’astensionismo sarà il primo partito italiano espresso dalle urne il 25 settembre.
Previsioni, motivazioni e ambiti di incertezza ancora da sciogliere,
nelle opinioni della demoscopia italiana.
Osservatorio sulla comunicazione pubblica IULM proporrà ad inizio di settembre un profilo dei dati e delle previsioni agli studenti chiamati (alcuni per la prima volta) al voto
Stefano Rolando
Articolo pubblicato sul giornale online L’Indro (8.8.2022 – h. 13.30)
- https://lindro.it/elezioni-2022-astensionismo-primo-partito-italiano-nelle-urne-del-25-settembre/
- https://stefanorolando.it/?p=6129
Il termometro impennato sui 40, le piazze deserte, l’affollamento delle spiagge.
Questo è il perimetro in cui si è avviata la prima campagna elettorale italiana lampo e digitale.
In cui i social sostituiscono i comizi, riducendo a tre righe i “ragionamenti” e creando un po’ artificialmente il clima di passioni e confronti che le elezioni portano per definizione con sé.
Mentre, come si sa, cresce il più grande partito della storia repubblicana italiana, il PdA, che non è – come dice la sigla – il più piccolo ma anche il più autorevole partito della Costituente (cioè il Partito d’Azione), ma il partito sommatoria di tutti i difetti, le contraddizioni e le involuzioni della politica italiana, sia dal lato dell’offerta che dal lato della domanda: il Partito dell’Astensione.
Nando Pagnoncelli (Ipsos) inaugura le valutazioni di inizio agosto indicando al 40,6% la quota prevista per astensionisti e indecisi, ridotta di due punti rispetto alla fase precedente lo scioglimento delle Camere, ma con i due “eserciti” ancora mescolati, dunque con probabile riduzione del numero finale degli astenuti.
Altri responsabili dei sondaggi demoscopici cominciano, con l’inizio di agosto, a fare previsioni. Sfogliando la stampa della prima settimana di agosto (elementi raccolti dam Mattino e Messaggero) se ne trova ampia traccia. Nicola Piepoli non pensa a crolli elettorali, parla del 3% di diminuzione dell’affluenza, in linea con le tendenze europee, facendo una sola riserva: cioè il possibile risveglio del “popolo del centro-sinistra” per arginare la vittoria già assegnata sulla carta al centro-destra (che in queste elezioni sembra aver dimenticato il “centro” nel cassetto). Renato Mannheimer vede invece nel crollo delle illusioni dell’elettorato dei Cinquestelle la fonte maggiore dell’astensionismo a fine settembre. Pari al movimento di fuga di una parte dei dirigenti e parlamentari del partito che vinse con il 33% le elezioni nel 2018. Maurizio Pezzato guarda ai dati delle ultime amministrative: uno su due non ha votato. E si trattava di dare una guida a casa propria. Stima un calo di affluenza rispetto al 2018, ma non un tracollo.
Il quotidiano Domani (Stefano Iannacone) riflette invece sulla novità rappresentata dal voto per il Senato – per la prima volta – dei ragazzi dai 18 ai 25 anni, considerando questo segmento “un fattore decisivo per decretare il vincitore”, ma accettando l’idea che nel complesso proprio i giovani saranno anche il fattore di vera alimentazione dell’astensionismo, stimato fino al 45%. Stando alla logica delle intenzioni di candidature di vari partiti (il PD in testa) non pare che la questione sposti molto l’idea di far prevalere robuste e longeve continuità. Tanto che Federico Benini (Winpoll) – come scrive Domani – parla di debole e ininfluente partecipazione giovanile mentre Antonio Noto spiega: «I partiti fanno più ricorso alla tattica che ai contenuti. Candidano i giovani, pensando di ottenerne il consenso, ma non cercano di intercettarli con gli argomenti». Ed è ancora Domani (Giovanna Faggionato, 6 agosto) a ricordare meritoriamente il milione e mezzo di giovani “italiani” che la burocrazia tiene appesi non dando loro ancora la cittadinanza e quindi il voto.
Anche Il Sole 24 ore entra nel dibattito sulle previsioni concentrandosi (Riccardo Saporiti, 5 agosto) sulle rimescolate e per certi versi sconvolte attitudini dell’ex-elettorato Cinquestelle: il 41,8% di quegli ex-elettori conferma la fiducia, il 10,5% andrà in dichiarata astensione, l’11,7% darà il voto al PD, mentre poco meno, cioè il’11,4% andrà dall’altra parte, votando FdI. Allo scissionista Luigi Di Maio andrà il 10,7% di quel voto. Il 14,4% non sa ancora come comportarsi, ma nessuno esprime intenzioni verso la Lega.
Molte voci in campo
Il blog Le Nius propone (22 luglio) un riepilogo delle previsioni di molti istituti demoscopici (Davide Fracasso). Tra CD e CX la partita non è vista in modo assertivo e scontato. C’è chi esprime ragioni per una parte, chi per l’altra, oggi con maggiori probabilità per il CD. Tra i tanti istituti interpellati però solo Euromedia stima gli astenuti, ipotizzando il 35,3%,
Riccardo Grassi, direttore di ricerca dell’istituto Swg, rilascia a Moked (portale dell’ebraismo italiano, 5 agosto) un’ampia intervista proprio sui rischi dell’astensionismo che parte da una valutazione generale: “La grande sfida che accomuna tutti i partiti: riacquistare fiducia in un elettorato sempre più distante e meno propenso a partecipare”. Poi un’osservazione non scontata nel dibattito in corso: “Sempre sull’onda della caduta dell’esecutivo, gli italiani stanno premiando i partiti che hanno tenuto una rotta, sia a favore che contro, mentre stanno punendo quelli che hanno cambiato atteggiamento in corso d’opera”. E infine l’argomento specifico: “L’astensionismo comunque rischia di essere il grande vincitore di queste elezioni”.
Lo psichiatra Paolo Crepet (intervista all’Agenzia Italia del 25 luglio) non introduce valutazioni demoscopiche ma demopsichiche e fa riferimento alle tendenze di comportamento nel corso dell’estate: “Il problema sarà per gli indecisi e per coloro che, normalmente, non votano per ideologia. L’indeciso normalmente studia le proposte dei partiti, approfondisce e poi sceglie. Ma ad agosto le persone non hanno voglia di pensare alla guerra, alla crisi energetica, alle bollette e ai futuri pandemici. Di certo non sarà il voto a fine estate a far cambiare i programmi delle persone. La gente ha diritto allo svago, per i partiti sarà meglio mantenere un profilo più basso rispetto alle solite campagne elettorali“.
Affronta invece il tema nel suo complesso il blog Openpolis, con dovizia di infografiche che si estendono al fenomeno di fiducia e sfiducia nei confronti del sistema pubblico, che si mantiene sulla linea della crescita del non voto, con questa argomentazione: “Nonostante votare in Italia sia un dovere civico, sempre più persone decidono di non partecipare. Anche nei paesi in cui questo dovere è stato formalmente impostato come obbligo, il partito del non voto è in crescita. Nel resto dell’Unione europea, sia nelle elezioni che coinvolgono tutto l’elettorato (come quelle per il Parlamento europeo), che in quelle locali, i numeri sono in linea con quelli del nostro paese, se non addirittura peggio. La notizia, dunque, non è tanto il basso livello di partecipazione, ma la ragione per cui gli italiani decidono di non votare. Il calo dei numeri è coinciso con lo scandalo Tangentopoli e l’inizio della seconda repubblica. Fino all’inizio degli anni ‘90 il tasso di partecipazione era poco sotto il 90% (nel 1992 votò l’87,35%), nel 1996 si è scesi all’82,80%, fino ad arrivare al punto minimo per un’elezione politica nel 2013, quando andò alle urne solo il 75,20% degli elettori”.
Per capire l’evoluzione comparativa dell’astensionismo in Italia sarà utile ricordare che l’Italia è posizionata in Europa (rispetto alle elezioni per il PE) al quinto posto per astensionismo tra i 27 membri, dopo Belgio, Lussemburgo, Malta e Grecia.
Insomma, ancora non in vista dei nastri di fine corsa, la previsione tecnica circa l’astensionismo resta in una forbice fluida che va dal 35 al 45 per cento. La possibilità di contenere o di espandere viene individuata nel rapporto con l’elettorato giovanile – con fattori di motivazione a votare e a non votare che vengono segnalati – su cui qualche riconsiderazione può essere fatta in corso d’opera.
Sempre ricordando che per il diritto parlamentare l’astensionismo non è un crimine nel senso che “gli astenuti risultano presenti durante la votazione ma non si esprimono”.
Su queste basi Osservatorio sulla comunicazione pubblica dell’Università IULM di Milano – a fronte del campione di elettorato rappresentato dai propri studenti, tutti in fascia votante e alcuni per la prima volta – ha reputato di avviare una ricognizione sugli aspetti tecnico-previsionali (più sopra indicati in linea di massima) per prospettare nella prima parte di settembre agli studenti un’analisi del tema e per promuovere un’ultima più ragionata argomentazione attorno al diritto-dovere civico del voto.
Osservatorio IULM CP – DOSSIER ASTENSIONISMO – PROBLEMATIZZAZIONE /2
L’astensionismo, sfida per la democrazia futura.
Tema di battaglia elettorale che comporterebbe speciale intelligenza comunicativa[1].
I partiti in lizza hanno un’idea meditata, non generica e retorica, per quella quasi mezza Italia che per ora non voterebbe ovvero che non sa come votare e che in larga parte non si fida?
Stefano Rolando
Professore di Comunicazione pubblica e politica all’Università IULM di Milano e condirettore di Democrazia Futura
Testo scritto per Democrazia futura/n. 6 2022 anticipato dal magazine online Key4biz il 22.8.2022
Tabelle pubblicate da Key4biz (26.4.2022)
Prima parte
I sondaggi pre-elettorali di agosto producono la solita schizofrenia. Sono presi terribilmente sul serio quando premiano e vengono considerati inattendibili quando sono pessimisti.
In verità l’elettorato in agosto è distratto dalle ferie. E la conflittualità, quella esplicita e quella latente, che c’è tra i partiti, tesi finora più a denigrare l’avversario che a spiegare in modo convincente i programmi, tende ad essere un respingente.
Per questo un dato finora indiscusso da tutti è che l’astensionismo prevalga come il partito – o per meglio dire il non-partito – con più consenso. Alla fine delle loro rilevazioni non tutti ma quasi tutti gli istituti di sondaggio che si sono fin qui espressi buttano lì un dato che, anche quando è prudente e contenuto, supera di gran lunga la previsione degli esiti dei partiti maggiori.
Sommando astenuti convinti e astenuti per ora indecisi la forbice delle previsioni è dal 35 al 45 per cento. Appunto la partita principale si gioca sugli indecisi, che abbasseranno la soglia dell’astensionismo e potranno incidere sui risultati finali o per lo meno sui risultati di molti collegi oggi contendibili, talvolta anche capovolgendo i pronostici.[2]
La fascia dei giovani (18-25 anni) presenta questa contraddizione. È quella che fa alzare di più per il momento l’asticella della potenziale astensione. Ma è anche quella che vota per la prima volta per il Senato, costituendo in questo segmento una potenziale sorpresa.
Il Sole 24 ore ha dedicato una specifica analisi alla scomposizione del voto di chi ha dato nel 2018 la preferenza a Cinquestelle, facendone il primo partito italiano scelto da un terzo dell’elettorato. Riccardo Saporiti, il 5 agosto, stima che il 42% alla fine manterrà la preferenza per questo partito che continua a definirsi “movimento”, mentre quasi il 12% preferirà spostarsi sul PD, l’11% sceglierà la scissione di Luigi Di Maio, marginale è il voto verso le destre, mentre il 10,5% è in dichiarata astensione e il 14,4% va considerato ancora indeciso[3].
Nel caso di Cinquestelle si tratta di corpose masse di voti. Dunque, con sorprese ancora possibili.
Ma comincia ad emergere una analisi in generale riguardante la sfida di punta tra il centrosinistra a trazione PD e il centrodestra a trazione Fratelli d’Italia. Stando alle elezioni del 2018 il potenziale astensionistico del Centrosinistra appare doppio di quello del Centrodestra.
La somma di questi due argomenti – indecisione in 5Stelle ma per ora senza inclinazione verso la destra e problema di seria concentrazione di un potenziale distacco dal voto originato da ex-elettori del Centrosinistra – farebbe così propendere che il lavoro su indecisi e astenuti più ha successo più dovrebbe premiare il riequilibrio tra l’attuale vantaggio del Centrodestra e una possibile rimonta del Centrosinistra. Tutto dipenderà da due fattori:
- il modo con cui CS e TP tratterranno la specifica comunicazione verso astenuti e indecisi, entrando con intelligenza e non con luoghi comuni nelle ragioni della riluttanza;
- il ruolo che potranno avere i soggetti civili, civici (quelli realmente civici non quelli inventati a scopo elettorale da alcuni partiti), associativi, valoriali scegliendo di svolgere a loro modo una campagna elettorale nella fase cruciale di settembre, magari sostenendo candidati socialmente o civicamente significativi soprattutto per i territori e non perché “nominati” (più che eletti) dalle segreterie dei partiti.
Seconda parte
La parte che segue costituisce un prolungamento del testo, che non ha fatto parte del podcast – contenuto in sette minuti di audio – pubblicato dal giornale online Il Mondo Nuovo il 22 agosto.
Prolungamento per entrare ora un po’ più nelle ragioni del fenomeno.
Vi è dunque un modo più organico di porsi davanti a questo argomento.
Brevemente qui sintonizzato con recenti prese di posizione, pur in un dibattito non in primo piano.
Malgrado l’iniziativa di analisi e di proposta di contrasto al fenomeno presa dal governo Draghi a fine 2021 giunta a conclusione nel recente aprile, a cui si fa in seguito riferimento più adeguato.
Resta su questo argomento scarsa considerazione politica e sostanziale marginalità mediatica. Ed è dunque utile, nel quadro della campagna elettorale, cercare di indagare le cause e rapportarle se possibile alla fasce di età, ai territori, alle dinamiche sociali ed economiche.
Ad un primo esame appaiono almeno fenomeni diversi:
- un astensionismo tecnico-elettorale: causato da problemi organizzativi, logistici e di regolarità dei documenti necessari a votare; tra cui emerge il problema dei “fuori sede”;
- un astensionismo fisiologico: causato da motivi personali legati alla salute dell’avente diritto al voto che sceglie di non votare per motivi personali;
- un astensionismo di non integrazione, determinato dalla normativa sulla cittadinanza che riguarda giovani possibili votanti nati in Italia ma non legittimati;
- un astensionismo per sfiducia e protesta: causato da mancata fiducia nella politica, nel potere decisionale del singolo, nel non vedere risolte dagli eletti questioni considerate rilevanti.
Nel 1976 l’insieme delle cause totalizzavano il 6,6% di voto mancato.
Il «grande balzo» è tra le elezioni del 1975–76 e quelle del 1979–80, quando i non votanti crescono percentualmente di circa il 50% (+ 53% alla Camera, +43,3% al Senato). Analogo incremento nelle schede bianche come in quelle nulle (entrambe in progressivo calo fin dalle elezioni del 1968), che — sempre tra il 1976 e il 1979 — crescono rispettivamente del 40,7 % e del 56,1% (alla Camera).
Il miglioramento tecnologico-organizzativo delle condizioni partecipative di questi ultimi quarant’anni (di cui 25 in epoca digitale) – con riferimento alla “macchina elettorale” istituzionale – fa intendere che non sia sui meri aspetti tecnico-burocratici (pur esistenti) la prima causa dell’incremento. Ove si trovasse la garanzia per la sicurezza del voto esercitato individualmente e segretamente in forma digitale e addirittura da remoto, si potrebbe comunque neutralizzare certamente una parte importante della non fruizione del diritto di voto.
Dunque, la crescita del non voto deve far prevalente riferimento alla sommatoria delle cause individuali, di cui quella di sfiducia/ protesta appare la più significativa. In ogni caso alcuni aspetti tecnico-burocratici vanno considerati anche in forma critica per la persistenza di problemi segnalati da tempo ma non risolti come quella degli elettori “fuorisede” (5 milioni di cittadini) per i quali “anche quest’anno non sono previsti interventi per tutelare il loro diritto di partecipare al voto” [4].
Vero è, al tempo stesso, che un fattore intermedio, tra l’influenza della crisi dei partiti e gli aspetti tecnico-organizzativi, tra le motivazioni dell’aumento dell’astensionismo riguarda il nesso diretto tra queste due questioni. Ciò il declino del radicamento territoriale dei partiti fino a un vero e proprio sfaldamento che lascia parti ampie del paese solo rendendo possibili relazioni affidate ai media e alla rete. Nella curva crescente del fenomeno va segnalata la crucialità dell’anno 2008, in cui si verificò la maggior crescita di astensionismo elettorale del dopoguerra, assieme a quella del 1996[5].
Astensionismo e rischio democratico
La complessità del fenomeno comunque è pari alla scarsa rilevanza di una vera preoccupazione pubblica e civile per trasformare questa complessità in consapevolezza collettiva, come scrive Donatella Natta introducendo un interessante dossier con molteplici testi accessibile in rete:
“Fatta eccezione per alcuni tipi di consultazione, solo i voti considerati validi concorrono a produrre effetti tangibili sugli esiti dei confronti elettorali”.[6]
Riccardo Cesari, professore ordinario di Metodi matematici per l’economia e le scienze attuariali e finanziarie dell’Università di Bologna, conferma l’ipotesi di un balzo delle astensioni rispetto all’andamento che finora – salendo progressivamente dalla fine degli anni ’70 – ha sfiorato ma non ancora superato il 30% alle elezioni politiche nazionali. Anche se le recentissime amministrative hanno segnalato un netto aumento delle astensioni raggiungendo la cifra del 45% e ancora ricordando che alle elezioni europee del 2019 votarono – cifra record al ribasso – meno del 55% degli elettori). Cesari pone tuttavia un problema di rischio democratico, così espresso:
“Se, per conoscere l’opinione di una popolazione, se ne intervistasse un campione del 60 per cento si otterrebbero risultati molto rappresentativi. Tuttavia, è così solo perché quel 40 per cento che non si è contattato o che non ha risposto è un gruppo casuale e la sua assenza non inficia la rappresentatività del restante 60 per cento. Se, viceversa, quel 40 per cento di assenze è un gruppo sistematico, per esempio tutte donne, o tutti meridionali, o tutti del Nord, o tutti giovani, il risultato di quel sondaggio uscirebbe fortemente distorto e per nulla rappresentativo dell’intera popolazione. Qui sta il problema” [7].
Alla ricerca di una causa rilevante che ha spinto e spinge verso l’astensione il prof. Cesari non indica preliminarmente un fattore di razionale giudizio critico nei confronti della politica, ma l’incidenza – in generale e nelle fasce giovanili – del fattore “povertà”. Con questa argomentazione:
“Tra gli aspetti che aiutano a spiegare questi livelli di astensionismo, oltre a questioni logistiche, di costi-opportunità, di habit formation e di forme alternative di partecipazione attiva, credo abbia un ruolo la morsa della povertà, nella doppia tenaglia dei problemi più pressanti che incombono sul potenziale elettore e della forte disillusione che la politica sia ancora capace di darvi una risposta”.
Anche in questo la “distorsione democratica” è espressa da una netta distinzione territoriale in cui il fenomeno ha caratteri molto più evidenti nelle regioni meridionali, rispetto a quelle centro-settentrionali. Riccardo Cesari riprende infatti questo tema in un secondo contributo:
“La relazione tra povertà e astensionismo elettorale oltre a spiegare una quota elevatissima (63%) della variabilità interregionale dell’astensione mostra molto nettamente, nei dati 2018, il ritorno di un dualismo Nord-Sud che si pensava almeno in parte superato”.[8]
Roberto D’Alimonte entra con più nettezza nell’ambito delle cause di sfiducia e di protesta:
“Non esiste un unico motivo per cui sempre meno elettori vanno a votare. Ma tra i vari fattori esplicativi occorre metterne in rilievo soprattutto uno che abbiamo indirettamente già citato a proposito dei referendum: la crisi dei partiti. Al tempo della Prima Repubblica i partiti svolgevano una funzione essenziale di socializzazione, di informazione e di mobilitazione. Non è un caso che l’astensionismo sia cominciato a crescere sensibilmente dall’inizio della Seconda Repubblica dopo il tracollo dei partiti che erano stati i protagonisti della Prima. Il crollo della fiducia nei partiti ha portato con sé il crollo della partecipazione. A livello di elezioni politiche tra quelle del 1994 e quelle del 2018 l’affluenza è calata di quasi quattordici punti percentuali. A livello di elezioni europee è calata di più e lo stesso dicasi ai livelli inferiori. Vedremo cosa succederà alle prossime politiche nella primavera del 2023. È probabile che si sforerà al ribasso la soglia del 70%”. [9]
Sempre nel dibattito d’agosto l’analisi della crescita senza soste dell’antipolitica nell’Italia del terzo millennio è un fattore di rilievo nell’impennata delle astensioni. Francesco Raniolo, docente di Politica e comunicazione all’Università della Calabria, risponde ai quesiti del settimanale Panorama con queste osservazioni:
“L’affermarsi della cosiddetta antipolitica ha alimentato quella che è chiamata spirale del discredito, che ha investito la politica e i suoi principali oggetti: partiti, classe politica e Parlamento innanzi tutto. Si aggiunga che questa cultura dell’antipolitica è cresciuta a dismisura al verificarsi di alcuni eventi cruciali che hanno sconvolto le nostre società democratiche. Mi riferisco prima di tutto alla crisi economica del 2008, specie nell’Europa del Sud, che ha alimentato un potenziale di protesta e di risentimento che ha trascinato l’onda populista”.[10]
È il costituzionalista Sabino Cassese a tornare, nel dibattito ferragostano, sul vulnus democratico del discredito dei partiti dettagliando e analizzando la saettante definizione di Mauro Calise (“fragili, volatili inconsistenti”). Il nodo della riflessione è l’insufficienza di democrazia interna del sistema intero dei partiti italiani, venendo così meno la cornice di legittimazione che Piero Calamandrei espresse alla Costituente il 4 marzo 1947:
“Una democrazia non può essere tale se non sono democratici anche i partiti”[11].
