Anche la crisi di immagine nazionale spinge i giovani africani ad emigrare.
Conakry, 12 maggio 2018
Aereoporto, in attesa di imbarco
Siamo tornati questa mattina con l’ambasciatore d’Italia in Guinea Luigi Spadavecchia su un tema che, non da oggi, è parte integrante dell’azione diplomatica e del rapporto di forza tra le nazioni: la consistenza dell’immagine nazionale.
Uno strumento nelle corde dell’Università IULM per intercettare bisogni formativi che si vanno chiarendo in materia migratoria – anche se lentamente e forse anche in ritardo perché il passaggio dall’emergenza alle strategie di normalizzazione e’ lento per tutti – e’ quello che proviene da una specializzazione della comunicazione pubblica che va sotto il nome di Public Branding. Tema quindi che è parte del perimetro disciplinare messo in campo.,
Una settimana scarsa non permette alcuna seria diagnosi,
Anche la crisi di immagine nazionale spinge i giovani africani ad emigrare.
Conakry, 12 maggio 2018
Aereoporto, in attesa di imbarco
Siamo tornati questa mattina con l’ambasciatore d’Italia in Guinea Luigi Spadavecchia su un tema che, non da oggi, e’ parte integrante dell’azione diplomatica e del rapporto di forza tra le nazioni: la consistenza dell’immagine nazionale.
Uno strumento nelle corde dell’Università IULM per intercettare bisogni formativi che si vanno chiarendo in materia migratoria – anche se lentamente e forse anche in ritardo perché il passaggio dall’emergenza alle strategie di normalizzazione e’ lento per tutti – e’ quello che proviene da una specializzazione della comunicazione pubblica che va sotto il nome di Public Branding. Tema quindi che è parte del perimetro disciplinare messo in campo.,
Una settimana scarsa non permette alcuna seria diagnosi. Ma dovendo scrivere qualche appunto preliminare sul tema “Brand Guinea , annoto qui cose sentite e cose percepite.
- La signora Isabelle Ghussein, proprietaria della “Pension Les Palmiers”, franco-libanese qui dal 1958, dice parlando di Conakry: “Eravamo la perla dell’ Africa occidentale ora siamo diventati la sua pattumiera“.
- Il prorettore dell’Universita pubblica “Lansana Conte'”, socio-antropologo di formazione, mentre arrivano voci di una ventina di casi di Ebola in Congo, ha in testa il conto dei morti della passata crisi per Ebola, scoppiata del 2014 e chiusa nel 2016, più di 11 mila, con la cancellazione dei voli, poi l’ annullamento di quel poco di prenotazioni turistiche che il paese si era conquistato, infine con il ritiro degli investimenti di molte aziende internazionali, che da poco hanno ripreso.
- Lo stesso ambasciatore d’Italia, tenuto a cauti giudizi sulla capitale che lo ospita, si arrende di fronte ai canaloni che circondano il suo stesso grande albergo, facendo navigare a cielo aperto liquami, plastiche, rifiuti di ogni genere e acque polluenti che sono una oggettiva promessa di colera.
Si potrebbe andare avanti ancora: le crisi sanitarie e l’esplosione del caos urbanistico e sociale della capitale segnano una crisi di brand che tiene lontana una parte del mondo, mentre favorisce le incursioni spericolate di russi, cinesi e americani che spolpano la terra stessa guineiana, caricando i containers non solo della bauxite di cui hanno licenza, ma di qualunque altra “ricchezza” che essa contiene ( oro compreso). Un rapporto di sfruttamento che sta generando risentimento pubblico e che vede sommare ai morti dell’insostenibilità ambientale i morti di incidenti sul lavoro.
Ci accontentiamo di poche pennellate per capire che la mitologia delle foreste, dei villaggi, della fauna speciale che faceva della Guinea una tipologia accreditata della attrattiva africana, pur continuando ad essere cosa che ancora esiste, è tuttavia fuori da ogni narrazione, così da non pesare ormai quasi per niente nel racconto più equilibrato e perciò anche più positivo a favore di questo paese. A cui comincia a sommarsi l’etichetta delle migrazioni che nel linguaggio ormai ruvido dell’Europa pressata crescentemente dal sud – e quindi dall’Africa – identifica proprio gli immigrati africani, rispetto ad altre aree di origine, come poco utili e tendenzialmente dannosi (oggi i nigeriani in testa).
Certamente questa diagnosi e’ approssimativa e non tiene conto di tutti gli elementi addizionali in uno sforzo di strategie di rigenerazione reputazionale. Ma il guaio vero e’ che, per quel che si capisce, questa rigenerazione e’ retoricamente predicata dal governo ma non segue nessun bandolo che possa ragionevolmente produrre qualche esito in tempi prevedibili.
La Guinea non è il caso peggiore né del mondo e nemmeno dell’Africa, tanto che chi la conosce bene saprebbe mettere l’accento su altre storie e altri racconti. Ne abbiamo ascoltato casualmente uno questa mattina, all’ora del caffè, da un’etologa canadese, Rebecca Kormos, che si accinge con entusiasmo a girare un film dedicato a foreste e scimpanzé per National Geografic Magazine. Ma dentro il laboratorio migratorio che ormai stai connettendo Italia e Guinea per numeri che cominciano ad essere significativi, nel momento in cui si sta tentando di aprire qualche pista alla formazione per arginare e rettificare le tendenze più dannose, ebbene questo tema ineludibile per qualunque nazione al mondo, quello dei fattori di attrattività, entra nell’inventario. Con la sua valenza critica ma che con la sua interessante trasversalità.
Intanto, sempre di buon mattino, qualcuno ha piantato nello spiaggione in riva all’Atlantico sotto la terrazza dell’albergo una bandiera della Guinea. Che divide e unisce al tempo stesso due schiere di giovani. Da un lato chi si allena dietro ad un pallone sognando il mito di Paul Pogba, classe ’93, francese di origine guineana (genitori emigrati in Francia con fratelli e parenti che giocano al calcio in Francia e in Guinea), nazionale di Francia dal 2008, dal 2012 al 2015 mezzala della Juventus e ora astro del Manchester United, considerato tra i migliori al mondo della sua generazione. Dall’altro lato, ragazzi impiegati dall’Amministrazione pubblica a ripulire la spiaggia e tra di loro, dicono, anche qualche rimpatriato sfortunato da recenti tentativi migratori, nei programmi della Organizzazione Mondiale delle Migrazioni che a fine 2017 ne ha riportati a casa 150 dalla Libia nel quadro di progetti di ricollocamento.