Astensionismo, il recente rapporto promosso dal governo Draghi con proposte rimaste per aria.
Un’analisi storico-sociologica con molti dati disaggregati del fenomeno dell’astensionismo nelle elezioni politiche in Italia, costella queste analisi in un precedente studio, sempre proveniente dall’Università della Calabria, per gli anni 1992-2012[12].
La Camera dei Deputati in primavera ha segnalato un dossier di documentazione governativo sul fenomeno dell’astensionismo in Italia, nel contesto di una crisi parlamentare che aveva portato ad un governo di emergenza nel febbraio del 2021, sottolineando in alto modo istituzionale la condizione di insufficienza dei partiti rappresentati. Per questa ragione il dossier porta per la prima volta in un atto pubblico la ragione della disaffezione come prima causa.
In rete è disponibile l’intera relazione[13] che ha questo incipit:
“Il 22 dicembre 2021 con decreto del Ministro dei rapporti con il Parlamento con delega alle riforme istituzionali è stata istituita la Commissione di esperti con compiti di studio e consulenza, di analisi ed elaborazione di proposte, anche di carattere normativo, e iniziative idonee a favorire la partecipazione dei cittadini al voto, presieduta dal prof. Franco Bassanini. Il 14 aprile 2022 la Commissione ha presentato la relazione finale dal titolo Per la partecipazione dei cittadini Come ridurre l’astensionismo e agevolare il voto. Dalla relazione emerge come siano diverse le cause dell’astensionismo, in primo luogo i sentimenti di protesta e l’indifferenza dei cittadini nei confronti della politica”[14].
Il ministro per le riforme istituzionali Federico D’Incà[15], responsabile del progetto, interviene nella prefazione del Rapporto, dando spessore alla preoccupazione del governo Draghi per il vulnus democratico del fenomeno rispetto alla modalità definita “occasionale” dei partiti di affrontare il tema:
“A fronte di questa vera e propria malattia della democrazia, desta stupore l’attenzione che viene dedicata al tema dalle forze politiche e dai media, che ne discutono quasi solo nell’imminenza delle consultazioni elettorali. Di astensionismo si parla in genere solo nei pochi giorni prima di un voto e in quelli immediatamente successivi. Ma tra un’elezione e l’altra, quando le istituzioni avrebbero tempo di adottare misure concrete, la questione, come un fiume carsico, si inabissa nuovamente e agende politiche”[16].
In una parte del Rapporto sono prese in considerazione le condizioni normative e organizzative del in molti altri paesi al fine di assumere misure di modernizzazione voto (tra cui l’introduzione dell’election pass) che possono concorrere alla attenuazione del processo in crescita.[17] Lo scioglimento delle Camere e l’anticipazione delle elezioni hanno naturalmente derubricato la discussione politico-parlamentare su questo contributo di analisi e sulle misure previste per un programma di contrasto e di incentivazione partecipativa senza che finora la campagna elettorale abbia se non potuto almeno tentato di tenere in agenda realmente il tema.
Ora, a poco più di un mese dalle urne, gli spazi sono stretti per immaginare che il tema trovi un posto nell’agenda elettorale, anche se sorprende un po’ che l’affollamento degli strateghi del marketing elettorale non veda in questo vero e proprio “giacimento” un’opportunità per cui misurarsi seriamente. Ma forse ha per ora ragione Angelo Panebianco che osserva che “nelle elezioni politiche italiane c’è un sovraccarico etico, dato che, secondo le minoranze politicizzate, da una parte e dall’altra si scontrano il Bene e il Male”[18]. Argomento che fa prevalere una comunicazione a base di anatemi e non a base di ragionamenti e proposte concrete. Ma, distribuendosi il sovraccarico in parti uguali, c’è anche da pensare che esso non abbia nemmeno il potere di scalfire gli equilibri del grande esercito che si astiene. 7
Conclusioni
Insomma, l’unico che risulti aver attivato un approfondimento delle cause e messo un comitato di esperti a valutare misure di contrasto attorno a un fenomeno che pur avendo andamenti simili nel mondo è certamente aggravato in Italia da non adeguate misure tecnico-burocratiche e soprattutto da una crisi di fiducia del sistema dei partiti che ha dati inquietanti, è stato (attraverso il suo ministro di competenza) il super-tecnico, indipendente, grand commis dell’economia e della finanza, che i partiti politici italiani hanno indotto a lasciare l’incarico stufi della sua “diversità” e aggressivi in ordine alla necessità di far tornare “la politica” alla guida del paese.
Se ci fosse un progetto altamente politico da considerare a rimedio della fragilità della democrazia italiana esso dovrebbe tener in seria considerazione, nella sua complessità, proprio l’astensionismo, che nel tempo ha portato ad equiparare il diritto al voto al diritto al non voto, come scrive Linda Laura Sabbadini:
“Attualmente è considerato normale recarsi a votare, come non recarsi a votare. Il deporre la scheda nell’urna è percepito sempre meno come un diritto, e ancor meno come un dovere, e sempre più come una facoltà di cui avvalersi”.[19]
Una condizione in cui la connotazione critica nei confronti dell’involuzione dei partiti non trova più nemmeno la necessità di essere espressa e ricordata, facendo prevalere l’interpretazione storicamente costituita dal principio: “la democrazia è chi c’è” (da sempre bandiera della rappresentanza conservatrice e delle classi agiate).
Detto altrimenti la condivisione internazionale del problema, la crescita progressiva inarrestabile, l’utilizzo a fini pratici dei voti validamente espressi come paradigma decisionale, hanno trovato il modo di lasciare ai margini della consapevolezza sociale, generale e diffusa, le ragioni reali della curva crescente del fenomeno, magari anche nel loro reale peso e nella loro gerarchia.
Appunto, è il governo Draghi ad avere messo, in forma ricognitiva ma anche propositiva, il tema in agenda.
La risposta dei partiti politici, aperta la campagna elettorale, è che nessuno ha additato il fenomeno.
Chi scrive nutre qualche fiducia circa il fatto che la questione potrebbe – forse anche dovrebbe – essere sollevata da coloro (per esempio i docenti di materie connesse al tema) che hanno un dialogo aperto con i giovani sull’argomento. Ma soprattutto da chi fa politica e amministrazione pubblica nell’ambito del civismo (quello reale e non quello generato fittiziamente dai partiti in occasione dei turni elettorali) nel quadro di un confronto critico che ha a cuore la rigenerazione della politica.
Tanto per immaginare che – senza neanche discutere la teoria della “democrazia è chi c’è” – il tema della natura e della dimensione degli astenuti riguardi unicamente gli operatori statistici, quelli che hanno infiniti meriti, ma anche un limite: di trattare in generale la realtà come dinamica delle cose avvenute, cioè il passato.
Osservatorio IULM CP – DOSSIER ASTENSIONISMO – PROBLEMATIZZAZIONE /3
Election pass, intervista al ministro Federico D’Incà
Key4biz – 26 Aprile 2022[20]
Intervista a Federico D’Incà, ministro per i Rapporti con il Parlamento.
L’idea dell’election pass: la tessera digitale scaricabile su smartphone o stampabile, come il green pass, che consente di votare anche senza più recarsi al Comune di residenza: “Le proposte, che potranno semplificare e agevolare la partecipazione di oltre 9 milioni di cittadini, circa il 20% degli elettori, sono all’attenzione del Parlamento e del Governo. Le presenterò a breve alle Commissioni Affari Costituzionali di Camera e Senato”.
Il green pass in Italia fa scuola. Con la stessa modalità tecnologica può nascere l’election pass: la digitalizzazione della tessera e delle liste elettorali per agevolare la partecipazione elettorale (consente di votare anche senza più recarsi al Comune di residenza) e per ridurre l’area dell’astensionismo, che è in forte ascesa nel nostro Paese, ma non solo. In Francia, per fare un confronto, nelle recenti elezioni presidenziali, l’astensione ha fatto segnare il livello più alto per un ballottaggio dal 1969, con il 28,01%.
Come vediamo dalle figure 1 e 2, in Italia per le politiche siamo passati dal 93,4% del 1976 al 72,9% delle elezioni del 2018, mentre per le europee la percentuale è scesa dal 86% del 1979 al 56% del 2009.
Figura 1: Percentuale di votanti alle elezioni politiche dal 1948 al 2018
Figura 2: Percentuali di votanti alle elezioni europee dal 1979 al 2019
Fonte: Ministero dell’Interno
L’election pass è una delle sei proposte contenute nel Libro Bianco “Per la partecipazione dei cittadini: come ridurre l’astensionismo e agevolare il voto“ avanzate dalla Commissione di esperti, coordinata da Franco Bassanini,ed istituita il 22 dicembre 2021 con decreto del ministro dei rapporti con il Parlamento con delega alle riforme istituzionali.
Intervistiamo il ministro Federico D’Incà per capire in che modo le 6 proposte potrebbero disinnescare le cause dell’astensionismo involontario (che dipende da difficoltà e impedimenti materiali a recarsi al seggio), garantendo, al tempo stesso, “libertà, personalità e segretezza del voto“, come prevede l’articolo 48 della Costituzione italiana.
La partecipazione al voto è in calo. Per ridurre l’astensionismo e agevolare il voto, quali proposte digitali sono contenute nella Relazione della Commissione di esperti da lei istituita?
In Italia, la partecipazione al voto, un tempo altissima, è venuta progressivamente declinando ed è cresciuto il fenomeno dell’astensionismo. Il Libro Bianco analizza le cause del fenomeno e propone una serie di misure e strumenti utili per agevolare la partecipazione elettorale e per ridurre l’area dell’astensionismo. Sono proposte, tratte per la maggior parte dall’esperienza degli altri Stati democratici e, quindi, già sperimentate sul campo. Nell’ambito di queste proposte la digitalizzazione delle liste elettorali e l’election pass hanno un ruolo trainante per semplificare la vita ai cittadini e favorire la partecipazione, rafforzare la democrazia e la rappresentatività nelle istituzioni. L’altra novità riguarda il voto anticipato presidiato, una modalità di espressione che consente al cittadino di votare in qualsiasi parte del territorio nazionale nei giorni precedenti all’election day. Il voto avviene in apposite cabine elettorali collocate presso gli uffici postali (che hanno una diffusione capillare sul territorio) e, eventualmente, presso altri uffici pubblici come gli uffici comunali o circoscrizionali proprio attraverso il certificato elettorale digitale (election pass).
Perché, secondo lei, l’introduzione dell’election pass può favorire una maggiore partecipazione degli elettori?
L’election pass è il certificato elettorale digitale che sostituirà la tessera elettorale cartacea, da realizzare utilizzando la tecnologia ampiamente sperimentata con il green pass. L’election pass potrà essere scaricato sul proprio smartphone o stampato e sarà verificato in tempo reale al seggio attraverso una apposita app: i cittadini non dovranno più preoccuparsi dello smarrimento della loro tessera elettorale, né di rinnovarla una volta esaurita. Inoltre, l’election pass potrebbe rendere facilmente praticabili nuove modalità di espressione del voto, in particolare il voto anticipato presidiato negli uffici postali o il voto presso un altro seggio nel giorno delle elezioni (all’interno della stessa circoscrizione/collegio).
Con queste nuove proposte emerse dalla Commissione, secondo lei, quale percentuale di astensionismo non volontario si potrebbe ridurre?
L’astensionismo involontario, quello che dipende dalla difficoltà e dagli impedimenti materiali a recarsi al seggio, è molto ampio. Vediamo i numeri: sono 4.2 milioni gli anziani over 65 che hanno difficoltà di mobilità (pari al 9 % degli elettori). Di questi, 2,8 milioni (pari al 6% degli elettori) hanno gravi difficoltà di movimento. Inoltre, sono stimati in 4,9 milioni gli elettori che svolgono la propria attività lavorativa o frequentano corsi di studio scolastici o universitari in luoghi diversi dalla Provincia o Città metropolitana di residenza (pari al 10% degli elettori). Di questi, sono 1,9 milioni (pari al 4% degli elettori) coloro che per rientrare al luogo di residenza attraverso la rete stradale impiegherebbero oltre 4 ore (tra andata e ritorno). Le misure proposte dal Libro Bianco potranno, quindi, semplificare e agevolare la partecipazione di oltre 9 milioni di cittadini, circa il 20% degli elettori, riducendo la percentuale di coloro che non partecipano al voto. È stato stimato che alle elezioni europee gli astensionisti involontari, che hanno difficoltà e impedimenti a recarsi al seggio, sono stati circa il 16/18% degli elettori (alle elezioni europee l’astensione è stata del 45,5 % degli elettori. L’ obiettivo è quello eliminare difficoltà e impedimenti e di facilitare la partecipazione di questi elettori.
Quali i prossimi passi, chi valuterà tutte le proposte?
Le proposte elaborate dalla Commissione sono all’attenzione del Parlamento e del Governo. Le presenterò a breve alle Commissioni Affari Costituzionali di Camera e Senato. Da Ministro per il Rapporti con il Parlamento, con delega alle riforme istituzionali, dedicherò il massimo impegno perché queste proposte diventino realtà. Sono in gioco l’attuazione dei princìpi costituzionali e il rafforzamento della nostra democrazia, che si fonda sulla partecipazione.
Per approfondire:
Leggi il Libro Bianco
“Per la partecipazione dei cittadini: come ridurre l’astensionismo e agevolare il voto”
Per la partecipazione dei cittadini
Come ridurre l’astensionismo e agevolare il voto
Relazione della Commissione di esperti con compiti di studio e consulenza, di analisi ed elaborazione di proposte, anche di carattere normativo e iniziative per favorire la partecipazione dei cittadini al voto, istituita con decreto del Ministro per i rapporti col Parlamento con delega alle riforme istituzionali Federico D’Incà.
La Commissione
La Commissione, nominata con decreto del Ministro dei rapporti con il Parlamento con delega alle riforme istituzionali del 22 dicembre 2021, è composta da:
- Coordinatore: prof. Franco Bassanini, già ordinario di diritto costituzionale, presidente Fondazione ASTRID;
- prof.ssa Adriana Apostoli, ordinario di diritto costituzionale, Università degli studi di Brescia;
- prof. Gian Carlo Blangiardo, Presidente dell’Istat;
- cons. Cristina De Cesare, Servizio Studi della Camera dei deputati;
- dott. Paolo Donzelli, Dipartimento per la trasformazione digitale della Presidenza del Consiglio dei Ministri;
- prof. Paolo Feltrin, già associato di scienza della politica e metodologia della ricerca;
- dott.ssa Alessandra Ferrara, ricercatrice Istat;
- dott. Antonio Floridia, già presidente della Società italiana di studi elettorali;
- prof.ssa Elisabetta Lamarque, associato di diritto costituzionale, Università degli studi MilanoBicocca;
- prof. Leonardo Morlino, emerito di scienza politica, Università LUISS Guido Carli;
- pref. Fabrizio Orano, Direttore Centrale per i Servizi elettorali – Ministero dell’interno;
- prof. Lorenzo Spadacini, associato di diritto pubblico, Università degli studi di Brescia;
- cons. Marco Caputo, Capo di Gabinetto del Ministro per i rapporti con il Parlamento;
- dott.ssa Lorella Di Giambattista, Capo del Settore legislativo del Ministro per i rapporti con il Parlamento;
- cons. Silvia Paparo, Capo Dipartimento per riforme istituzionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Indice del Rapporto
Prefazione……………………………………………………………………………………………………… ……..10
Introduzione…………………………………………………………………………………………………………..14
Parte prima
I principi costituzionali, le cause dell’astensionismo, le esperienze straniere
1. La cornice costituzionale ……………………………………………………………………………………………32
1.1. I principi costituzionali sul voto……………………………………………………………………………….. 32
1.2. I requisiti costituzionali del voto: libertà, personalità e segretezza………………………………. 34
2. L’astensionismo e le sue cause: una ricostruzione empirica del fenomeno……………………40
2.1. L’astensionismo apparente…………………………………………………………………………………….. 42
2.2. L’astensionismo reale…………………………………………………………………… …………………. 58
2.2.1. L’astensionismo involontario …………………………………………………….. …….. … 58
2.2.1.1. Grandi anziani…………………………………………………………………. ….. 60
2.1.2. Anziani con infermità…………………………………………………………. … .. 60
2.2.1.3. Ospiti dei presidi residenziali socioassistenziali e socio-sanitari…………………………….. 62
2.2.1.4. Lontananza dal luogo di residenza per lavoro o studio………. .. 68
2.2.1.5. Lontananza dal luogo di residenza per turismo, sport o divertimento…………………….. 73
2.2.1.6. Frequenza delle occasioni elettorali…………………………………. …… 79
2.2.2. L’astensionismo volontario tra protesta e indifferenza ………. ……………….. 82
2.3. Profili sociali degli astensionisti ………………………………………………………………………. ………86
3. Che cosa si fa nel mondo per promuovere la partecipazione elettorale ………………….. ..94
3.1. Premessa……………………………………………………………………………………………………. ……. 94
3.2. Come si vota negli altri Paesi: una tabella di sintesi………………………………………… . 96
3.4. Il voto elettronico…………………………………………………………………………………………. .. 101
3.5. Il voto per corrispondenza …………………………………………………………………………. …. 111
3.6. Il voto anticipato presidiato nel luogo di residenza o in altro luogo ………………. 126
3.7. Il voto in un seggio diverso da quello di residenza il giorno delle elezioni…….. 135
3.8. Il voto delle persone disabili, malate e anziane………………………………………… ……. 140
3.9. Liste elettorali, attestazione dello status di elettore e digitalizzazione …………. … 154
3.10. Campagne informative per promuovere la partecipazione al voto ……………. ….. 165
3.11. Gli edifici adibiti a seggio elettorale………………………………………………………… …….. 174
3.12. Quando si vota ………………………………………………………………………………………….. ….. 181
Parte seconda
Proposte per promuovere la partecipazione e ridurre l’astensionismo
1. Semplificare il voto agli elettori con l’election pass e l’election day……………………………188
1.1. L’election pass…………………………………………………………………………………………….. …… 188
1.1.1. La digitalizzazione delle liste elettorali nell’ANPR…………………………….. 188
1.1.2. Le proposte di semplificazione delle procedure elettorali…………………. . 190
1.2.1. Perché è importante?………………………………………………………………….. …. ….. 192
1.2.2. Election day e principio democratico: la necessità di due date all’anno . 193
1.2.3. La confluenza nell’election day di tutte le scadenze elettorali………….. ….. 194
1.2.4. I vincoli costituzionali e sovranazionali…………………………………………. ….. 195
1.2.5. La concentrazione delle scadenze elettorali, principio generale dell’ordinamento …….197
1.2.6. La determinazione delle date dell’election day e il ruolo delle Regioni… 200
1.2.7. Gli effetti del meccanismo di concentrazione delle scadenze elettorali …………………… 202
1.2.8. Il voto nelle giornate di domenica e lunedì…………………………………… …… 203
2. Le nuove modalità di voto per favorire la partecipazione ……………….. …………………..206
2.1. Il voto elettronico da remoto: il rinvio ai lavori dell’apposita Commissione. …. 206
2.2. Il voto per delega: l’incompatibilità con i principi della Costituzione………. ……. 208
2.3. Il voto per corrispondenza: il difficile bilanciamento costituzionale …… …………. 209
2.4. Il voto anticipato presidiato: ridurre l’astensionismo involontario rispettando la Costituzione…….213
2.4.1. Quando si vota………………………………………………………. ………………………….. 214
2.4.2. Dove si vota…………………………………………………………………. ……………………. 215
2.4.3. Modalità di voto …………………………………………………………… …………………… 216
2.4.4. Spoglio nel seggio “naturale” ………………………………………… ……………. ……. 217
2.5. Il voto in un seggio diverso nel giorno delle elezioni………………………………….. …. 218
2.6. Agevolare il voto delle persone anziane e disabili ………………. ……………… ………… 219
3.1. Informazione e comunicazione……………………………………………………………. ………… 222
3.2. Misure rivolte ai giovani……………………………………………………………………….. ………. 225
3.3. Indicazioni sulle sedi dei seggi ……………………………………………………………… ………. 228
Prospetti conclusivi…………………………………………………………………………………….. ……………236
Osservatorio IULM CP – DOSSIER ASTENSIONISMO – PROBLEMATIZZAZIONE /4
Nell’ultimo giorno di libertà di diffusione dei sondaggi
Le stime di Nando Pagnoncelli
Indecisi 10,1%, previsione di affluenza alle urne 66,6%.
Stralcio dell’articolo, con più ampie rilevazioni delle intenzioni di voto, del Corriere della Sera, 9.9.2022 [21]
(…)
Astensionismo
Il sondaggio realizzato da Ipsos, alle elezioni del prossimo 25 settembre, stima una possibile affluenza del 66,6%. Nel dettaglio: il 33,4% degli elettori è orientato ad astenersi, mentre il 10,1% è la quota degli indecisi. Secondo la fotografia scattata dall’istituto guidato da Nando Pagnoncelli, tra coloro che non dovrebbero recarsi al voto prevalgono le donne (36%), chi ha più di 65 anni (40,3%) e un basso livello di istruzione (42,1%)
Interessante quantificare la quota di elettori indecisi e astensionisti e descriverne il profilo socio-demografico.
Attualmente i primi rappresentano il 10,1% dell’intero elettorato e l’indecisione è più presente tra le donne (11,2%), tra i più giovani (13,6%), tra i laureati (12,7%) e i diplomati (1,6%), tra gli studenti (22,7%) e tra le persone di condizioni economiche medio alte (12,1%).
L’astensione è oggi stimata al 33,4%: se venisse confermata, si tratterebbe del valore più elevato nell’Italia repubblicana in una consultazione legislativa, in aumento di oltre 6% rispetto al dato delle elezioni del 2018, quando l’affluenza fu pari al 72,9%.
L’astensionismo ha motivazioni diverse, riconducibili all’età (connessa spesso alle condizione di salute), al livello di istruzione, alle condizioni economiche e occupazionali, alla zona di residenza e al rapporto con la politica: infatti, la diserzione delle urne risulta più diffusa tra le persone meno giovani (40,3%), nelle regioni del centro sud (36%) e in quelle del sud e isole (39,2%), tra i cittadini con licenza elementare o media (42,1%), tra coloro che vivono in condizioni economiche basse (47,3%) o medio basse (40,8%), tra i disoccupati (48,5), le casalinghe (38,4%) e i pensionati (39,6%) e, considerando le persone che hanno un’occupazione, tra gli artigiani e i commercianti (33,6%).
Ma il picco più elevato (70%) si registra tra i cittadini che non si riconoscono nell’asse destra-sinistra e rivendicano una distanza dalla politica, da cui non si sentono rappresentati.
L’area grigia dell’astensione e dell’indecisione rappresenta quindi un bacino di elettorato potenziale molto ampio e contendibile, ma i partiti devono fare i conti con lo scetticismo, la disillusione e il senso di esclusione e di marginalità sociale che alberga nei segmenti sociali sopra descritti.
Va infine osservato che la crescente mobilità elettorale di cui abbiamo spesso parlato si esprime anche attraverso la propensione, molto diffusa, a considerare più partiti: basti pensare che il 51% degli interpellati dichiara di prendere in considerazione oltre al partito indicato anche un’altra forza politica dando luogo ad una forte competizione soprattutto tra elettorati contigui, ad esempio il 51% degli attuali elettori della Lega non esclude di votare per Fratelli eItalia, come pure il 37% degli elettori di Meloni voterebbe per la Lega; e sul fronte opposto il 25% degli elettori del Pd potrebbe optare per l’alleanza tra Verdi Si e Reti civiche e il 18% per il M5S; e tra i pentastellati il 19% potrebbe votare dem. Insomma, l’esito finale della competizione non sembra in discussione, ma le scelte di voto per i partiti sono fluide. Ce n’è abbastanza per ribadire che i sondaggi non sono un oracolo ma una fotografia, che richiama sempre di più l’immagine del fixing della Borsa: vale oggi ma domani è già superato.
Osservatorio IULM CP – CONTRIBUTI RECENTI /1
Blog Openpolis / Tema n. 8 (2020)
Affluenza e astensionismo: come e perché cresce il partito del non voto[22]
È una delle maggiori conquiste delle democrazie libere e moderne. Il voto è protetto dalla nostra costituzione, è un diritto inviolabile e al tempo stesso un dovere civico. Ma il numero di quanti non si recano alle urne è in crescita ovunque. Perché le persone non vanno a votare? Il fenomeno è davvero preoccupante? E soprattutto, di che portata è?
L’astensionismo è in crescita, persino dove votare è un obbligo
Il tema dell’astensionismo domina da anni il dibattito politico. Elezione dopo elezione, tornata dopo tornata, la partecipazione elettorale del popolo italiano è diminuita in maniera sostanziale. Alle prime elezioni della Camera dei deputati (1948) partecipò il 92,23% del corpo elettorale, nel 2013 la percentuale era del 75,20%, per la prima volta sotto la soglia dell’80%.
Art. 48 – Costituzione – Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico. La legge stabilisce requisiti e modalità per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini residenti all’estero e ne assicura l’effettività. A tale fine è istituita una circoscrizione Estero per l’elezione delle Camere, alla quale sono assegnati seggi nel numero stabilito da norma costituzionale e secondo criteri determinati dalla legge. Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge.
Il diritto di voto è sancito dall’articolo 48 della costituzione.
Il cosiddetto elettorato attivo (l’insieme delle persone che hanno la capacità giuridica di votare) è composto da uomini e donne che hanno compiuto la maggior età. Quello che spesso si dimentica però, è che oltre ad essere un diritto, il voto è un dovere civico, che tutti i cittadini hanno.
Nonostante questo, sempre più persone decidono di non partecipare, anche perché nel nostro paese votare non è obbligatorio. Ma esistono casi al mondo in cui lo è. Secondo l’International Institute for Democracy and Electoral Assistance (IDEA) attualmente al mondo sono 26 i paesi in cui i cittadini sono obbligati a votare.
Le penalità per il “non-voto” possono essere di vario tipo: I) semplice spiegazione: portare una giustificazione formale per l’astensione per evitare una possibile multa; II) sanzione pecuniaria per chi decide di non partecipare (attualmente presente in 16 paesi); III) incarceramento: al momento nessuno paese considera quest’opzione, se non come conseguenza per multa non pagata; iv) perdita di alcuni diritti e della possibilità di usufruire di servizi pubblici o rimozione dalle liste elettorali.
Ma quali sono i risultati delle convocazioni elettorali in questi paesi? E sarebbe il caso di inserire l’obbligo anche in Italia? In realtà sia nei paesi in cui votare è obbligatorio, sia in quelli in cui non lo è, il trend dell’affluenza è in calo, anche se con quantità diverse. Mentre negli anni ’40 la percentuale di partecipazione alle tornate elettorali era per entrambi i casi poco sotto l’80%, al momento i due dati sono distanti 7 punti percentuali. Nei paesi in cui votare è obbligatorio l’affluenza è poco oltre il 70%, nei paesi in cui non lo è, è ben sotto.
Nonostante questo, obbligatorio o no, il dato dell’astensionismo è tendenzialmente uniforme.
È vero che il gap fra le due categorie di paesi è in aumento, e il calo dei votanti è più drastico negli stati in cui non c’è nessun obbligo di voto, ma costringere i cittadini a dire la loro non sembra essere la soluzione migliore per riportare le persone alle urne.Andando a guardare le dimensioni del fenomeno nel nostro paese, grazie alla tornata che si è appena conclusa possiamo fare un po’ il punto della situazione. Si parla molto di crisi dell’elettorato, vediamo se davvero è così.
Elezioni, affluenza in calo ovunque tranne che a Roma
Le amministrative 2016 hanno fortemente rilanciato il Movimento 5 stelle, soprattutto grazie alle vittorie di Virginia Raggi e Chiara Appendino. Ma oltre al dato politico il primo elemento da constatare, per quanto scontato, è il crollo della partecipazione al voto.
Il confronto con la tornata 2011 sia al primo che al secondo turno c’è poco spazio per le interpretazioni. Al primo round si è passati dal 71,04% di cinque anni fa, al 67,42% del 2016. Discorso analogo per il secondo turno, dove si è passati dal 60,21% al 50,52%. Una notevole differenza, anche se va ricordato che nel 2011 si votò mezza giornata in più, fino a lunedì alle ore 15.
Scorporando il dato per le principali città al voto, la questione è ancora più centrale. Se a livello nazionale solo un avente diritto su due ha votato al secondo turno, in comuni come Napoli è andata ancora peggio. Nel capoluogo campano domenica 19 giugno ha votato il 35,96% della popolazione, quasi 20 punti percentuali in meno rispetto a due settimane prima, quando andarono alle urne il 54,11% degli elettori. 5 anni fa le percentuali erano del 60,33% al primo turno, e 50,58% al secondo.
La situazione, per quanto non così grave, è simile a Milano e Torino. Nel capoluogo lombardo la percentuale è scesa di tre punti fra il primo e il secondo turno, passando dal 54,65% al 51,80% Quando fu eletto Pisapia, in entrambi i round la percentuale era ben sopra il 67%. A Torino cinque anni fa bastò un turno per eleggere Piero Fassino, con una partecipazione del 66,53%. Nei turni delle amministrative 2016 non si è neanche raggiunto quota 60%, superando di poco il 57% il 5 giugno, e fermandosi al 54,41% domenica scorsa.
Diverso l’andamento a Roma. Qui il confronto risale a maggio 2013, quando Ignazio Marino venne eletto primo cittadino con il Partito democratico. In quell’occasione l’affluenza fu del 52,81% al primo turno, e del 45,05% al secondo. Oggi invece Roma è l’unica città in controtendenza, con il dato della partecipazione in crescita. Il 5 giugno la sfida per il Campidoglio ha coinvolto il 57,60% degli elettori romani. Al ballottaggio la partecipazione è diminuita, ma è comunque rimasta su un livello più alto rispetto alla tornata del 2013: per la sfida tra Raggi e Giachetti l’affluenza è stata del 50,46%.
Va sottolineato che il trend generale dell’affluenza a Roma è in calo (solo per fare qualche esempio, negli anni ’90 superava il 78%, e ancora nel 2008 al primo turno superava il 73%), ma la crescita rispetto al 2013 è comunque degna di nota: circa 100mila elettori in più sia al primo che al secondo turno hanno partecipato all’elezione della prima sindaca di Roma.
Ma il problema è solo italiano? Cosa succede invece nel resto d’Europa?
L’affluenza alle urne nei paesi dell’Unione europea
Prendendo Roma come esempio italiano di riferimento, abbiamo confrontato il dato dell’affluenza con quello delle principali capitali europee nelle ultime tornate per l’elezione del sindaco: Berlino, Londra, Madrid e Parigi.
In realtà è un confronto basato sui numeri è molto complicato, non tanto per la reperibilità dei dati, ma per le diverse leggi elettorali. Per esempio in Francia il diritto di voto non è legato solo al compimento della maggior età, ma anche all’essersi iscritti alle liste elettorali.
Tuttavia alcuni numeri sono comunque utili per capire cosa succede in alcuni paesi del vecchio continente. Delle ultime elezioni comunali/municipali, la tornata che ha fatto registrare la più alta partecipazione dei cittadini è stata quella per eleggere il sindaco di Madrid nel 2015. Votò il 68,90% del corpo elettorale (ben oltre il 57,02% del primo turno di Roma quest’anno). Quattro anni prima, sempre a Madrid, la percentuale era del 67,22%.
A Berlino nel 2011 votò il 60% della popolazione, 5 anni prima la percentuale era del 58%. Più basso del dato romano quello di Parigi, anche se qui la distanza non è eccessiva. Nel 2014 al primo turno l’affluenza fu del 56,27%, nel 2008 del 56,93%.
Discorso a parte merita Londra. Come in generale nel mondo anglosassone, nella capitale del Regno Unito il tasso di partecipazione al voto è spesso molto basso, evento considerato segno di una democrazia “matura”. Sia nelle recenti elezioni, che in quelle precedenti del 2012, ha votato meno della metà della popolazione. L’elezione di Sadiq Khan il 6 maggio scorso ha portato alle urne il 45,30% dei cittadini londinesi, e 4 anni prima, quando Boris Johnson fu eletto per la seconda volta, la percentuale era del 38%.
Proprio per la diversa natura delle tornate elettorali considerate (a Berlino i cittadini eleggono un “parlamento”, che poi a sua volta elegge il sindaco), è forse più utile confrontare il dato dell’affluenza su elezioni che hanno regole più o meno uniformi. Il caso più evidente riguarda il parlamento europeo, che è stato rinnovato nel maggio del 2014. In Italia il dato dell’affluenza è passato dal 65,05% del 2009, al 57,22%, scendendo per la prima volta sotto la soglia del 60%.
Nonostante questo, il nostro paese ha registrato comunque il quinto dato dell’affluenza più alto in Europa. Meglio di noi hanno fatto solo Belgio (89,64%), Lussemburgo (85,88%), Malta (74,80%) e Grecia (59,97%). In tre di questi quattro paesi votare è però obbligatorio.
Il ciclico allarmismo per il costante calo dell’affluenza è dunque da una parte giustificato (vista la tradizione di alta partecipazione elettorale del nostro paese), ma il dato va comunque contestualizzato e messo in relazione a una situazione più generale che vede, per diversi motivi, un livello di partecipazione alle elezioni in calo, o comunque mediamente basso.
Perché le persone non vanno a votare? Le cause principali dell’astensionismo
Abbiamo visto che l’astensionismo è in crescita in molti paesi europei, ed è un trend consolidato anche nei posti dove votare è obbligatorio.
Nel nostro paese se ne discute da tempo. In occasione del recente referendum sulle trivelle alcune figure istituzionali, tra cui il premier Renzi e il presidente emerito Napolitano, hanno sostenuto la legittimità del non voto, riconoscendolo come diritto di ogni cittadino.
È perciò importante chiedersi perché i cittadini decidono di non recarsi alle urne a votare. Quali sono le motivazioni del non voto? In molti hanno cercato di rispondere a questa domanda.
Gianfranco Pasquino, ex senatore e politologo di fama, evidenzia tre cause principali dell’astensionismo:
- la tendenza a partecipare solo alle tornate elettorali ritenute più importanti: generalmente l’affluenza è parecchio più alta alle elezioni politiche che alle amministrative;
- II) la forte somiglianza tra proposte e idee dei vari candidati e delle diversi coalizioni, con la conseguenza che la vittoria di uno o dell’atro avrebbe uno scarso impatto sulla vita dei cittadini;
- III) la crisi dei partiti, i quali ormai non riescono più a mobilitare gli elettori e portarli alle urne.
In Italia la terza opzione sembra essere la più influente, con una generale sfiducia nei confronti dei partiti e delle istituzioni. Grazie alla terza edizione del Rapporto sul benessere equo e sostenibile (Bes) dell’Istat tutto questo è ancora più evidente.
Lo studio ha una sezione dedicata alla politica e alle istituzioni in cui, fra le altre cose, tiene traccia della fiducia dei cittadini nei confronti di: partiti politici, parlamento, sistema giudiziario, istituzioni locali e forze dell’ordine.
Come si può vedere, parlamento e partiti politici dal 2011 ad oggi hanno sempre, tra le istituzioni analizzate, il punteggio medio di fiducia più basso. Il dato per i partiti è leggermente in risalita fra il 2013 e il 2014, ma è la metà di quello relativo a sistema giudiziario e istituzioni locali, e quasi tre volte inferiore a quello delle forze dell’ordine.
Inoltre un terzo delle persone intervistate (di età superiore ai 14 anni), dichiara di non avere nessuno tipo di fiducia ne confronti dei partiti politici. Mentre il 22,5% delle persone non ha fiducia nel parlamento, e il 16,9% nel il sistema giudiziario. A livello territoriale i dati sono più o meno sempre gli stessi.
“La fiducia dei cittadini verso il parlamento, il sistema giudiziario e i partiti politici è bassa in tutto il territorio nazionale, ma è un po’ più bassa al nord rispetto al mezzogiorno. Viceversa, la fiducia nelle Forze dell’ordine, nei Vigili del fuoco e nei governi locali è più bassa nel Mezzogiorno e leggermente più elevata al Nord“, si legge nel rapporto Bes 2015.
È evidente, quindi, che nonostante le cause del non voto possano essere tante, e persino legittime, in Italia il clima di sfiducia nei confronti dell’istituzioni ha un peso notevole nella questione. In un paese che storicamente ha avuto un tasso di partecipazione elettorale relativamente alto, non dovrebbe sorprendere che il vero crollo dell’affluenza sia avvenuto dopo lo scandalo Tangentopoli e la fine della prima repubblica.
Affluenza e astensionismo: come e perché cresce il partito del non voto
Nonostante votare in Italia sia un dovere civico, sempre più persone decidono di non partecipare. Anche nei paesi in cui questo dovere è stato formalmente impostato come obbligo, il partito del non voto è in crescita. Nel resto dell’Unione europea, sia nelle elezioni che coinvolgono tutto l’elettorato (come quelle per il parlamento europeo), che in quelle locali, i numeri sono in linea con quelli del nostro paese, se non addirittura peggio.
La notizia, dunque, non è tanto il basso livello di partecipazione, ma la ragione per cui gli italiani decidono di non votare.
Il calo dei numeri è coinciso con lo scandalo Tangentopoli e l’inizio della seconda repubblica.
Fino all’inizio degli anni 90 il tasso di partecipazione era poco sotto il 90% (nel 1992 votò ll 87,35%), nel 1996 si è scesi all’82,80%, fino ad arrivare al punto minimo per un’elezione politica nel 2013, quando andò alle urne solo il 75,20% degli elettori.
Più che in altri paesi il tema della sfiducia nei confronti delle istituzioni contribuisce ad allontanare i cittadini dalle urne. Le ultime elezioni a Roma in qualche modo ne sono una prova.
La capacità di Virginia Raggi di presentarsi come volto nuovo ha portato più persone alle urne rispetto all’ultima tornata: un dato in controtendenza con il resto del paese.
Osservatorio IULM CP – CONTRIBUTI RECENTI /2
Astensionismo e partecipazione, dilemma della democrazia [23]
L’astensionismo elettorale è un fenomeno vistoso ma il rapporto tra il cittadino e la politica investe tutti i campi del vivere civile, non solo il momento del voto
Angelo Perrone [24]
Le pagine di cronaca più oscure sono come lo sporco che non si riesce di eliminare: si mette sotto il tappeto il più presto possibile perché non si veda. Quelle, passato il momento, sono archiviate in fretta e si passa lestamente ad altro. Salvo ricordare che il problema esiste sempre, sopito e comunque incombente, nessuno ha pensato di affrontarlo seriamente. Così è accaduto in Italia per l’astensionismo elettorale.
Le elezioni locali sono state precedute dal timore che pochi si sarebbero recati a votare, poi, quando la preoccupazione si è avverata, sono state seguite da un coro di pensieri, mesti e accorati. Molto ridotto il numero di votanti. Infine, è scoppiato il silenzio. Sembra un tema “stagionale”, attuale in prossimità del voto, da dimenticare in fretta. Non ci si interroga sulle ragioni, non si scava nel profondo, né si cerca di porvi rimedio. Varrebbe la pena rifletterci.
Siamo, come si sa, ad un nuovo record perché, nei comuni chiamati al voto (alcuni importanti: Roma, Torino, Bologna, Milano) ha votato una percentuale inferiore al 50% del corpo elettorale. Eppure, l’Italia è uno dei paesi occidentali messi meglio quanto a frequenza, nel 2018 (elezioni politiche generali) ha votato il 73%. Aver perso tanti elettori allarma. Inoltre, altera la valutazione dei risultati. Non è una novità, succede da anni. Dovremmo esserne abituati, ma stupisce sempre.
Ormai il candidato vincente non è quello capace di prendere più voti, davvero una rarità di questi tempi. Piuttosto il tal altro che non ne perde troppi, che riesce a contenere l’erosione inevitabile del flusso, insomma che perde meno. Si valutano i partiti nella capacità di fare retromarcia il più lentamente possibile, non nell’avanzata. Il migliore va cercato tra i meno sconfitti. Ci si può accontentare? Può bastare un pugno di voti, sempre più ridotto, al funzionamento della democrazia?
Votanti e qualità della partecipazione
L’idea di fondo su cui ci si confronta è che il numero di votanti sia il criterio per misurare la partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica, e con essa tutto il resto: il senso civico, la consapevolezza di concorrere alle scelte, l’adesione al modello istituzionale. Il modo per testare la qualità di buoni cittadini ma anche la tenuta del sistema: in fondo la scala di gradimento della democrazia. Perciò ci si allarma, e non a torto, se il numero diminuisce, se troppi mancano all’appello del voto. Perché accade?
Quali che siano le interpretazioni, il non-voto rimane il lato debole delle democrazie occidentali, perché la partecipazione è un valore certo e interiorizzato e dunque non recarsi a votare appare come una scelta intenzionale di segno negativo, un segnale di malessere: è protesta, sfiducia nella politica, disinteresse per l’andamento della cosa pubblica, se non manifesta opposizione.
Se tutto ciò è sicuramente convincente, e persino vero, risulta tuttavia inadeguata l’utilizzazione delle categorie tradizionali per spiegare il fenomeno, troppo facile fermarsi alle prime considerazioni, affrettate e a senso unico. L’astensionismo – proprio per capirne il fondamento – richiede letture su vari livelli. Non è per nulla facile interpretarlo.
Impossibile, per esempio, ritenere che gli astensionisti formino un blocco compatto, determinato dalle medesime scelte e dagli stessi convincimenti. Non lo sono né sul piano della composizione sociale, né su quello delle motivazioni. Se è largamente presente un astensionismo da alienazione, esiste anche un non-voto che è espressione consapevole di scelta politica. Lo si registra nei referendum costituzionali abrogativi in cui è richiesto un quorum per rendere valido il voto. Non votare è un modo drastico, anche opinabile ma efficace, per contrastare il voto. Si dissente dai quesiti, oppure si ritengono irrilevanti le questioni prospettate con tanta enfasi.
Più in generale non può sfuggire il legame tra partecipazione al voto e solidità di una democrazia, a prescindere dai temi di attualità e dalle questioni contingenti. Quando non sono in gioco scelte decisive per il paese e per i singoli, è probabile (inevitabile) che sia bassa l’affluenza alle urne. L’assenza è espressione di tranquillità personale, e fiducia nelle dinamiche del sistema. Così infatti succede in genere nei paesi anglosassoni, in cui, appunto, è più diffusa (che da noi) la percezione dell’inattaccabilità del sistema democratico.
Una riprova di ciò è data proprio da certe (apparenti) smentite registratesi in America ma anche in Europa occidentale: quando avanzano movimenti populisti, se si affacciano sulla scena gruppi estremisti, quando emergono personalità, come Donald Trump, che diffondono parole d’ordine inquietanti e agiscono in modo irruento, ecco che il sistema percepisce una minaccia e si risveglia: cresce il numero dei votanti.
L’ambiguità dell’equazione partecipazione-democrazia è riscontrabile chiaramente in alcuni paesi dell’Est-Europa e in altri (dalla Russia alla Cina), nei quali l’altissima affluenza non corrisponde affatto alla qualità democratica delle istituzioni né all’effettivo pluralismo sociale e alla concretezza delle possibilità di cambiamento. Le “maggioranze bulgare” indicano più di un fenomeno locale. Il voto così massiccio è antidemocratico: consenso organizzato dall’alto, eterodiretto, plebiscito a fini di perpetuazione del potere interno e di conservazione dell’autorità precostituita.
Prima di censurare – come pure è doveroso – il non voto di tanti, è indispensabile fare i conti con le origini del fenomeno e con i suoi sviluppi nel tempo. Quanto alle prime, ci portiamo dietro l’eredità pesante dell’apatia e del disinteresse. Non sono solo un retaggio, frutto di egoismi e di mancata percezione dei doveri di solidarietà sociale. Piuttosto sono la conseguenza delle troppe disillusioni accumulate di fronte all’inerzia della politica e all’incapacità di soddisfare i bisogni sociali. Una forma di protesta e di contestazione. Se l’offerta politica è così scarsa, deludente, inadeguata, è difficile esigere l’interesse della gente.
Astensionismo, non è l’unico elemento della problematicità
Ma non basta. È importante considerare quanto avvenuto più di recente. La crescita dell’astensionismo e la problematicità della collaborazione del cittadino alla gestione della cosa pubblica sono un segno – non l’unico – dei profondi cambiamenti intervenuti nel tempo. Esprimono uno sradicamento sociale. La perdita di riferimenti. Un disorientamento di fronte a troppi cambiamenti, un’assenza di visione riguardo al futuro. A tutto ciò, è possibile cercare di porre rimedio, servono passi per incrementare la partecipazione responsabile.
Si è ridimensionata la collocazione del cittadino, dunque dell’elettore, nel tessuto sociale, che ha perso la sua forma rassicurante perché sottoposto a vertiginosa trasformazione, dunque frantumazione. Sfumano i legami con il mondo originario, fonte di sicurezza. Ci si avventura in nuovi territori, spesso si brancola nel buio, gli approdi sono insicuri e fragili, si finisce per “migrare” senza bussola.
L’appartenenza ad una formazione politica è sostituita dall’identificazione (inevitabilmente più fragile e ondivaga) con un’area politica, una coalizione, uno schieramento composito. Il rapporto diretto partito – elettore cede il passo alle forme di comunicazione a distanza, impersonali e fragili. In questo contesto il rischio è che, a prevalere, non siano le idee, ma i leader. Magari quelli senza troppe idee convincenti. La centralità del pensiero arretra di fronte alle impellenze del momento, alle strategie comunicative, alla ricerca di figure nuove, sempre più carismatiche, che sappiano convincere e trascinare.
La maturità di una democrazia si misura certo dal grado di partecipazione, ma il voto non è l’unico momento per misurarlo. Né forse il primo. Piuttosto questo giunge a conclusione di un percorso, alla fine di un processo di consapevolezza che spetta a ciascuno costruire. Il significato della diserzione di massa è più complesso e radicale di quanto appaia a prima vista. L’astensionismo, frequente ed esteso, racconta anche il bisogno di ciascuno di ritrovare sé stessi, di riuscire a riconquistare il ruolo smarrito: essere membri responsabili della comunità.
Osservatorio IULM CP – CONTRIBUTI RECENTI /3
Un precedente articolo dedicato al rapporto di fiducia dei cittadini europei verso le istituzioni a due anni dallo scatenamento della pandemia Covid 19.
La UE fotografia il sentiment degli europei dopo due anni di pandemia[25]
L’analisi di Eurobarometro (pubblicata in questi giorni) è stata svolta prima della guerra in Ucraina. Percezione dell’appartenenza all’Europa, situazione economica e fiducia nelle prospettive.
Il sentimento europeo tiene, l’ottimismo batte il pessimismo. Circa l’uscita economica dalla crisi è vista male da quasi il 60%. In ogni caso in Italia tra fiducia e sfiducia nella UE la partita è ancora pari e in Francia (come si vede dal dato elettorale di ieri) il dato sulla sfiducia è il più alto in Europa (56%).
L’italiano Roberto Santaniello nuovo responsabile di Eurobarometro.
Stefano Rolando
Eurobarometro è lo storico strumento di analisi demoscopica che la UE ha promosso a metà degli anni ’70, allora per iniziativa di un mitico funzionario della Commissione, Jacques-René Rabier, che è stato capo di gabinetto di Jean Monnet. Da poco la Commissione ha messo un italiano a capo di questa struttura che coordina le indagini affidate ad agenzie specialistiche diverse nei paesi membri. E arriva in questi giorni il primo dossier di una cinquantina di pagine che toccano questioni di viva attualità, sia pure prima dello scoppio della guerra in Ucraina.
L’italiano in questione è Roberto Santaniello, già direttore della sede della Commissione a Milano, poi responsabile della comunicazione alla Rappresentanza a Roma e ancora a Bruxelles nella DG che ha la competenza su questa materia. È un reputato studioso del processo di evoluzione dell’Europa (di cui ha scritto a più riprese per il Mulino), appartiene alla filiera dei “federalisti”, sulla scia di Altiero Spinelli e soprattutto di Pier Virgilio Dastoli di cui è stato stretto collaboratore.
La ricerca demoscopica non è la statistica. Studia sentimenti e percezioni. È più mobile e per certi versi aleatoria di chi tratta dati veri. Ma è di grande importanza per sentire il polso di cambiamenti e misurarli. Da una Europa fino a poco tempo fa in picchiata di immagine, criticata per essere bloccata da visioni interne opposte (europeisti-sovranisti, nord e sud, poi est-ovest, poi tra chi vuole più integrazione e chi più autonomia degli Stati) l’Europa delle convergenze è passata negli ultimi due anni attraverso la scossa di due crisi immense. Prima la pandemia (ancora non uscita di scena). Ora naturalmente la guerra di invasione russa all’Ucraina, dunque alle porte della stessa UE, con alcuni paesi membri che confinano con il teatro di guerra (Polonia, Romania, Slovacchia, Ungheria e Paesi baltici). Questa “fotografia demoscopica” è un documento di analisi del sentiment di appartenenza e fiducia che non riguarda ancora direttamente la problematica della guerra (l’analisi precede immediatamente gli eventi militari). Ma sonda lo stato d’animo degli europei attraverso la pandemia che crea condizioni di identità che stanno chiaramente contando a fronte di una vera e propria “prova di identità” attorno alla guerra che Putin ha scatenato rimettendo in discussione i confini territoriali ma anche quelli valoriali e civili tra Oriente e Occidente.
La fiducia ancora a metà, l’economia preoccupa molto. Ma lo sguardo al futuro amplia la convergenza.
La transizione non è finita. Il dato trasversale, complessivo, della fiducia degli europei nella UE resta leggermente al di sotto della maggioranza assoluta. Dalla primavera 2021 scende di due punti, da 49% a 47%. Sulla pandemia gli impegni, gli annunci, non sono ancora diventati appieno “fatti” e il persistere dei contagi tiene frenata l’evoluzione che si comincia invece a registrare nella disarticolazione nazionale del dato. Addirittura, ci sono paesi fondatori (Francia, Belgio Lussemburgo) che esprimono maggioritariamente sfiducia (dal 53% al 56 %). In Italia tra fiducia e sfiducia è patta. Ma la fiducia è in maggioranza in mezza Europa (Portogallo in testa con il 69%, poi i Baltici, la Polonia, quasi tutti i nordici). Dunque, una situazione in movimento anche con tratti irrazionali.
Il dato generale dello sguardo al futuro fa propendere la maggioranza del campione europeo verso l’ottimismo (62%) contro il pessimismo (35%) e solo il 3% che si rifugia nel “non so”.
L’Italia è in questa ottica. Anzi due su tre vede bene la prospettiva (65%).
Ma il riscontro stretto sul presente fa vedere agli europei (presi globalmente) “cattiva” la situazione economica: il 59% ha questa idea, il resto (non è pochissimo) la vede invece buona. I nordici prevalgono sul “buono”, meridionali e orientali prevalgono per un giudizio negativo.
È sull’euro che il sostegno è diventato ormai netto: il 77% dell’eurozona, il 69% in generale.
L’Italia – in cui i malumori sull’euro hanno “fatto politica” per un certo tratto – l’apprezzamento è oggi al 72%. Si deve tuttavia registrare che nella popolazione degli stati membri, in 15 casi, c’è un flusso un po’ negativo, fino a dieci punti in meno rispetto al 2021. I cittadini europei, in altra tabella, mostrano di considerare l’euro più positivo per la tenuta generale dell’Europa che per le specifiche situazioni nazionali.
La nuova gerarchia delle preoccupazioni
Interessante la gerarchia delle preoccupazioni che gli europei segnalano in avvio del 2022.
- Ai primi cinque posti temi ampiamente dibattuti in questo periodo. Nell’ordine: clima, costo della vita, immigrazioni, situazione economica generale, salute.
- Interessante anche il risultato per gli ultimi cinque posti nella lista delle preoccupazioni. Questo l’ordine fino alla più irrilevante: l’influenza europea nel mondo; la disoccupazione; l’insicurezza; il terrorismo; le pensioni; le tasse.
C’è qualcosa di stupefacente in questi risultati: la salute scende nell’area di testa delle preoccupazioni; le tasse sono in fondo alle ansie dei cittadini. In mezzo, esattamente nel mezzo di questa classifica, un dato che sarà bene confrontare con la prossima rilevazione, cioè verso la fine del 2022, dopo quel che sta succedendo: l’approvvigionamento di energia.
Quando tuttavia si tratta di mettere in fila i fronteggiamenti comuni da sostenere, la salute risale posizioni, è infatti secondo tema segnalato dopo l’inasprimento dei prezzi e delle tariffe e, dopo il clima, e l’approvvigionamento energetico entra in classifica.
Qui immigrazioni, insicurezza, tasse sono agli ultimi posti (qualcuno avverta il segretario della Lega circa le bandiere principali della sua battaglia politica).
Vanno incontro alla nuova agenda europea le questioni relative alla disponibilità a sostenere nuovi obiettivi. Per esempio, in materia di sicurezza e difesa comune: il 77% degli europei è a favore (in Italia il dato è 70%), il 17% è contro; il 6% non sa.
Cittadinanza europea (in Italia il dato flette) e pandemia
La quarta parte del rapporto è dedicata alla cittadinanza europea. Il dato complessivo è rilevante: il 71% afferma di “sentirsi cittadino della UE”. Per l’Italia il dato scende al 60%, dato più negativo degli italiani è quello dei greci, 57%; dei francesi, 56%; dei bulgari, 52%.
Circa le misure adottate per combattere la pandemia gli europei sono divisi, così come dichiarano di esserlo a proposito delle misure adottate dai propri governi. Tuttavia, sono 17 gli ambiti nazionali in cui il giudizio sulle misure europee è apprezzato e in alcuni casi molto apprezzato (Portogallo, Irlanda, Danimarca, Malta i sopra il 70%). Anche l’Italia i sì sono in maggioranza (56%).
Rivolgendo l’attenzione alle cose da fare si forma un’altra gerarchia di istanze che ha in testa la necessità di avere una strategia per affrontare simili crisi nel futuro, connessa alla necessità di avere una politica europea per la salute. Seguono le misure per le vaccinazioni. Poi vengono le misure a favore di imprese e lavoratori.
Gli ultimi quattro posti di questa classifica vedono nell’ordine: restrizioni sulla gestione delle frontiere, organizzare le riserve di equipaggiamento sanitario, sviluppare misure di solidarietà tra i paesi e – sorpresa – all’ultimo posto dare attuazione al piano di rilancio “Next Generation UE”.
Il che fa francamente pensare che la non efficace comunicazione del Piano (dappertutto, Italia compresa) lasci per ora il segno
Osservatorio IULM CP – CONTRIBUTI RECENTI /4
Elezioni politiche, astensionismo in crescita: la partecipazione al voto negli anni [26]
Si avvicina la data delle nuove Elezioni politiche e, con questa, ancora una volta lo spettro dell’astensionismo. Bisognerà attendere per consultare dati certi sull’affluenza nel corso del 25 settembre, ma è già possibile notare come lo scorrere del tempo abbia comportato una graduale ma notevole riduzione della partecipazione al voto.
Indice
1 – Affluenza alle urne in settant’anni: i numeri a confronto
2 – Elezioni 25 settembre: le previsioni sull’affluenza
3 – Astensionismo: alcuni fattori da considerare
La fine dell’attuale legislatura, la diciottesima, era fissata a marzo 2023. A modificare le date è stato, tuttavia, il subentrare della crisi di Governo prima, l’annuncio delle dimissioni del Premier Mario Draghi e lo scioglimento delle Camere poi. Gli italiani, dunque, si recheranno alle urne anticipatamente, già a settembre 2022: si voterà soltanto giorno 25, dalle ore 7:00 alle ore 23:00. Ma in quanti adempiranno a questo dovere civico? Il confronto tra dati sull’affluenza registrati nel corso dei diversi anni, oltre che le parole degli esperti, non fanno ben sperare.
Affluenza alle urne in settant’anni: i numeri a confronto
Ciò che gli ultimi anni, tra il resto, hanno dimostrato è che la partecipazione al voto in Italia è in forte calo. Basta osservare e confrontare i dati presentati dall’Archivio storico elettorale (interno al portale delle elezioni del Ministero Non si potrà che partire dal 1948. Tra domenica 18 e lunedì 19 aprile si tennero, allora, le Elezioni politiche per il rinnovo dei due rami del Parlamento Italiano, ovvero la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica. Gli italiani votanti per la Camera furono 26.855.741 su 29.117.554, il ben 92.23%. Tasso, questo, quasi identico a quello dell’affluenza legato al voto per il Senato, che raggiunse il 92,15 %.
Esattamente settant’anni dopo si sono tenute le ultime elezioni politiche che hanno registrato numeri lontani, specchio di una partecipazione elettorale nettamente mutata. L’affluenza alle elezioni del 2018 ha raggiunto appena il 72,94% per la Camera, il 73,01% per il Senato.
Dall’oltre 92% al quasi 73%: si nota uno scarto netto tra le Elezioni politiche “agli estremi”. E, nel frattempo, cosa è accaduto?
Nel 1953 ancora più italiani hanno espresso una preferenza: raggiunti il 93,84% di votanti per la Camera, 93,78% per il Senato ovvero dati quasi identici a quelli riportati al termine delle successive elezioni, quelle del 1958 (93,83% per la Camera, 93,98% per la Senato).
Tra alti e bassi, fino al 1976 l’affluenza non ha registrato variazioni significative e si è attestata sempre al di sopra del 92%. Un cambio di rotta emerge già a partire dalle Elezioni politiche del 1979, quando è stato registrato il 90,62% per la Camera e il 90,69% per il Senato: un calo, rispetto al ’76, pari a quasi 3 punti percentuali.
Da questo momento inizia una fase discendente destinata a non arrestarsi. Si notino i tassi sull’affluenza fino al 2013: nel giro di un trentennio il numero di votanti è ridotto di quasi il 13%.
Elezioni del 1983: affluenza all’88,01% per la Camera, all’88,83% per il Senato;
Elezioni del 1987: affluenza all’88,83% per la Camera, all’88,37% per il Senato;
Elezioni del 1992: affluenza all’87,35% per la Camera, all’86,80% per il Senato
Elezioni del 1994: affluenza all’86,31% per la Camera, all’85,83% per il Senato;
Elezioni del 1996: affluenza all’82,88% per la Camera, all’82,21% per il Senato;
Elezioni del 2001: affluenza all’81,38% per la Camera, all’81,32% per il Senato;
Elezioni del 2006: affluenza dell’83,62% per la Camera, all’83,50% per il Senato;
Elezioni del 2008: affluenza all’80,51% per la Camera, all’80,40% per il Senato;
Elezioni del 2013: affluenza al 75,20% per la Camera, al 75,11% per il Senato.
Eccetto che nel 1987 e nel 2006, ogni nuova elezione ha segnato un “meno” rispetto alla precedente. Ad ogni modo, come già anticipato, il dato più preoccupante è quello legato alle ultime Elezioni politiche in Italia. Cosa aspettarsi dalle prossime?
Elezioni 25 settembre: le previsioni sull’affluenza
Il confronto tra i dati innesca inevitabilmente un quesito: “In quanti si recheranno alle urne il prossimo 25 settembre?”. In attesa di risposte certe, è possibile farsi un’idea attraverso alcuni sondaggi. Secondo quello di Tecné, realizzato lo scorso 8 agosto, quasi la metà degli italiani intervistati (il 45,2% per la precisione) non saprebbe ancora a chi riservare il proprio voto né se, il mese prossimo, uscirà di casa per esprimere una preferenza.
Anima diversi sondaggisti, poi, la convinzione che la partecipazione degli italiani sarà inferiore a quella registrata nel 2018, già in calo rispetto al 2013.
Il trend di disaffezione dei cittadini alle urne non dovrebbe arrestarsi anzi, secondo quanto riferito da Nicola Piepoli ad Adnkronos già a fine luglio, il tasso di affluenza dovrebbe scendere ancora di 2 o 3 punti percentuali. Il sondaggista, ad ogni modo, non esclude del tutto la possibilità di un “risveglio popolare”: si tratterebbe, ad ogni modo, di un’ipotesi meno accreditata.
A credere che si consulteranno numeri peggiori è anche Maurizio Pessato. “Il trend sarà in calo rispetto al 2018“: dichiara questo secondo sondaggista sempre ad Adnkronos.
Astensionismo: alcuni fattori da considerare
Quali fattori si celano dietro la graduale crescita del “partito del no”? Dalle radici “storiche”, quali per esempio lo scandalo Tangentopoli e l’inizio della cosiddetta “seconda Repubblica”, all’attualissima e ben diffusa sfiducia o delusione dei cittadini per forze politiche spesso divise e in contrasto: il tema dell’astensionismo è complesso e prevede almeno la menzione di questi ed altri punti.
Tra il resto, potrebbe essere considerato anche il fatto che la possibilità di voto sarà limitata a poche ore: solo un giorno, festivo, di settembre verrà di fatto riservato alle elezioni. È sempre stato così? La risposta è “no”: nel corso della Storia repubblicana, dodici volte si è votato per due giorni, tanto domenica quanto lunedì. Per sette Elezioni politiche (tra cui le ultime, del 2018) è stato, al contrario, stabilita un’unica data.
Di particolare rilievo, però, il nodo della partecipazione alle elezioni di giovani e fuorisede, categorie che nella maggior parte dei casi coincidono. Secondo recenti stime Istat, circa 4,9 milioni studenti o lavoratori fuorisede dovrebbero necessariamente far ritorno a casa per votare: ciò perché la Legge italiana, almeno per il momento, prevede che il diritto di voto venga esercitato esclusivamente nel Comune di residenza.
E, come ribadito dal comitato civico Iovotofuorisede, sono proprio i giovani di età compresa tra i 18 e i 35 anni, lontani per formazione o ricerca di un primo impiego, ad essere maggiormente colpiti negativamente dalla mancanza di una legge che tuteli il diritto di voto in mobilità.
Ciò significa anche che il corpo elettorale risulta formato in maggioranza da persone più anziane e ciò incide nettamente anche sui temi cardine della campagna elettorale, sull’agenda politica.
Osservatorio IULM CP – CONTRIBUTI RECENTI /5
Le ragioni del non voto e il rischio del vuoto [27]
Giorgia Serughetti
(filosofa)
“Invito tutti ad andare a votare” ha detto Mario Draghi nel suo applaudito intervento al Meeting di Rimini.
La realtà, però, è che nelle conversazioni di questa strana estate la domanda “ma tu voti?” precede quasi sempre quella sul “che cosa”.
E le previsioni degli istituti di ricerca confermano: l’attesa è per l’astensione più alta di sempre.
Non è difficile immaginare cosa rende questa consultazione indigeribile a molti.
I partiti presentano tutti i vizi che ne hanno decretato la crisi degli ultimi decenni la deriva oligarchica, l’irresponsabilità politica, il personalismo, il vuoto di visione, la convergenza programmatica che li rende — sotto diversi rispetti — indistinguibili.
Neanche il “non partito” nato per rivoltare il sistema può ormai vantare una qualche differenza. A ciò si aggiunga che andiamo a votare con una legge elettorale che rimette ogni decisione sulla composizione del futuro parlamento a segretari e leader, accentuando la percezione che i giochi siano già fatti. Dal lato della domanda, però, cosa si aspettano dalla politica i cittadini e le cittadine? Perché avvertono — apparentemente più che in passato, data la crescita dell’astensione — una perpetua delusione?
Il libro del sociologo Vittorio Mete, Antipolitica (il Mulino), contribuisce a sfatare alcuni luoghi comuni, come quello che attribuisce il sentimento di ostilità ai partiti e ai politici principalmente alle componenti a bassa scolarizzazione o lasciate ai margini dalle trasformazioni sociali ed economiche.
In realtà, l’avversione è piuttosto trasversale, e non si accompagna necessariamente all’indifferenza verso la politica, anzi: la quota di cittadini che si dichiarano interessati alla politica è cresciuta, non diminuita, negli ultimi decenni.
Cittadini più istruiti, informati e competenti, con una maggiore autonomia di giudizio sui fatti del mondo, si rivelano anche politicamente più esigenti.
Il non voto allora diventa un messaggio con cui si chiede di più, non di meno, alla politica democratica. Il rischio evidenziato da Mete, però, è che, in un contesto di crisi della dimensione collettiva e di forti spinte individualistiche, a questo atteggiamento esigente corrisponda una postura rivendicativa «più tipica del fruitore di servizi», e la proliferazione di pretese irrealistiche. È allora probabilmente necessario, proprio quando così vistoso si fa il vuoto democratico, tornare a chiedersi cos’è la politica, a quali domande è in grado di rispondere.
Senza smettere di pretendere di più e di meglio dall’assai modesta offerta partitica.
L’astensione, che oggi dà forma a questa domanda, rischia però di ampliare tale vuoto.
E quando il posto della politica democratica resta vacante, altri poteri — dalle forze del mercato alle componenti autoritarie — trovano lo spazio per avanzare.
Osservatorio IULM CP – CONTRIBUTI RECENTI /6
Intervista a Giuseppe De Rita
“Politici prigionieri dei social, non mobilitano più“[28]
Stefano Cappellini
- L’elettore italiano si muove per ondate emotive, ideologiche o politiche che coincidono coi picchi di partecipazione.
- La campagna elettorale è una lite quotidiana su chi offre più tutele ai cittadini. Manca la capacità di andare oltre.
- Il Rosatellum pesa sull’astensionismo espropriando chi vota della possibilità di scegliere. In più è stato creato il terrore del proporzionale
Professor Giuseppe De Rita, lei andrà a votare?
Certo, mai saltato un voto. Lo considero un dovere morale, disapprovo la logica del me ne frego o del tanto sono tutti uguali.
Ha deciso anche per chi voterà?
Sì, non sono solito decidere negli ultimi giorni, ma non ho mai dichiarato il voto e non comincerò ora.
Quelli come lei, votanti e con le idee chiare, stanno diventando una minoranza nel Paese.
Lo so bene. Aumentano la disaffezione perla politica e la poca curiosità. Penso che i sondaggisti vedano giusto quando dicono che la tendenza all’astensionismo proseguirà anche stavolta.
Perché c’è sempre meno voglia di votare?
Intanto c’è una specificità italiana. Molto più degli altri Paesi occidentali noi siamo sempre andati per ondate. Ondate emotive, ideologiche, politiche. Abbiamo avuto dei picchi di partecipazione legati a queste ondate. A suo modo anche il picco ultimo dei grillini è stato un fenomeno simile, sebbene più spinto dall’antipolitica. Quando non ci sono le grandi ondate, diventa difficile portare le persone a votare. Per molti le elezioni non sono più il momento magico della verità.
Non vede nemmeno l’ondata meloniana?
Vedo l’accondiscendenza. Siccome c’è, vada pure avanti. Nella ronda della politica italiana forse è il suo turno, ma non percepisco entusiasmo per Meloni.
Da anni ci si interroga sulle ragioni dell’astensionismo crescente. Pensa che sia scadente l’offerta politica, come è opinione dominante, o anche la domanda ha le sue colpe?
Credo che il più grande limite della politica italiana sia nella sua staticità. La nostra campagna elettorale è una litigata quotidiana su chi offre più tutele ai cittadini. Ti diamo questo, io ti do di più, allora io rilancio. Manca del tutto la capacità di andare oltre. Nell’America del Vietnam i cantanti dicevano we shall overcome, andare oltre. Nelle società dinamiche e moderne ai leader serve il coraggio di non limitarsi a tutelare ma esplorare, provare, rischiare. È come la differenza tra montanari e marinari. Per carità, intelligentissimi i montanari, ma la montagna che occlude la vista li porta solo a pensare a tenere in ordine il loro ambiente, chi sta sul mare ha un’altra prospettiva. Ecco, i nostri leader sono molto montanari. E poi sono invischiati nella pari merito.
In che senso?
Uno vale uno l’hanno teorizzato i grillini, ma è una realtà che esiste anche in altri partiti. Cosa è il Pd se non un invaso di gente a pari merito? Letta pub essere il più colto, o il più esperto di politica internazionale, ma intorno a sé ha gente che di fatto sta nel gioco al pari suo. È sempre il tema dell’andare oltre, dell’uscire dalla mischia. Altrimenti i leader sono come giocatori di biliardo che tirano solo di rinterzo. Non diventeranno mai trascinatori di folla.
Berlusconi non è uno che ama il pari merito, ma non si può dire che abbia fatto bene in politica.
Uscire dal pari merito però è stata la sua fortuna, in questo era il gemello siamese di Craxi.
Altra questione irrisolta: è il discredito della politica a creare l’antipolitica o è l’antipolitica che corrode la democrazia?
Io sono abbastanza vecchio per ricordarmi quando nella Prima Repubblica c’è chi diceva basta con le ideologie, basta con i grandi partiti, servono i partiti d’opinione. La Malfa fu il primo. Era una proposta intrisa di cultura azionista, che puntava alla gestione dell’opinione pubblica. Purtroppo, ci siamo arrivati eccome, alla cultura d’opinione, in una forma degradata. Guardi i social, i politici sono prigionieri dell’opinione, non la gestiscono. L’opinione infiamma, crea grandi scontri, pensi solo alla diatriba sui vaccini o sulla guerra, ma alla fine non mobilita. Perché l’opinione basta a sé stessa: mi leggo il giornale, mi guardo il talk, litigo su Twitter, e mi fermo là.
L’Italia è anche l’unico Paese dove il sistema dei partiti è stato picconato dall’alto, anche da un pezzo di establishment: i politici come “casta”.
Sì, è vero, c’è stata anche una campagna dall’alto. Ma anche in questo caso ha pesato la dittatura del pari merito nella quale diventa più facile attribuire la definizione di casta in pari misura al presidente del Consiglio, a quello della Camera come al consigliere comunale del paesello. Poi, quando nella politica arriva un uomo di casta, casta vera, come Mario Draghi, viene rifiutato. Perché è troppo fuori pari merito.
Quanto pesano le nostre sciagurate leggi elettorali sul non voto?
Tantissimo. Hanno fatto leggi che espropriano l’elettore della possibilità di scegliere i parlamentari. Qui c’è di mezzo un imbroglio, quello della governabilità. Quante volte ci siamo sentiti dire che serviva una legge elettorale che stabilisse la sera stessa delle elezioni chi doveva governare? La governabilità è stata una parola d’ordine generale e non mi stupisce perché è una tematica tipicamente d’opinione.
Per giunta, chi l’ha vista la governabilità?
Ma nessuno lo ammette, abbiamo avuto la religione del maggioritario. Hanno creato il terrore del proporzionale, presentandolo come il regno dell’inconcludenza, mentre invece è accaduto il contrario.
Non è la preferenza il modo migliore per ridare scelta suo parlamentari agli elettori?
Se lei mi chiede: vuoi la preferenza? Io rispondo sì. Ma ricordo anche il fenomeno dei voti comprati a pacchi.
Che succede all’Italia dal 26 settembre?
Non lo so, temo solo che non ci sia nessuno a indicare la strada, a guardare oltre, appunto.
Osservatorio IULM CP – CONTRIBUTI RECENTI /7
Al via lunedì su Rai3 il nuovo programma di Marco Damilano [29]
“Il Cavallo e la Torre”, per offrire un punto di vista spiazzante. Al centro del programma gli elettori indecisi del prossimo 25 settembre
Roma, 25 ago. (askanews) – Comincerà lunedì 29 agosto su Rai3, intorno alle 20.40, la nuova striscia informativa di Marco Damilano, “Il Cavallo e la Torre”. Con una settimana di anticipo rispetto al previsto, dunque, per via della campagna elettorale già in corso (si voterà il prossimo 25 settembre). Il titolo del programma riprende alla lettera quello di un libro di Vittorio Foa, uno dei padri nobili della nostra Repubblica. Nel quale – ha spiegato Damilano in un incontro con i giornalisti in viale Mazzini – è presente quella idea della mossa del cavallo, un pezzo nel gioco degli scacchi in apparenza più debole di altri, ma in realtà “più agile e più spiazzante”.
“Dato che il cavallo nella scenografia ha una sua presenza piuttosto importante”, ha affermato Damilano, “mi sembrava interessante riprendere questa idea perché c’è una politica routinaria, di schieramento, e c’è anche una informazione di schieramento, e invece c’è il cavallo che è qualcosa che cerca di offrire un punto di vista diverso, cerca di fare qualcosa di spiazzante”.
Il programma andrà in onda da un piccolo studio al piano terra della sede Rai di viale Mazzini, già utilizzato durante il lockdown, da dove è ben visibile la statua del Cavallo simbolo dell’emittente di Stato. Una scelta, questa, particolarmente apprezzata da Damilano, “perché ne vedo il tratto identitario.
È un programma tutto dentro la Rai, e la Rai sceglie anche di mettere in campo il suo marchio più noto, cioè il Cavallo di Francesco Messina, e la sede della presidenza e della direzione generale. È un grande onore per me, e mi avvicino a questo impegno con sentimenti di gratitudine per chi ha pensato di affidarmi questo programma, in particolare all’amministratore delegato Carlo Fuortes”.
Naturalmente, ha spiegato ancora Damilano, “la campagna elettorale sarà il cuore del racconto delle prossime settimane”. Tuttavia, la sua intenzione è quella di “fare un racconto un po’ diverso”. Oltre “al puro scontro dei partiti alla ricerca del voto”, c’è infatti “un Paese che va raccontato. Bisogna occuparsi anche degli elettori, come dei non elettori, coloro che non vogliono votare o che non si sentono rappresentati. Credo sia un tema di grande importanza anche giornalistico, e anche da servizio pubblico, perché il servizio pubblico rappresenta tutta la società italiana, compresa una fetta sempre più in aumento di elettori che pur essendo molto interessati alla politica, e quindi molto interessati all’informazione, non per questo – ma forse anche per questo – hanno una certa disaffezione dal voto, come hanno dimostrato tutte le ultime tornate elettorali amministrative, a partire da quelle delle grandi città dell’anno scorso”.
È prevista la partecipazione di ospiti (ma Damilano non ha voluto anticipare nomi), non tutte le sere però. “Il programma – ha spiegato ancora il giornalista – non è un’intervista, ma una striscia di approfondimento, quindi l’intervistato, l’ospite, c’è quando rappresenta un punto interessante della giornata”. Il programma, dunque, avrà vari linguaggi e diversi format che andranno sperimentati nel tempo stretto dei dieci minuti: “Può essere un ospite, può essere il commento del fatto del giorno con dei punti di vista, può essere il racconto del Paese, quindi con dei reportage e delle inchieste, e delle storie, storie di persone. Quindi la sfida è fare queste cose dentro un tempo breve”.
Si tratta di un tipo di programma che ha “una tradizione molto nobile” in Rai, ha ricordato ancora Damilano. “In fondo è proprio un linguaggio, un modo di raccontare il Paese e anche la realtà internazionale, che è stato inventato qualche decennio fa da queste parti”. Padri nobili di questo format (“vengono i brividi a nominarli”) sono Enzo Biagi con “Il Fatto” e Andrea Barbato con la sua “Cartolina”, “che per la mia generazione era un appuntamento fisso e imprescindibile”. Alla lezione di Barbato, per cui il giornalismo deve non solo raccontare i fatti ma anche spiegarli, perché i fatti senza spiegazione spesso sono inerti, Damilano si richiama esplicitamente, “perché l’oggettività non esiste, esiste l’onestà di presentare le cose, e soprattutto esiste la spiegazione, cioè il contesto, l’approfondimento di un fatto”.Ovviamente, iniziando in piena campagna elettorale, la nuova striscia dovrà sottostare ai paletti fissati dalla legge sulla par condicio. Ma “se si lavora nel servizio pubblico”, ha concluso Damilano, “la par condicio non è neanche una legge, è uno spirito, uno spirito democratico che va difeso, perché quando ci sono le elezioni tutti hanno pari opportunità”.
Il programma è accessibile a : @RaiPlay https://raiplay.it/video/2022/08/Il-cavallo-e-la-torre-29-08-2022-Paese-64c89f39-bb9f-42be-b382-bf8954a64bf1.html
Osservatorio IULM CP – CONTRIBUTI RECENTI /8
I giovani senza voto: “Noi, ambientalisti e per i diritti ignorati dai partiti“[30]
Riccardo Luna
Giovani, il voto perduto
ROMA — Ci guardano, da lontano, e non è un bello spettacolo. Sanno che il voto del 25 settembre «sarà uno spartiacque, una data fondamentale» (64 per cento); e sono quasi tutti consapevoli del fatto che il voto è un dovere civico che va sempre esercitato» (88 per cento); molti hanno anche riscoperto il senso della distinzione fra destra e sinistra (53 per cento, in grande crescita); ma temono che «con questa classe dirigente le cose non cambieranno mai» (87 per cento); e lentamente, ma inesorabilmente, si stanno allontanando dalla politica: cinque anni fa, prima delle precedenti elezioni, era considerata «fondamentale» dal 59 per cento degli intervistati, oggi dal 41. Un crollo. Per questo molti, forse, non voteranno.
È la fotografia degli elettori fra 18 e 24 anni scattata il 29 agosto dall’istituto di ricerca Swg per Italian Tech, il content hub del gruppo Gedi. Una ricerca volta a capire come si collocano, i giovani, che valori hanno e come intendono tradurli in voti, il 25 settembre. In generale, quello che emerge, è un desiderio di attenzione che evidentemente, se anche ci fosse, non viene percepita: per esempio l’87 per cento chiede che i partiti «aprano le porte ai giovani perché tutto il Paese ne trarrebbe beneficio», un dato che stride con le scelte che invece i partiti hanno fatto al momento della composizione delle liste dei candidati.
Il tema però non è di poltrone, bensì di valori: raddoppia in cinque anni il numero di quelli che vorrebbero «un leader politico capace di comprendere i problemi dei giovani»; e il 36 per cento vorrebbe che le proposte dei giovani fossero «prese in considerazione». Quali? Su tutte vincono l’ambiente e il disoccupazione e sanità cambiamento climatico (34 per cento) e la qualità della scuola e delle università (31), davanti a e molto davanti a immigrazione e tasse. Ma se andiamo a guardare quali temi sono considerati prioritari per il futuro governo, dopo il solito contrasto al cambiamento climatico (che però convince solo la metà degli elettori di centrodestra), ci sono la parità di genere, l’innovazione tecnologica, i diritti dei migranti e quelli Lgbt (in tutti questi casi i valori del centro destra sono la metà, segno di una differenza di valori importante e percepita).
Sono disillusi ma non qualunquisti: si autodefiniscono in maggioranza ambientalisti (29 per cento), progressisti (27) europeisti (27) e antifascisti (25) — mentre i sovranisti sono solo il 3 per cento e i fascisti il 2. Un dato che trova conferma nella cosiddetta “affinità” ai partiti con risultati che sembrano in teoria poter ribaltare completamente le previsioni elettorali: il partito che a cui la maggior parte dei giovanissimi si sente “molto” o “abbastanza vicino” è il Partito democratico (41 per cento), subito prima della Alleanza Verdi e Sinistra (39) che è addirittura il primo partito se consideriamo solo quelli che si considerano “molto vicini” ad un partito; Azione e Italia viva superano M5s; chiudono Fratelli d’Italia, Forza Italia e infine la Lega. Ma le affinità non sono automaticamente voti, anzi.
C’è intanto un problema di leadership: e il primo, con ampio margine, è il presidente del Consiglio Mario Draghi. Al secondo posto Giuseppe Conte, che pure è stato il presidente del Consiglio della Dad, la didattica a distanza che gli studenti hanno tanto patito. Conte arriva davanti agli altri leader di partito in tutte le categorie (competenza, credibilità, affidabilità, simpatia e vicinanza). Ma se dovessero votare oggi i giovanissimi premierebbero nell’ordine il Pd (19 per cento), M5s e FdI (17), Lega (10) Azione e Iv (8).
Quanti andranno a votare e quanti invece si asterranno?
Il dato dell’astensione giovanile, dicono a Swg, è in linea con quello delle altre classi di età: 34-38 per cento.
Ma i potenziali astenuti che si collocano nel campo del centrosinistra sono il doppio di quelli che si collocano nel centrodestra e nel centro. Come se a sinistra non si sentissero rappresentati (Enrico Letta, che pure come “fiducia”, si piazza al quarto posto fra i leader, viene considerato lontano dalle questioni che interessano i giovani). Il che spiega il cosiddetto scanner emotivo: il 79 per cento dei giovani di centro sinistra si avvicina al voto con un misto di emozioni negative; per il 56 per cento di quelli di centro destra prevalgono «fiducia, tranquillità e gioia». Ma se i giovani si allontanano dalla politica, se continueranno a non sentirsi considerati, sarà una sconfitta per tutti.
Osservatorio IULM CP – CONTRIBUTI RECENTI /9
Astenersi: un diritto, una scappatoia o una menomazione? [31]
Stefano Rolando
A questo punto della crisi cronicizzata dei partiti politici e della crescita inarrestabile della disaffezione sociale rispetto alla politica, la domanda posta a titolo di questa nota potrebbe suonare come retorica.
Ha scritto qualche tempo fa (dunque ora il trend va considerato in ampio consolidamento) Linda Laura Sabbadini (Istat): “Attualmente è considerato normale recarsi a votare, come non recarsi a votare. Il deporre la scheda nell’urna è percepito sempre meno come un diritto, e ancor meno come un dovere, e sempre più come una facoltà di cui avvalersi”.[32] Messa così, anche soggettivamente, l’espressione “scappatoia” suona moralistica e la parola “menomazione” potrebbe essere antistorica.
Tuttavia, la riflessione – che va fatta con particolare senso in queste elezioni-lampo estive – è di provare a verificare se le tre connotazioni oggi, a guardar meglio, coesistano. Sia sul piano sociologico, sia sul piano dell’etica pubblica.
Partiamo dal dato previsionale. Scrivo nel primo giorno di settembre. Proprio questa mattina sia il Corriere della Sera sia Repubblica aggiornano i dati della discussione. Nando Pagnoncelli (Ipsos), sul Corriere, stima “l’area grigia dell’indecisione e dell’astensione attestata al 38,3%”. Per ora, dunque, una decina di punti in più rispetto all’esito delle urne nel 2018. Ma sommando indecisi e astenuti è logico pensare – e lo dice anche Pagnoncelli – che una quota tenderà a fare una scelta nella stretta finale della campagna, per cui la forbice finale sarà probabilmente con esito più rilevante del 2018, comunque tra il 30 e il 35%[33]. Sulla fascia giovanile tra i 18 e ai 25 anni si concentra invece Riccardo Luna su Repubblica, accompagnando la sua analisi con un sondaggio SWG e stimando che la disaffezione giovanile vada oggi prevista nella forbice tra il 34 e il 38%[34].
Stefano Iannaccone, sul quotidiano Domani, nel primo avvio della campagna elettorale, bilanciava il dato che questa fascia giovanile vota per la prima volta per il Senato (fattore di stimolazione) con il contesto però negativo per i giovani che costituisce materia depressiva per questa generazione, fino a ipotizzare un astensionismo pari al 45% (che poi è il dato generale del non voto sia alle ultime europee che alle ultimissime amministrative in Italia).[35] Giuseppe De Rita (intervistato da Stefano Cappellini su Repubblica) ha prestato molta attenzione al fenomeno dell’astensionismo mettendolo in relazione ad un sentimento diffuso che fa emergere una delusione collettiva: “Per molti le elezioni non sono più il momento magico della verità”. E aggiunge: “Credo che il più grande limite della politica italiana sia nella sua staticità. La nostra campagna elettorale è una litigata quotidiana su chi offre più tutele ai cittadini. Ti diamo questo, io ti do di più, allora io rilancio. Manca del tutto la capacità di andare oltre. Nell’America del Vietnam i cantanti dicevano we shall overcome, andare oltre. Nelle società dinamiche e moderne ai leader serve il coraggio di non limitarsi a tutelare ma esplorare, provare, rischiare. È come la differenza tra montanari e marinari. Per carità, intelligentissimi i montanari, ma la montagna che occlude la vista li porta solo a pensare a tenere in ordine il loro ambiente, chi sta sul mare ha un’altra prospettiva. Ecco, i nostri leader sono molto montanari”[36].
Pluralità di cause, pluralità di misure
Nell’astensione ci sono almeno cinque fattori che in parte si mescolano, in parte si disaggregano nella realtà. Ci sono condizioni tecnico-burocratiche che non favoriscono il comportamento di voto (in particolare per i fuorisede). Poi condizioni di difficoltà e impedimento personale. Incomprensione degli elementi di offerta, insieme alla non percezione di corrispondenza dell’offerta con la propria griglia di motivazione al voto. E ancora, disaffezione rispetto alla politica in relazione a delusioni e critiche in ordine al rendimento degli “eletti”. Infine, un reattivo sentimento di protesta.
Gianfranco Pasquino, ex senatore e reputato politologo, ha fatto sintesi delle cause appunto politiche dell’astensionismo, esprimendo queste tre evidenze:
- , i quali ormai non riescono più a mobilitare gli elettori e portarli alle urne.
Istituzioni, partiti, media, scarso interesse
Una prima grande discussione pubblica dovrebbe essere illuminata da una spiegazione molto netta e molto più mediatizzata dei caratteri e delle dimensioni di questi così diversi fattori.
Ma nessuno favorisce questo chiarimento.
- [37] o le relazioni tra il fenomeno del non voto e l’antipolitica[38]. Lo ha fatto nel dibattito pubblico recente il professor Sabino Cassese, tornato a Ferragosto sul vulnus democratico del discredito dei partiti dettagliando e analizzando la saettante definizione di Mauro Calise (“fragili, volatili inconsistenti”). Il nodo della sua riflessione è l’insufficienza di democrazia interna del sistema intero dei partiti italiani, venendo così meno la cornice di legittimazione che Piero Calamandrei espresse alla Costituente il 4 marzo 1947: “Una democrazia non può essere tale se non sono democratici anche i partiti”.
Lo scenario internazionale e le tendenze americane di questo fenomeno (dal 2016 l’asticella del non voto ha superato il 40% negli USA e nelle elezioni di midterm vota regolarmente la “minoranza” del corpo elettorale) avrebbero poi bisogno di più illuminazione e discussione, anche perché è all’interno di questa ancora oscura forbice che si fanno le analisi più realistiche sulle prossime evoluzioni della politica degli Stati Uniti, da cui dipendono largamente le sorti delle democrazie stesse dell’Occidente.
In realtà, l’unico soggetto “di sistema” che ha avuto una preoccupazione sostanziale negli ultimi mesi riguardo alla questione dell’astensione crescente è stato il governo Draghi. Smentendo l’approccio puramente tecnocratico-finanziario dl governo di emergenza riguardo ad una spina nel fianco da un lato dei partiti ma dall’altro lato anche della democrazia italiana nel suo complesso, Mario Draghi ha incaricato a dicembre 2021 il ministro per i rapporti istituzionali Federico D’Incà di costituire una commissione di esperti (in larga parte rappresentanti delle amministrazioni competenti), presieduta da Franco Bassanini, che ad aprile ha consegnato un rapporto centrato sulle analisi (che ripercorrono il quadro plurale delle motivazioni) per giungere però anche a proposte di intervento sulla riduzione del fenomeno agendo su molti degli aspetti tecnico-burocratici (il ministro D’Incà ha stimato che “con la creazione dell’election pass si potrebbe agire con una riduzione del 20% dell’astensione” [39]) . Ben inteso, lo scioglimento anticipato delle Camere ha, per ora, vanificato l’attuazione delle misure.
Un dato va emergendo nelle analisi sui flussi elettorali e merita di essere qui ricordato perché esso spiega che alcune forze politiche dovrebbero più di altre agire in forma meditata e sociale sui temi che l’evoluzione crescente dell’astensione pone alla politica e alla società italiana dalla seconda metà degli anni ’70, in forma inarrestabile. E cioè che la provenienza di voto dal centrosinistra risulta il doppio rispetto a quella di provenienza dal centrodestra nella composizione attuale degli astenuti. Anche questo elemento è diffuso nelle democrazie liberali. Per esempio, il Giappone (che sta sul filo del 45% di astensioni) ha visto i recenti combattimenti elettorali segnati da attese (poi deluse) tra destra e sinistra, secondo un analogo paradigma.
Chi scrive ha anche immaginato – trattando il tema in altra sede – che il civismo politico, soprattutto di espressione territoriale (quello vero, naturalmente e non quello generato fittiziamente dai partiti in occasione dei turni elettorali) potrebbe rivendicare un’attenzione permanente, di tipo anche socio-pedagogico, alle cause della crisi dei partiti politici nell’alimentare l’astensione. Dimostrando così l’interesse della politica “civica” e anche delle istituzioni (soprattutto quelle di prossimità) di combattere con qualche risultato la filosofia del “la democrazia è di chi c’è”. Ovvero modificarne gli aspetti cinici e portare quel 30% dell’Italia amministrata nei territori dal basso a farsi carico di una delle malattie in realtà con poca diagnosi e nessuna terapia di cui soffre la qualità democratica dei paesi occidentali.
Un diritto da coltivare con meno cinismo
Eccoci ora nelle condizioni di riprendere in mano la piccola provocazione del nostro titolo.
Sapendo che mai come in questo momento è il carattere “truffaldino” della legga elettorale non cambiata a ingrossare l’astensionismo, cioè a fronte di una sostanziale marginalità del cittadino-elettore di votare facendo prevalere la scelta collettiva dei votanti rispetto alla scelta verticale dei capi-partito di imporre “nominati”. E facendo per giunta emergere una dominante ulteriormente pericolosa per la salute dei partiti politici. Azzerata la società civile nelle liste, si è letto su alcuni quotidiani.
- ? Nulla quaestio. Ma è un diritto che in termini della qualità generata presenta sterilità e scarsa creatività. Come ha scritto di recente la filosofa Giorgia Serughetti “quando il posto della politica democratica resta vacante, altri poteri — dalle forze del mercato alle componenti autoritarie — trovano lo spazio per avanzare”[40].
- In molti sensi lo è, anche compreso quello di rendere meno tortuoso e infingardo il paradigma montanelliano di “votare turandosi il naso”. Ma varrebbe il carattere provocatorio della crescita di questa “scappatoia” se si mettessero realmente in campo le antitesi culturali e comunicative di una legittima pedagogia sociale attorno alla crisi della politica. Essa è dichiarata in Italia da tempo, producendo emergenze nelle emergenze, ma il cantiere delle riparazioni non lo abbiamo visto ergersi nella sua promessa di cambiamento.
- si fa presto a sommare i fattori di diminuzione democratica qui brevemente accennati e altrove, certo da altri più competenti, meglio approfonditi.
La partecipazione può generare coesione e la non partecipazione può incrementare conflittualità. Ma non è un processo così lineare. Tanto che per parlare di menomazione si dovrebbe immaginare una trasformazione quasi irreversibile, come quella che stava rischiando l’Unione Europea, ove la disaffezione elettorale fosse scesa strutturalmente sotto la soglia del 50%. L’astensionismo è in salita, ma non ha ancora sbilanciato del tutto il principio di una “vera” maggioranza del corpo elettorale. Tuttavia, se tutto continuerà a tacere, a breve potremo passare dalla contesa terapeutica al blando contesto delle cure palliative.
Osservatorio IULM CP – CONTRIBUTI RECENTI /10
Sei milioni di esclusi dal voto [41]
Gabriele Bartolini
Sono studenti e lavoratori fuori sede. Gli sconti sui viaggi finora ne hanno portati ai seggi solo 330 mila. E poi ci sono i figli ei migranti ai quali è negata la cittadinanza
Come accade ad ogni tornata elettorale, alcune categorie di cittadini si ritroveranno tagliate fuori dalle urne. Non per volontà, ma a causa di una legislazione considerata dagli stessi esclusi come «anacronistica e discriminatoria». Si tratta degli italiani senza cittadinanza, degli studenti e dei lavoratori fuori sede: potenziali elettori che per ragioni diverse, di volta in volta, si ritrovano impossibilitati ad esercitare il diritto di voto. «Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età», recita l’articolo 48 della Costituzione. «Tutti i cittadini», appunto. Un principio di uguaglianza declinato in chiave discriminatoria dalla politica, incapace di mettere mano alle vecchie normative che regolano l’accesso al voto, per chi vive lontano dal seggio o per chi non può ottenere la cittadinanza italiana, requisito fondamentale per godere appieno dei diritti politici.
Votare e essere votati. «Quest’anno mi hanno anche chiesto di candidarmi, ma essendo senza cittadinanza italiana ho dovuto rispedire la proposta al mittente». Insaf Dimassi, 25 anni, fa politica attivamente ma non può votare, né partecipare alla competizione elettorale. Si è trasferita in Italia dalla Tunisia quando aveva appena nove mesi. Qui ha frequentato tutti i cicli scolastici: asilo, elementari, medie, superiori e università; parla italiano con una leggera inflessione modenese. A causa della legge che regola l’ottenimento della cittadinanza non è ancora riuscita a diventare italiana a tutti gli effetti. «Quando mio padre ha raggiunto i requisiti di reddito io avevo compiuto 18 anni da soli venti giorni, ed essendo già maggiorenne sono stata tagliata fuori». Poco dopo, i genitori divorziano e Dimassi finisce nel nucleo della madre, con un reddito troppo basso per avanzare di nuovo la richiesta di cittadinanza. Quello di avere una certa disponibilità economica, infatti, è uno dei criteri più escludenti previsti dalla legge attuale, la 91 del 1992.
Per chi non nasce da genitori italiani, sono due le vie principali per ottenere la cittadinanza: aspettare il compimento di diciotto anni (solo se si è nati in Italia) oppure raggiungere i 10 anni di residenza con una certa soglia di reddito, variabile in base alla composizione del nucleo.
Un’asticella troppo spesso difficile da raggiungere. «Ho dovuto iniziare a lavorare per pagarmi gli studi», racconta. «Tutti lavoretti sporadici che però non mi hanno consentito di ottenere i requisiti di reddito».
Da attivista le sarebbe piaciuto portare le battaglie sull’integrazione fino in Parlamento. «Anche perché oltre ad una totale avversione della destra, non ho mai trovato un vero appoggio neanche da parte di una certa sinistra», ammette. Il riferimento è ai numerosi tentativi (tutti andati a vuoto) di approvare una nuova legge che allargasse le maglie della cittadinanza a coloro che, nei fatti, sono italiani a tutti gli effetti. Oltre a quello andato in scena sul finire della legislatura precedente, l’ultimo risale a qualche settimana fa, prima che la caduta dal governo di Mario Draghi provocasse lo stop al percorso delle leggi di iniziativa parlamentare.
Ius scholae e Ius soli
Tra queste c’era anche il cosiddetto Ius scholae, una proposta sostenuta da Pd e M5s e che avrebbe consentito l’ottenimento della cittadinanza ai figli dei migranti che avessero portato a termine un ciclo scolastico di almeno 5 anni. La riforma era sostenuta anche da una parte (molto ristretta) del centrodestra, proprio perché considerata meno incisiva e più tollerabile rispetto allo Ius soli, il quale, sul modello statunitense, prevede la concessione della cittadinanza a tutti i nati sul territorio italiano.
Secondo il Rapporto annuale dell’Istat, i minorenni nati in Italia da genitori stranieri sono oltre un milione. Solo il 22,7 per cento, però, è riuscito ad acquisire la cittadinanza. I potenziali beneficiari dello Ius scholae, invece, sempre secondo l’istituto di statistica, sarebbero 280 mila.
Ragazzi e ragazze che finiscono per ritrovarsi impigliati in una giungla burocratica e privati del diritto di voto una volta compiuta la maggiore età. «La legge prevederebbe dai due ai tre anni di attesa, ma nella pratica si può arrivare anche a sei», spiega Ihsane Ait yahia. Arrivata dal Marocco all’età di sei anni, assiste gli avvocati nella gestione delle pratiche legate all’immigrazione. I motivi per cui non ha potuto ottenere la cittadinanza sono gli stessi: mancanza di reddito una volta compiuti i 18 anni. Ait yahia ha avanzato la richiesta nel 2014 per poi ottenere il rigetto definitivo nel 2020. «La mancata possibilità di votare e di candidarsi sono le principali limitazioni che incontra una persona senza cittadinanza. A me piacerebbe molto partecipare alla vita politica in maniera attiva, ma purtroppo non posso». Anche se lo Ius scholae fosse stato approvato, sia Insaf Dimassi che che Ihsane Ait yahia non avrebbero comunque potuto partecipare al voto. «La proposta in discussione non prevedeva la retroattività», spiega Ait yahia. «Esclude dalla possibilità di fare richiesta tutti coloro che hanno già portato a termine un ciclo di studi».
La data del 25 settembre coincide con un appuntamento altrettanto importante per un’altra categoria di elettori. Nel mese di settembre migliaia di fuori sede faranno ritorno presso la città in cui ha sede la propria università per affrontare la sessione d’esame straordinaria. Una condizione, quest’ultima, che spesso si traduce nell’impossibilità di esercitare il diritto di voto. Tempi stretti, costi di viaggio e lunghe distanze rendono complicato il ritorno verso casa.
Secondo l’Istat, la platea dei fuori sede – tra studenti e lavoratori – conta circa 5 milioni di elettori, il 10 per cento degli aventi diritto. Nella maggior parte dei casi si tratta di giovani tra i 18 e 35 anni, principalmente residenti al Sud. Una fetta di potenziali elettori che di volta in volta contribuisce ad allargare la crescente percentuale degli astensionisti. La legge italiana non prevede metodi alternativi al voto tradizionale. O meglio: li prevede solo in determinati casi, come per i cittadini che risiedono stabilmente all’estero o per coloro che si trovano temporaneamente fuori dall’Italia per motivi di lavoro, salute o studio.
Queste categorie possono esprimere la propria preferenza per corrispondenza. Il risultato, però, è una situazione al limite del paradosso: diventa più facile votare per un cittadino che vive dall’altra parte del mondo rispetto a chi si trova a poche ore dal seggio.
Gli sconti per i viaggi
L’Italia è rimasto l’unico Paese europeo, insieme a Malta e Cipro, a non consentire una qualche forma di voto a distanza. Il governo ha cercato di ovviare al problema offrendo sconti sul costo dei mezzi di trasporto. Una soluzione che non ha portato a grandi risultati. I prezzi rimangono comunque alti e spesso le distanze da percorrere sconsigliano un viaggio di andata e ritorno in pochi giorni.
Di più: negli ultimi dieci anni lo Stato ha speso più di 60 milioni di euro, con un ritorno – in termini di partecipazione alle urne – a dir poco esiguo. Un esempio: nel 2018 la “politica degli sconti” ha prodotto appena 330 mila viaggi, tra elezioni nazionali, regionali e comunali. Un numero decisamente basso rispetto alla platea dei fuori sede stimati dalle statistiche. «Si tratta di un problema che riguarda soprattutto chi proviene dalle regioni del Mezzogiorno», dice Stefano La Barbera, presidente del comitato “Io voto fuori sede“: «In più la liquidità che ormai caratterizza il mercato del lavoro porta a continui spostamenti che non consentono al lavoratore di trasferire la propria residenza in maniera stabile».
Insieme all’associazione no-profit “The good lobby”, da tempo, il comitato presieduto da La Barbera ha avviato una raccolta firme per chiedere al Parlamento di intervenire.
L’appello è stato firmato da più di 20 mila persone. Con l’avvicinarsi delle elezioni è partita un’altra sottoscrizione, questa volta promossa da +Europa. L’obiettivo è quello di chiedere un intervento rapido alla ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese. Del resto, il tempo per una legge ordinaria è ormai scaduto, ma è altrettanto difficile che il Viminale riesca a sciogliere tutti i nodi tecnici entro il 25 settembre. «Come spesso accade, di questo argomento si torna a parlare a pochi giorni dal voto invece di affrontare la questione con le dovute tempistiche», commenta Martina Turola di “The good lobby”.
Alla Camera, durante la legislatura, sono state depositate ben cinque proposte di legge, nessuna delle quali è riuscita a fare un solo passo verso l’approvazione. Giuseppe Brescia, relatore dei provvedimenti e primo firmatario di uno dei ddl depositati, è scettico: «Al Viminale c’è una drammatica allergia all’innovazione».
Il riferimento è alla decisione di rinviare la sperimentazione del voto elettronico per i fuori sede. Una misura che avrebbe potuto avviare la digitalizzazione del processo elettorale.
L’astensionismo, è qui che si giocherà la partita di queste elezioni.
Ci pensano tutti, e qualcuno a pensarci lo nomina, con preoccupazione. Emma Bonino ha recentemente illuminato il problema «dei 5 milioni di fuori sede». Silvio Berlusconi ha bollato come: «inaccettabile l’astensionismo al 40 per cento». Eppure, è una costante della storia italiana. Fatta eccezione per i primi anni di vita della Repubblica che videro una partecipazione politica senza precedenti. Uscita dagli orrori della guerra e della dittatura fascista l’Italia segnò affluenze record. Il massimo livello di partecipazione si raggiunse nel 1953: in quell’occasione, la Dc di De Gasperi ottenne poco più del 40 per cento, contro il 22,6 del PCI e il 12,7 del PSI di Pietro Nenni. L’inizio del calo corrisponde, approssimativamente, al lento sfinimento della Democrazia cristiana. L’astensione arriva in doppia cifra nel 1987, 11,2 per cento. Tra il 1994 e il 2001 — elezioni che marcano l’auge del Cavaliere — l’astensione tocca quota 18,6 per cento. E alle elezioni del 4 marzo 2018 è già al 27,1 per cento.
Osservatorio IULM CP – CONTRIBUTI RECENTI /11
Caccia ai 3,8 milioni di voti dei giovani: così i leader sbarcano su TikTok [42]
Una fetta di elettorato pari all’8%, in grado di spostare gli equilibri post voto
Marco Lo Conte
Silvio Berlusconi, Matteo Renzi e poi il Partito Democratico.
A poco più di tre settimane dalle elezioni cadono le ultime resistenze allo sbarco su TikTok. Resistenze forti per chi come Calenda ha dichiarato la propria difficoltà a «fare i balletti» sul social media che registra il maggior aumento di utenti e audience.
D’altronde sono i numeri a dire che è necessario esserci: 3,8 milioni giovani sono chiamati al voto per la prima volta, l’8% circa degli aventi diritto.
Quanti sono su TikTok? Il dato non è disponibile a livello italiano, ma a livello globale il 33%degli utenti ha meno di 25 anni.
Parlar loro sul social della cinese ByteDance è fondamentale in vista del 25 settembre.
Il che è ben noto a Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Giuseppe Conte che su TikTok sono da tempo. Complessivamente i follower dei politici italiani sono circa un milione, metà dei quali del leader della Lega, oltre ai dieci milioni circa “mi piace” ai loro account (di cui sette di Salvini e due di Conte).
Numeri in forte evoluzione, in ragione dello sbarco di Berlusconi e Renzi.
E che rende ancor meno comprensibile l’annuncio al Tg2 post del segretario del Pd Enrico Letta di una “dote giovani” di 10 mila euro finanziato da una tassa di successione sui patrimoni multimilionari. Autogol che alla fine ha convinto il Nazzareno ad aprire l’account TikTok, con il video di Zan sui diritti.
Ma i politici sanno comunicare su TikTok.?
Il medium si presta solo in parte ai contenuti politici (peraltro da anni adattati a Facebook). Inoltre l’algoritmo di TikTok è ben diverso da quello di Meta o Twitter: più che la fan base di follower contano i “mi piace”. I contenuti hanno un maggior potenziale virale, il che ha reso cauti i social media manager dei politici a TikTok. Preferendo cercare di adattare il social alle proprie consuetudini: pochi gli elementi grafìci – gif, filtri e altro -, se non le caption che rilanciano i claim della loro campagna.
È scarsa segmentazione del pubblico (come il post di Salvini sulle pensioni).
Vista la contaminazione di politica e balletti, TikTok – che impedisce la sponsorizzazione dei contenuti politici – ha attivato un Centro Elezioni inapp per aiutare chi interagisce con contenuti elettorali ad attingere a fonti e informazioni affidabili, oltre a specifiche etichette ai contenuti individuati come relativi alle elezioni politiche 2022 in Italia, che rimandano al Centro in cui troveranno informazioni relative alle elezioni.
Le Linee Guida della Community, inoltre, proibiscono contenuti di disinformazione elettorale, abusi, comportamenti d’odio ed estremismo violento, tramite tecnologie e moderatori umani, grazie anche collaborazione con organizzazioni di fact-checking accreditate, tra cui Facta.News in Italia.
Osservatorio IULM CP – CONTRIBUTI RECENTI /12
L’astensionismo concentrato tra i poveri e i giovani del sud mette a rischio la democrazia [43]
Chi sono i non rappresentati – Le cause dell’astensione in un recente “Libro bianco“ del Governo.
Vitalba Azzollini
(giurista)
L’astensionismo rischia di essere il primo partito italiano il prossimo 25 settembre.
Secondo /YouTrend, la percentuale di astenuti e indecisi è arrivata al 42 per cento.
Il fenomeno avrebbe un peso più tangibile se il non-voto potesse trovare espressione sulla scheda elettorale, mediante l’indicazione «nessun partito mi rappresenta», e ciò si traducesse in una percentuale di poltrone vuote in parlamento.
Ma il nostro sistema costituzionale non lo consente. Gli effetti dell’astensionismo sul sistema democratico sono comunque concreti, e può essere utile spiegarli, dopo averne analizzato le cause.
Cosa dicono i dati e le ricerche
L’astensionismo può essere definito come la distanza dei cittadini dalla politica, quindi dai partiti. Tale distanza può essere tradotta in numeri. Tra il 1994 — dopo il tracollo della prima repubblica — e il 2018, l’astensionismo alle politiche è aumentato di 14 punti percentuali.
Alle europee la percentuale è andata anche oltre (19 punti tra il 1994 e il 2019).
E lo stesso è accaduto in elezioni a livelli inferiori (rispetto al 1993, l’affluenza alle comunali delle grandi città è calata di oltre 28 punti). Per dirlo con altri numeri, alle prime elezioni repubblicane (1948) partecipò al voto oltre il 92 per cento della popolazione; alle politiche del 2018 solo il 72,9 per cento. Alle europee del 2019 meno del 55 per cento. E, da ultimo, alle suppletive per la Camera, in un collegio di Roma ha votato circa il 12 per cento degli aventi diritto.
Il fenomeno è stato esaminato da una commissione di esperti con compiti di studio ed elaborazione di proposte per favorire la partecipazione al voto, istituita nel 2021 dal ministro per i Rapporti con il parlamento. In aprile la commissione ha presentato un libro bianco che indaga, innanzitutto, le cause dell’astensionismo. Una delle principali è «l’impossibilità materiale di recarsi alle urne a causa di impedimenti fisici o materiali, o di altro genere». In particolare, 4,9 milioni di persone lavorano o studiano in luoghi diversi da quello di residenza e, quindi, sono «più o meno disincentivate» al rientro nel comune dove votano. Questo tipo di astensionismo può essere ridotto con strumenti che agevolino la partecipazione.
Tra gli altri, la digitalizzazione della tessera e delle liste elettorali; la concentrazione delle scadenze in due soli appuntamenti annuali (election day); il «voto anticipato presidiato», che consentirebbe di votare nei giorni precedenti.
C’è poi l’«astensionismo di protesta», oltre a quello per «indifferenza», diffuso tra coloro i quali nutrono sentimenti di sfiducia nei riguardi della politica.
Nella campagna elettorale in corso se ne rinvengono alcune motivazioni: ad esempio, la sensazione dei cittadini di non contare molto, specie nella scelta dei propri rappresentanti.
Si pensi alla formazione poco democratica delle liste elettorali da parte dei partiti.
Partiti che hanno uno scarso radicamento. Candidati talora non legati al territorio che, potendo presentare la propria candidatura in più collegi, e scegliere quale accettare in caso di vittoria plurima, sostanzialmente decidono l’assegnazione del seggio al secondo classificato.
Inoltre, non incentivano al voto programmi elettorali simili a una sorta di lista della spesa, anzi delle spese, con punti irrealizzati (e forse irrealizzabili) di programmi precedenti, che non raccolgono le istanze dei cittadini.
D’altronde, in Italia i partiti si palesano loro solo al momento delle elezioni.
Un’indagine di Tecnè Italia sulle ultime amministrative rileva che solo il 28 per cento degli elettori a basso reddito è andato al seggio. Le percentuali salgono per le classi a reddito medio (63 per cento) e a reddito alto (79 per cento).
Come afferma il professor Riccardo Cesari su Lavoce.info, ciò spiega «una quota elevatissima (63 per cento) della variabilità interregionale dell’astensione»: con l’eccezione dell’Abruzzo, tutte le regioni del sud mostrano record di astensione e di povertà. E «la povertà colpisce in misura più che doppia i giovani rispetto agli anziani». Un recente sondaggio Swg per Italian Tech attesta che, nonostante 1’88 per cento degli appartenenti alla fascia dai 18 ai 24 anni ritenga il voto «un dovere civico» e il 64 per cento reputi che il voto del 25 settembre sia «uno spartiacque», solo il 41 per cento considera la politica «fondamentale».
Del resto, l’87 per cento teme che «con questa classe dirigente le cose non cambieranno mai».
Sul voto dei giovani incide anche il fatto che ci sono molti studenti fuori sede con le difficoltà a spostarsi e l’impossibilità di votare nel comune di domicilio.
L’impatto sulla democrazia
L’astensionismo concentrato in certe fasce della collettività determina una distorsione democratica.
Come spiega ancora Cesari, «se, per conoscere l’opinione di una popolazione, se ne intervistasse un campione del 60 per cento si otterrebbero risultati molto rappresentativi. Tuttavia, è così solo perché quel 40 per cento che non si è contattato o che non ha risposto è un gruppo casuale … Se, viceversa, quel 40 per cento di assenze è un gruppo sistematico, per esempio tutte donne, o tutti meridionali, o tutti del nord, o tutti giovani, il risultato di quel sondaggio uscirebbe fortemente distorto e per nulla rappresentativo dell’intera popolazione». Lo stesso accade per il voto: l’astensione concentrata tra i più poveri e tra i giovani, specie al sud, determina una distorsione nella rappresentatività degli eletti.
E questo è un vulnus per la democrazia.
Le istituzioni sono realmente rappresentative quando c’è un’ampia affluenza alle elezioni, sì che le persone delegate dagli elettori ad adottare decisioni manifestino le istanze dell’intera collettività.
È la partecipazione al voto che legittima le istituzioni e le rende forti, in quanto concreta espressione di sovranità popolare.
Ma in Italia si parla di astensionismo solo in prossimità delle elezioni.
Cos’hanno fatto finora i politici per favorire l’esercizio del diritto di voto? Sarebbe bene che nelle interviste venisse fatta loro anche questa domanda.
Osservatorio IULM CP – CONTRIBUTI RECENTI /13
L’astensionismo ai partiti piace: meno persone votano più il risultato è controllabile[44]
Roberto Saviano
Dal 26 settembre vi diranno che non avete senso civico, che vi manca il senso delle istituzioni, che siete cittadini a metà, egoisti, che se le cose in Italia vanno male è colpa vostra. Vi diranno all’esercizio del voto, avrete preferito il mare, la montagna, la campagna, oppure niente. Diranno che se ha vinto una coalizione è perché il muscolo democratico, a causa vostra, ha smesso di pulsare. Vi daranno la colpa di un astensionismo che i partiti politici rincorrono, desiderano e favoriscono ormai da troppo tempo perché si possa ancora fargli il favore di non parlarne, anzi, di non parlarne esattamente in questi termini. Perché si possa ancora tollerare che loro ne parlino come una piaga e non come una opportunità… per sé stessi. Se vi state chiedendo perché i partiti politici vedano l’astensionismo come una opportunità, anche se dicono l’esatto opposto, ve lo spiego in breve: meno persone votano, più l’esito del voto è controllabile. E se vi state chiedendo come sia giunto a questa conclusione, anche qui bastano poche parole, basta davvero considerare come hanno liquidato l’ultima, importante possibilità di partecipazione dal basso al destino del nostro Paese.
IL 26 SETTEMBRE VI DIRANNO CHE SIETE CITTADINI A METÀ CHE SE LE COSE VANNO MALE È COLPA VOSTRA.
Nei mesi scorsi la Consulta, un organo profondamente politico, in maniera del tutto pretestuosa ha boicottato e bloccato i referendum su cannabis ed eutanasia, di fatto bloccando una stagione referendaria che avrebbe avuto il merito di far sentire tutti noi coinvolti, utili, necessari. Che avrebbe avuto il merito indiscusso di curare il disinteresse e la disaffezione verso la politica che, vi assicuro, non dipende solo da noi, dalla nostra ignoranza, dalla nostra inadeguatezza. Gli unici quesiti rimasti, quelli sulla giustizia, sono stati presentati come astrusi, di difficile comprensione; i cittadini sono stati implicitamente invitati a disertare le urne sul presupposto che non sono quelli i temi su cui possono essere interpellati. La giustizia apparterrebbe a pochi… non a tutti: che abominio! Ci fanno sentire alieni in un mondo che invece appartiene a noi e ci invitano, senza dirlo troppo esplicitamente ché sta male, a restare a casa. Ma, vedete, i referendum non vengono proposti perché l’unica opzione possibile sia votare SÌ, ma perché ci sia dibattito attorno a temi importantissimi quali le droghe, il fine vita, la giustizia; perché tutti i cittadini si sentano direttamente chiamati a esprimersi su questioni che li riguardano. La droga è una piaga sociale che coinvolge tutti, o pensiamo ancora che siano solo le famiglie a doversi far carico dei «figli sciagurati che hanno perso la retta via»? Lo stesso vale per chi decide di voler accedere all’eutanasia: vi pare normale o sano aver bloccato ogni possibilità di dibattito? Dirò di più: vi pare legittimo aver bloccato la lista presentata da Marco Cappato con la raccolta di firme digitali? Pensateci, ormai usiamo lo Spid per tutto, accediamo ai servizi online della Pubblica amministrazione perché ci identifica senza possibilità di errore o furto d’identità, lo usiamo per una infinità di documenti perché di fatto sostituisce in toto la nostra presenza fisica… insomma lo Spid serve a tutto ma non a partecipare alla vita politica del Paese, non a sostenere una lista elettorale, non a esercitare un diritto acquisito a fatica, e per il quale ci invitano costantemente a non lottare.Del resto, se voi sapeste che con il vostro voto non potrete mandare in Parlamento Cappato, mentre molto probabilmente andando a votare eleggerete Di Maio, lo stesso Di Maio dei «taxi del mare», che fareste? La foto che ho scelto di mostrarvi questa settimana ritrae il murale di Paolo Borsellino dell’artista TvBoy, sta a Palermo: lo hanno sfregiato, cancellati gli occhi. L’ho scelta perché mentre gli abomini della campagna elettorale monopolizzano l’attenzione e i partiti fanno a gara ad allontanarci dalla politica, a Palermo vengono attaccati i simboli della resistenza alla mafia senza che ciò determini una presa di coscienza su quali siano ancora le priorità nel nostro Paese. Si cancellano gli occhi di chi ha visto, perché non veda più… Non si parla di criminalità organizzata, perché così si spera di convincere gli italiani che non esiste, che sia solo un’invenzione buona per qualche libro o serie tv. Si va dove ti portano i sondaggi, si tirano in ballo Dio, patria e famiglia come bigattini all’amo… noi siamo i pesci. Che dire: buon voto a tutti!
Osservatorio IULM CP – COINVOLGIMENTO COMUNITA’ IULM
Comunicazione
Questo questionario è specificatamente destinato alla comunità didattica dell’Ateneo e persegue in particolare lo scopo di fornire una adeguata documentazione a studentesse e studenti compresi nella fascia di età 18-25 anni che per la prima volta nella storia della Repubblica sono chiamati a votare anche per il Senato.
Chi ritenesse di voler esprimere valutazioni e dare un contributo di opinione lo può fare scrivendo all’Osservatorio
comunicazione.pubblica@iulm.it
Nella redazione conclusiva del Dossier si terrà conto di questa eventuale discussione e naturalmente dei dati realmente espressi dalle urne.
Osservatorio IULM CP – ESITI E ALCUNI COMMENTI DOPO IL VOTO/1
Astensioni e voti non validi [1]
Elettori: 46.021.956
Votanti: 29.355.592 (63,79%)
Tra i votanti:
Schede nulle: 817.251
Schede bianche: 492.650
Schede contestate: 2.817
Totale votanti non conteggiati ai fini dell’espressione di voto: 1.327.718 (2,88% rispetto al totale degli elettori; 4,52% rispetto al totale dei votanti)
Astenuti: 16.666.364 (36,21%)
Astenuti e voti nulli: 17.994.082 (39,09%)
L’astensione per fasce di età
Si aggiunge un dato sul voto e il non voto molto atteso, cioè riguardante la distribuzione degli esiti per fasce di età. Rispetto alla media nazionale del corpo elettorale (46.021.956) l’astensionismo, arrivato al 36,2% (con un balzo significativo rispetto al 2018), risulta piuttosto distribuito nelle fasce di età ma con un picco negativo nella fascia dai 25 ai 34 anni (40,5%) e un picco positivo nella fascia di età dai 55 ai 64 anni (31,6%).
Ecco la tabella:
Totale elettori – 36,2%
18-24 anni – 39,8%
25-34 anni – 40,5%
35-44 anni – 36,2%
45-54 anni – 32,5%
55-64 anni – 31,6%
65 anni e oltre – 38,1%
[1] Dati del Ministero dell’Interno (senza ancora il conteggio dei voti espressi nella Valle d’Aosta)
Osservatorio IULM CP – ESITI E PRINCIPALI COMMENTI DOPO IL VOTO/2
Elezioni politiche 2022, astensionismo record: 63,91% è il dato più basso di sempre[1]
Emanuela Valente
L’affluenza alle urne per le elezioni politiche si attesta al 63,91% dei votanti[2]. È un dato inesorabile, il più basso di sempre. Lo riferisce il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese. Gli astenuti hanno raggiunto un livello record del 9%, il dato più alto in assoluto.
Astensionismo in Italia. La politica deve interrogarsi e chiedersi, questa volta mettendosi in discussione davvero, perché così tanti italiani abbiano deciso di non andare a votare. Assistiamo da anni a una continua discesa: i cittadini hanno perso la fiducia nelle Istituzioni. Il risultato definitivo dell’affluenza è del 63,91%, con un calo di oltre nove punti rispetto alle precedenti votazioni del 2018. E se qualcuno si era illuso leggendo i numeri dei votanti a mezzogiorno, più o meno in linea con quelli di cinque anni fa, già alle 19 si era capito che il numero degli italiani alle urne sarebbe stato il più basso di sempre. L’affluenza alle urne per le elezioni politiche si attesta al 63,91% dei votanti.
È un dato inesorabile. Lo riferisce il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, sottolineando che si tratta del 9% in meno rispetto alle politiche del 2018. Gli astenuti hanno raggiunto un livello record del 9%, il dato più alto in assoluto da quando l’Italia è una Repubblica.
Astensionismo in Italia, mai così pochi italiani al voto nella storia delle elezioni politiche
Sono ormai lontani i tempi in cui gli italiani con tante aspettative tracciavano quella x, carica di speranze, sul simbolo. Dalle prime elezioni legislative della storia della Repubblica italiana, quelle del 1948 in cui (dati riferiti alla Camera) si recò alle urne il 92,23% degli aventi diritti, fino a quelle del 1979, la partecipazione degli italiani era sempre stata massiccia: per trenta anni affluenza mai sotto il 90%, con la punta massima raggiunta nel 1953 (93,84%) e quella minima proprio nel 1979, l’anno successivo all’assassinio di Aldo Moro.
Il 1983 fu l’anno in cui per la prima volta l’affluenza scese sotto la soglia psicologica del 90%: alle urne si recò l’88,01% degli aventi diritto. Da quell’anno, se si esclude la lieve rimonta del 1987 (+0,82%), si è assistito a un continuo aumento dell’astensionismo fino al 2001.
Il 2006 ha fatto sperare per un attimo ma è stato un fuoco di paglia: è stata l’ultima volta con il segno più nei confronti tra affluenze: 83,62%, in risalita di due punti rispetto a cinque anni prima. Da allora sempre meno italiani sono andati a votare: nel 2008 l’astensionismo è stato quasi del 20% e nelle elezioni del 2013 l’affluenza è scesa anche sotto quota 80%: 75,20%.
E il peggio doveva ancora arrivare: nel 2018 si è recato alle urne il 72,94% degli aventi diritto. E il 25 settembre 2022 il crollo è verticale: -9,03% in cinque anni.
La storia dell’affluenza alle elezioni politiche.
Ecco l’andamento dell’affluenza alle elezioni politiche
italiane dal 1948 a oggi, riferita ai risultati della Camera dei deputati. Per le votazioni dal 2006 a oggi, sono esclusi dal conteggio i numeri della Valle d’Aosta e della circoscrizione Estero.
- 1948: 92,23%
- 1953: 93,84%
- 1958: 93,83%
- 1963: 92,89%
- 1968: 92,79%
- 1972: 93,19%
- 1976: 93,39%
- 1979: 90,62%
- 1983: 88,01%
- 1987: 88,83%
- 1992: 87,35%
- 1994: 86,31%
- 1996: 82,88%
- 2001: 81,38%
- 2006: 83,62%
- 2008: 80,51%
- 2013: 75,20%
- 2018: 72,94%
- 2022: 63,91%
[1] Tga24.it Il Quotidiano Online dell’Ateneo Niccolò Cusano di Roma – 26..9.2022 -https://www.tag24.it/372898-elezioni-politiche-2022-astensionismo-record-6391-e-il-dato-piu-basso-di-sempre/
[2] Dati definitivi
Osservatorio IULM CP – ESITI E PRINCIPALI COMMENTI DOPO IL VOTO/3
Elezioni 2022: vincono astensione e sondaggisti.
Crolla l’Agenda Draghi, restano intatti i problemi sistemici
Franco Astengo
La vittoria dei sondaggisti è tale da porre un interrogativo: costruita una tesi è parte dell’opinione pubblica che vi si adegua e non chi esegue le rilevazioni seguendo l’andamento delle opinioni? In realtà restano intatti i temi della fragilità del sistema politico italiano in particolare sul versante della volatilità elettorale e della scarsa credibilità dei governi (rapporto tra i due fattori: scarsa credibilità del governo/ sale l’opposizione; finora dal 2008 in avanti non si è mai verificato il contrario). Il tutto distorto dall’applicazione della formula elettorale che rende possibile la costruzione di maggioranze di dimensioni ben diverse dal reale responso delle urne.
Il punto d’analisi vero risiede nella valutazione di quanto ci sia di ridefinizione a destra nel risultato delle elezioni 2022 e quanto di ricerca del “nuovo” da parte di un elettorato ormai reso “volatile” dalla vacuità delle presenze politiche.
Da segnalare ancora l’accentuarsi delle divisioni geografiche dell’orientamento elettorale già ben evidenti in precedenti occasioni ma che adesso sta assumendo la dimensione di una vera e propria spaccatura che non riguarda soltanto la “tenuta” del M5S al Sud ma anche la crescita dell’Alleanza Azione-Italia Viva al Nord, in particolare nelle parti più produttive del Paese. M5S favorito nell’assegnazione dei collegi uninominali dalla forte concentrazione del voto in determinate zone, tanto da potersi considerare quasi “Partito del Sud” (circa il 40% dei voti complessivi raccolti tra Calabria, Puglia, Basilicata, Campania e Molise).
Andando per ordine con riferimento al voto per la Camera dei Deputati sul territorio nazionale (esclusa la Valle d’Aosta):
Al momento in cui scrivo queste note mancano alla conclusione dello scrutinio 28 sezioni su tutto il territorio nazionale, quindi all’incirca 17.000 voti.
Il primo dato da tenere in conto è quello dell’astensione: elemento snobbato da molti commentatori che hanno tirato fuori la vecchia litania del fisiologico allineamento con la democrazie occidentali “mature”. In realtà si è creata una vera e propria voragine che peserà sull’intera capacità di tenuta del sistema. Nel 2018 ci furono 32. 841.705 voti validi, adesso siamo a 28.037.116 con un calo di 4.804. 589 unità.
Il dato dell’astensione si riflette naturalmente sul totale dei voti delle singole liste. Dal punto di vista della maggioranza relativa Fratelli d’Italia ottiene 7.292.649 voti in netto calo rispetto alla quota realizzata dal Movimento 5 stelle nel 2018 che era di 10.732.066 (meno 3.439.417). In sostanza su di un corpo di 46.127.514 elettrici ed elettori il partito di maggioranza relativa rappresenta il 15,81% (2018: M5S 10.732.066 su 46.505.350 pari al 23,07 con un calo di 7,26 punti).
- L’elemento di porre in rilievo è quello della distorsione sul meccanismo di traduzione del voto in seggi parlamentari dovuta all’applicazione della formula elettorale vigente (legge n.165 del 3 novembre 2017) che non prevede, oltre a mantenere le liste bloccate, la possibilità del voto disgiunto tra parte uninominale e parte plurinominale della scheda. A questo punto entra in gioco la capacità coalizione della forze politiche ed essendosi prodotta, in questo senso, nell’occasione delle elezioni del 25 settembre una forte asimmetria tra la tradizionale alleanza di centro-destra e la coalizione raccolta attorno al PD si è verificato il caso che il centro-destra raccolto il 43,82% sul totale dei voti validi ( in realtà 12.285.587 su 46.127.514 pari al 26,6% dell’intero corpo elettorale) abbia totalizzato l'83,44% dei collegi uninominali in palio per la Camera dei Deputati (un effetto distorcente del 40%). In sostanza il centro destra ha pagato i suoi collegi uninominali 102.160 voti uno, mentre il centro sinistra li ha pagati 610.101 voti e il M5S 422.143 (sfruttando la maggiore concentrazione territoriale).
- Non si può affermare semplicisticamente che ci si trovi di fronte a uno “spostamento” a destra che pure c’è stato, bensì sarebbe più corretto scrivere di “ridefinizione” del profilo della destra. Complessivamente il centro – destra ha raccolto il 25 settembre 12.285.587 voti una quota in lievissima ascesa rispetto al 2018 quando i suffragi furono 12.152.345 (circa 130.000 in meno). Deve essere ricordato come dal punto di vista della raccolta di consensi il centro destra avesse toccato il proprio massimo storico nel 2008, quando l’alleanza tra il Popolo della Libertà (che comprendeva già i neo-fascisti che poi avrebbero dato vita a Fratelli d’Italia) e la Lega Nord ottenne 17.064.506 voti (quasi 5 milioni di voti in più rispetto al risultato attuale: in quel momento il centro – destra rappresentava il 36,27% degli aventi diritto al voto, oltre 10 punti in più rispetto ad oggi).
- Naturalmente la ridefinizione identitaria del centro-destra porta il segno della crescita di Fratelli d’Italia saliti da 1.429.550 suffragi nel 2018 a 7.292.742 nel 2022. Si tratta di un fenomeno da analizzare con attenzione nel quadro di una crescente volatilità del voto in Italia, con un elettorato mobile costantemente alla ricerca del “nuovo”. Abbiamo già visto il fenomeno del 2008 quando il Popolo delle Libertà conseguì la maggioranza relativa con 13.629.434 voti; successivamente toccò al PD targato Matteo Renzi in occasione delle elezioni Europee 2014 con 11.172.861, poi al Movimento 5 stelle nelle politiche 2018 con 10.732.066 e ancora con le Europee 2019 alla Lega con 9.153.638 voti e adesso a Fratelli d’Italia con i già menzionati 7.292.742 voti ottenuti il 25 settembre 2022: un cambio vorticoso di partito di maggioranza relativa dentro a un costante calo di consensi.
- Il successo di Fratelli d’Italia è andato a scapito delle altre forze della coalizione di centro destra. Tra il 2019 e il 2022 la Lega ha praticamente dimezzato i consensi passando da 5.698.687 a 2.461.627 (perdendo voti anche nelle roccaforti dell’antica Lega Nord) mentre Forza Italia è scesa da 4.596.956 a 2.275.948, nello stesso tempo sono arretrati anche i cosiddetti “centristi”; del centro-destra: l’UDC nel 2018 aveva ottenuto 427.152 voti mentre adesso la lista dei Moderati (nonostante il sostegno di personaggi come il presidente della Regione Liguria Toti e il sindaco di Venezia Brugnaro) si è fermata a quota 255.270.
- Particolare attenzione merita il voto ottenuto dal M5S. Tutti conoscono il travagliato iter che il Movimento ha percorso nella XVIII legislatura: scissioni e micro-scissioni mentre rimaneva costante la presenza al Governo con 3 diverse formule: alleanza con la Lega, alleanza con il PD, governo tecnico sostenuto da “larghe intese”. Nel frattempo, i sondaggi davano il M5S in costante discesa addirittura, al di sotto della soglia psicologica del 10%. Alla fine, dopo un mutamento di direzione politica e una campagna elettorale fortemente orientata soprattutto alla difesa della misura- simbolo del reddito di cittadinanza, sono arrivati 4.325.977 voti pari al 15, 42% sul totale dei voti validi (pari al 9.29% del totale degli aventi diritto). Occorre molta chiarezza su questi dati, accolti con una sorta di velato e ingiustificato trionfalismo. Nel 5 anni trascorsi al governo dopo aver conseguito la maggioranza relativa il M5S ha lasciato sul campo 6.406.089 voti nella massima parte finiti nell’astensione (che nessun partito è mai stato in gradi di frenare considerato che la percentuale dei partecipanti al voto è in costante calo da decenni). D’altro canto, i transfughi del Movimento, in particolare l’ormai ex-ministro degli Esteri Di Maio, hanno tentato nuove avventure politiche risultando del tutto irrilevanti. Naturalmente il calo del M5S ha aperto, nella quota uninominale, un vera e propria autostrada per il successo del centro – destra ma questo è un elemento che chiama in causa la capacità coalizionale del PD, il suo asse strategico di riferimento e – ovviamente – gli elementi distorsivi antidemocratici presenti nella vigente formula elettorale che evidenzia aspetti di sicura incostituzionalità. Rimane il dato di fondo degli oltre 6 milioni di voti perduti.
- L’alleanza tra Azione e Italia Viva ha inteso collocarsi al centro dello schieramento politico con il deliberato proposito di svolgere una funzione interdittrice al riguardo dei due schieramenti ritenuti principali (sottovalutando tra l’altro il possibile esito del voto al M5S). Alla fine, sono arrivati 2.183.170 voti pari al 7,78% del totale di voti validi: varranno un pugno di deputati considerata la non competitività della lista nella parte uninominale. In realtà la raccolta di voti del duo Calenda – Renzi (assolutamente sovraesposto mediaticamente) è risultato di molto inferiore alle attese dei due imprenditori politici di riferimento: rimasti alla fine le vittime più illustri dell’impopolarità dell’agenda Draghi (nonostante l’apparente consenso di cui sembrava godere il suo apparente estensore). Un analogo tentativo fu svolto nel 2013 dall’uscente presidente del Consiglio Mario Monti che (a differenza di Draghi) si espose in prima persona. Il risultato fu considerato deludente ma sicuramente migliore di quello ottenuto dall’alleanza centrista in questa occasione (da accompagnare tra l’altro con il fallimento dell’ipotesi centrista portata avanti sul versante del centro destra). Prima di tutto Monti, nel 2013, riuscì a comporre una coalizione che ottenne 3.591.451 voti, oltre un milione e mezzo di voti in più rispetto all’operazione di oggi, e anche la sua lista con 2.823.841 voti (le altre componenti dell’alleanza erano rappresentate dall’UDC e dall’effimera FLI di Gianfranco Fini) raggiunse una quota superiore a quella del duo Renzi- Calenda di oggi.
- Sul voto al PD pesa come un macigno il duplice errore strategico compiuto dal suo gruppo dirigente: prima di tutto la mancata riforma della formula elettorale da tradursi in senso pienamente proporzionale; in secondo luogo, l’evidente incapacità di costruire un fronte capace di fronteggiare adeguatamente il centro-destra nei collegi uninominali. Da segnalare anche la disperata oscillazione nella campagna elettorale partita all’insegna dell’agenda Draghi e terminata con velleità simil-populiste di ritardato laburismo. Ciò nonostante, il voto al PD preso per sè stesso non è pessimo: nel 2018 (fatto salvo che in quell’occasione la perdita rispetto al 2013 era stata di circa 2.000.000 di voti) il PD aveva ottenuto 6.161.896 voti scesi in questa occasione a 5.346.826 voti (con una finta crescita percentuale dovuta alla diminuzione nei voti validi): 815.070 voti in meno. Si segnala però l’assoluta assenza di consenso raccolto da alleati inseriti in lista (fra i quali 2 ex-ministri della Sanità). Il problema principale per il PD sarà quello della segreteria e quello della crisi di astinenza da governo in un partito fondato su correnti e sulla logica del potere in centro e in periferia.
- A sinistra va segnalato il passaggio di soglia della lista Alleanza Sinistra – Verdi che, praticamente, con un 1.017.652 voti raccoglie l’intero bottino di Leu nel 2018 che ammontava a 1.114.799 voti. Si tratta di un dato che, oltre alla presenza parlamentare, sarà da verificare se potrà essere considerato punto di partenza per una necessaria ricostruzione a sinistra dopo le tante battute d’arresto fatte registrare almeno dalla vicenda della Lista Arcobaleno nel 2008 in avanti. Fallito completamente il tentativo di Unione Popolare nonostante il tentativo di personalizzazione attorno alla figura dell’ex-sindaco di Napoli De Magistris e l’intervento d’appoggio da parte di protagonisti della politica europea. Unione Popolare si è fermata a quota 402.187 appena sopra alla quota di 372.179 voti che era stata ottenuta dalla lista di Potere al Popolo (comprendente egualmente Rifondazione Comunista) nel 2018. Anche questi sono dati che dovrebbero fornire occasione per un ragionamento diverso dal consueto: tanto più che si è ben notata la differenza tra un’elezione per un incarico di tipo monocratico rispetto a un’elezione di tipo direttamente politico. De Magistris, infatti, presentandosi alle regionali calabresi con una candidatura a Presidente aveva avuto all’incirca il 16%: la lista di UP nella circolazione Calabria ha ottenuto il 25 settembre il 2,27%. Infine, completamente fallito il tentativo di sfruttare l’onda no-vax e no – Europa tentata dall’ex M5S Paragone bloccato a 533.190 voti e con la lista VITA dall’altra ex-deputata pentastellata Cunial (201,370 voti, 0,8%). Lontana dal quorum anche la lista rossobruna comprendente il PC di cui è segretario Marco Rizzo che ha avuto 347.713 voti pari all’1,24%.
Osservatorio IULM CP – ESITI E PRINCIPALI COMMENTI DOPO IL VOTO/4
L’astensione. La solitudine (e i perché) del non voto [1]
- Oltre un italiano su tre (il 36%) non è andato alle urne. Il motivo? Invece di trasformare il disagio in consenso ragionato, i partiti scelgono gli slogan facili sui social.
- È diffusa la convinzione il voto sia inutile, che i governi nascano a prescindere. I partiti possono perdere da un’elezione a un’altra la metà dei voti (e festeggiare)
Walter Veltronl
Sembra non interessare ad alcuno che il. 36% degli elettori italiani, più di uno su 3, abbia deciso
di non recarsi alle urne il 25 settembre. Eppure, ce lo dice un rapporto del Centro italiano studi elettorali, il crollo di un ulteriore 9,1% registrato domenica scorsa, definito «senza precedenti» nel nostro Paese, pone «le elezioni italiane nella top dieci dei maggiori crolli di affluenza nella storia dell’Europa occidentale dal 1945 ad oggi». Nelle elezioni regionali siciliane ha votato meno del cinquanta per cento degli aventi diritto. Ma questo dissenso silenzioso sembra non arrivare ai destinatari, che fingono di non capire. O, peggio, di non sentire. Cosa spinge le persone a scegliere di rinunciare a quello che in una democrazia viva dovrebbe essere considerato un diritto prima che un dovere?
Sono tanti gli elementi, evidentemente. Ma la dimensione del crollo spinge a concentrarci sulla spietatezza della crisi sociale che sta investendo una parte importante della popolazione e che traccia un solco tra questa condizione materiale e il grande circo mediatico, TikTok e Dirty Dancing, dentro il quale gigioneggia un ceto politico zuzzurellone.
Questo abisso è rafforzato dalla percezione che il voto ormai non conta, che i governi si fanno e si disfano a prescindere dall’esito delle consultazioni, che partiti e leader fino al giorno prima impegnati a insultarsi in modo sanguinoso, il giorno dopo sono capaci di sedersi sorridenti dietro il tavolo del Consiglio dei ministri. E che si vota solo contro. Ma un tempo i cosacchi che si abbeveravano a San Pietro o i forchettoni democristiani erano figli di qualcosa di grande e terribile, qualcosa che viveva nelle famiglie, nelle piazze dei paesi, nelle fabbriche.
Ora sembra facciano tutto da soli, in una bolla di glaciale autoreferenzialità. Si impegnano tutti a negare la legittimità dell’altro a governare e talvolta persino a esistere politicamente. Fondare un partito o un movimento significa radicarlo nella società e nel pensiero, significa descriverne radici e intenzioni. E gettarlo a viso aperto nella conquista del consenso, la dimensione precipua e più affascinante per qualsiasi passione civile. Ma non solo il consenso elettorale, che è la prova e non la ragione della forza di un partito. Ciò di cui parlo è il consenso faticoso che nasce dalla comprensione e condivisione del dolore sociale e civile, della capacità di organizzarlo e trasformarlo da rabbia in ragione, da solitudine di un disagio in forza collettiva. Quel consenso che si conquista ogni giorno, non presentandosi solo nel mese delle elezioni con i volantini con su scritto «vota me che tutto cambierà».
I partiti non sono, se hanno queste radici, dei fazzoletti di carta. Sanno perdere e vincere, sanno discutere e cambiare davvero, sanno rinunciare al potere senza pensare che l’opposizione sia una gogna. Il successo di Giorgia Meloni, che all’opposizione è restata, dimostra anche questo. L’astensionismo racconta della grande solitudine dei cittadini, della loro distanza da una politica algida e furbacchiona, dalle manovre di palazzo elevate a finissima strategia. Racconta dei frutti avvelenati del processo di disintermediazione che ha rimosso tutti i soggetti, sindacali e associativi, che vivevano dentro il disagio sociale e lo organizzavano. Soli, dentro il mondo della paura, quasi il quaranta per cento degli elettori ha deciso di rinunciare persino al voto. Anche a non ascoltarlo direttamente, bastava leggere il rapporto Censis 2021 per capire lo stato d’animo del Paese. L’Italia è l’unica tra le nazioni dell’Ocse che ha visto ridursi negli ultimi trent’anni le retribuzioni medie annue. In Francia sono cresciute del 34,1 per cento. Che sentimento possono avere gli italiani? 11 70,8 per cento dei giovani tra i 18 e i 34 anni si dichiara inquieto rispetto al proprio futuro. Cos’altro debbono gridare per farsi sentire? Ma il voto dimostra anche un’altra cosa: l’estrema volatilità dell’elettorato che in pochi anni ha premiato Forza Italia, il Pd, la Lega, i Cinque Stelle, ora Fratelli d’Italia.
Un tempo lo scostamento di mezzo punto percentuale faceva esporre le bandiere dalle finestre delle sedi delle forze politiche. Ora i partiti possono perdere da una elezione all’altra la metà dei voti (e incredibilmente festeggiare) oppure guadagnare un consenso improvviso e roboante. Ma i cittadini trattano i partiti come dei prodotti da mettere alla prova, pronti a girare il pollice se deludono o si omologano.
Mi colpisce il fatto che esponenti politici di varia natura, perduti milioni di voti in pochi anni, già si interroghino, dividendosi, sulle strategie di alleanze per le prossime elezioni. Invece di chiedersi, con disperazione e sincerità, dove siano finite quelle persone, e capire come cercarle, incontrarle, convincerle. Per dimostrare che la democrazia, di cui il voto è fondamento, non è un ferrovecchio.
[1] Corriere della Sera, 28 settembre 2022.
Chiusura redazionale 30 settembre 2022
Note
[1] Testo scritto per Democrazia futura/n. 6 2022 anticipato dal magazine online Key4biz il 22.8.2022 – https://www.key4biz.it/democrazia-futura-astensionismo-e-rischio-democratico/414035/
La prima parte di questo testo costituisce il podcast pubblicato dal magazine online Il Mondo Nuovo il 22.8.2022.
[2] Stefano Rolando – Elezioni 2022- Astensionismo, primo partito italiano nelle urne del 25 settembre – Previsioni, motivazioni e ambiti di incertezza ancora da sciogliere, nelle opinioni della demoscopia italiana. L’Indro (8.8.2022).
[3] Riccardo Saporiti – Come si comporteranno gli elettori del Movimento 5 Stelle alle elezioni politiche del 25 settembre – Infodata Il Sole 24 ore – 5.8.2022 –
[4] Ludovica Di Ridolfi e Ygnazia Cigna, Fuorisede, gli elettori dimenticati: ecco perché milioni di giovani e meridionali sono a rischio (involontario) di astensione – Openonline, 18.8.2022
[5] L’analisi di quell’evento nel Rapporto “Elezioni politiche 2008” della Fondazione di ricerca Istituto Carlo Cattaneo di Bologna.
[6] Donatella Natta, L’astensionismo elettorale come fenomeno complesso – Academia.edu, 2017
[7] Riccardo Cesari – Astensionismo, una minaccia per la democrazia – lavoce.info – 10.8.2022
[8] Riccardo Cesari – Elezioni 2022, cresce l’astensione: il rischio di una democrazia senza demos– Corriere della Sera-Economia, 16.8.2022
[9] Roberto D’Alimonte – Crisi dei partiti e demografia, perché aumenta l’astensionismo in Italia – CISE-Centro italiano studi elettorali – 18 giugno 2022 (pubblicato sul quotidiano Il Sole 24 ore il 14.6.2022)
[10] “L’astensionismo indica una rottura del patto tra cittadini e politica”, Egidio Lorito intervista Francesco Raniolo, Panorama 15.8.2022
[11] Sabino Cassese, C’erano una volta i partiti, Corriere della Sera, 22.8.2022.
[12] Maurizio Ceruto (Dipartimento di Sociologia della Politica, Università della Calabria) – La partecipazione elettorale in Italia (1992-2012) – Quaderni di Sociologia, n. 60/2012, nel fascicolo dedicato alla partecipazione politica in Italia.
[13] Il titolo è Per la partecipazione dei cittadini – Come ridurre l’astensionismo e agevolare il voto, edito dal Dipartimento per le riforme istituzionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
[14] Camera dei Deputati – Documentazione parlamentare – 15 aprile 2022 – Pubblicato il Libro bianco sull’astensionismo
[15] Intervistato su questa materia da Luigi Garofalo per Key4biz (26.4.2022) : “Con l’election pass punto a ridurre l’astensionismo del 20%”
[16] Nella prefazione all’edizione provvisoria della relazione della citata commissione di esperti, pag.10.
[17] Ne fa sintesi Lorenzo Ruffino su Youtrend il 21 giugno 2022 compendiando le principali misure.
[18] Angelo Panebianco – Realtà, annunci e urne. Finzioni da destra e sinistra – Corriere della Sera, 21.8.2022
[19] Linda Laura Sabbadini, Partecipazione politica e astensionismo secondo un approccio di genere, 28 febbraio 2006.
[20] L’intervista al seguente link
[21] Il Centrodestra avanza: ha 19 punti di vantaggio – Balzo di FdI al 25,1%, Cala il Pd i 5 Stelle sopra la Lega
[22] Link alla pubblicazione della Nota:
[23] La Voce di New York (14.10.2021)
[24] Giurista e scrittore. È stato pubblico ministero e giudice. Scrive in materia di giustizia penale e di democrazia liberale.
[25] Pubblicato sul giornale online L’Indro (11.4.2022)
- https://lindro.it/la-ue-fotografia-il-sentiment-degli-europei-dopo-due-anni-di-pandemia/
- https://stefanorolando.it/?p=5766
[26] Catania.liveuniversity.it (17.8.2022)
[27] Editoriale del quotidiano Domani, domenica 28.8.2022
[28] Intervista a Giuseppe De Rita, a cura di Stefano Cappellini – la Repubblica (29.8.2022)
[29] Asknanews (25.8.20220)
[30] Riccardo Luna, Giovani, il voto perduto – la Repubblica, 1° settembre 2022
[31] Questo articola fa sintesi e aggiorna ai primi di settembre trattamenti recenti e precedenti scritti dall’autore sulla materia. Questo testo trova pubblicazione sulla rivista mensile di cultura politica Mondoperaio n. 9/2022.
[32] Linda Laura Sabbadini, Partecipazione politica e astensionismo secondo un approccio di genere, 28 febbraio 2006.
[33] Nando Pagnoncelli, Il sondaggio – Corriere della Sera, 1.9.2022
[34] Riccardo Luna, Giovani, il voto perduto – Repubblica, 1.9.2022
[35] Stefano Iannaccone, I giovani snobbati che possono aiutare il centrosinistra, Domani, 3.8.2022
[36] Giuseppe De Rita, “Politici prigionieri dei social, non mobilitano più“, La Repubblica, 29.8 2022
[37] Riccardo Cesari – Elezioni 2022, cresce l’astensione: il rischio di una democrazia senza demos– Corriere della Sera-Economia, 16.8.2022 –
[38] “L’astensionismo indica una rottura del patto tra cittadini e politica”, Egidio Lorito intervista Francesco Raniolo, Panorama, 15.8.2022
[39] Intervistato su questa materia da Luigi Garofalo per Key4biz (26.4.2022)
A questo link si può risalire al documento integrale del Rapporto e alla composizione della Commissione.
[40] Giorgia Serughetti, Le ragioni del non voto e il rischio del vuoto, editoriale del quotidiano Domani, 28.8.2022.
[41] Gabriele Bartolini, Sei milioni esclusi dal voto, L’Espresso, 4 settembre 2022
[42] Da Il Sole 24 ore del 5.9.2022.
[43] Pubblicato il 6.9.2022 nel quotidiano Domani
[44] In Corriere della Sera 7 (9.9.2022) – https://www.corriere.it/sette/opinioni/22_settembre_09/astensionismo-partiti-piace-meno-persone-votano-piu-risultato-controllabile-38efa316-2c7b-11ed-a881-0468ff338f41_amp.html