Podcast n. 11 – MN – L’ennesima svolta regressiva

Audio pubblicato sul magazine online Il Mondo Nuovo lunedi 26 settembre 2022

Podcast n. 11 – Il Mondo Nuovo – 26.9.2022

Nella rubrica “Il biglietto da visita” –

L’ennesima svolta regressiva

Stefano Rolando

Sabato sera siamo andati a dormire con l’accompagnamento del silenzio elettorale.

Un silenzio, diciamocelo, piuttosto gradito.

Un breve tratto di assenza di parole, di segni, di esclamazioni, di assertività, di contumelie che hanno fatto del mese di settembre – abitualmente pigro trascinamento dei sapori delle vacanze sia pure con il ritorno per i più al lavoro – un mese faticoso, rumoroso, talvolta invadente, talvolta irritante.

La quiete di questo sabato ci ha fatto contare le poche cose di senso, di emozione, di sincerità, di proposta, di giudizio argomentato che la campagna elettorale ci ha, con avarizia, proposto.

Tanto per non farci pensare di vivere improvvisamente su un altro pianeta (pur pensando in molti che questo sarebbe stato il destino fatale)

Siamo andati a dormire accontentandoci di quel po’ di argomenti (pochi per la verità) che queste elezioni hanno prodotto per indurci a votare. Chi rassicurato nelle scelte, chi invece arrabbiato, chi indifferente, chi navigando ancora nei dubbi. Sabato sera – prima dell’apertura delle urne – tutto è rimasto per un breve momento appeso all’indecisione collettiva.

I più, diciamo la verità, convinti che i sondaggi indicavano la strada. Altri immaginando qualche possibile rovesciamento. Soprattutto sui collegi contendibili, quelli che possono mettere in difficoltà i numeri per governare. Con chi si mostrava preoccupato per un assenteismo eccessivo. Ma anche con qualcun’altro che continuava a pensare – eredità del governo di emergenza – che una contesa democratica deve portare adesso a un esito di governabilità. Cioè per dare risposte ai nostri problemi, ai nostri insoluti, alle nostre difficoltà.

Sabato, insomma, prima delle elezioni, siamo andati a dormire abitando nel regno del possibile.

Personalmente (ammetto che è una domanda retorica) ero interessato a capire se il governo di emergenza Draghi, appunto, avrebbe avuto il merito di portare gli italiani ad uscire dalla lunga stagione madre di tutti i populismi – cioè il berlusconismo – verso un modello europeo legato al merito, alla competenza, alle riforme necessarie.

A buoni conti, ieri sera, cioè domenica sera25 settembre, accertato il tasso di partecipazione (in forte calo) e ascoltati gli exit-poll, siamo andati a dormire con i piedi tornati sulla terra, con la realtà al posto delle incertezze, con il riscontro di quella voce collettiva che si chiama “democrazia”.  

Che abbiamo imparato ad apprezzare quando ci è favorevole e ad accettare quando ci è sfavorevole. Un bel bagno di realtà.

Il biglietto da visita della sera decisiva – abbiamo visto – è fatto di poche cose in evidenza.

Come devono essere i biglietti da visita.

  • C’è un nome e cognome. Giorgia Meloni
  • C’è una professione. Leader del partito di destra “Fratelli d’Italia” che ha mantenuto nel simbolo il riferimento alla destra neofascista repubblicana.
  • C’è un indirizzo. Le borgate, le periferie, le piazze, possibilmente lontano dai “palazzi” di tutta Italia. 
  • C’è una risposta alla mia attesa: gli italiani hanno scelto di uscire dal berlusconismo dalla parte opposta, cioè la destra torna al governo, ma questa volta è quella di una certa continuità storica.
  • E c’è qualche numero. 26% al primo partito d’Italia. Che arriva però secondo nella corsa perché gli astenuti sono il 36%, con un balzo di 8 punti rispetto al 2018 , tendenza che nessun partito ha voluto mettere nella propria narrativa riparativa per tempo., in particolare il CS che sapeva di avere nel proprio ambito il doppio del potenziale astensionismo del CD.

E con oggi, in fondo al biglietto da visita, c’è anche un link ad una buona rassegna della stampa estera.

Nel mondo questo risultato non è letto in modo sfumato. Non c’è quasi mai nemmeno la parola “centrodestra2. “Ha vinto la destra”, scrivono in tanti.

Qualcuno (anche qui il richiamo è a Draghi) la vede come semplice alternanza nel quadro dei necessari controlli, grazie al tipico strumento occidentale del check-and-balance.

Ma nei titoli della stampa estera, il cambiamento è visto in modo radicale. Ad esempio, leggo: “Da oggi l’Italia ha per la prima volta un leader nazionale donna. E per la prima volta si tratta di una leader nazionale fascista”.  

In alcuni casi è approssimazione. In altri casi è il vociare della rete. Ma quando è l’Economist a pubblicare un video che mostra la possibile premier italiana, segnalando il rischio (soprattutto per l’Europa) e accompagnando le immagine con il suono delle campane a morto, al di là dello scatto i nervi che questo stile provoca noi capiamo anche che stiamo per entrare in un quadro reputazionale internazionale che ci riguarda e ci coinvolge tutti.

Insieme all’inspiegabilità per l’opinione pubblica internazionale avvertita – dalle imprese agli investitori, dagli intellettuali ai media – circa il fatto che il dopo Draghi segna la più grave sconfitta del centrosinistra mai registrata nella storia repubblicana. Con il PD sotto il 20% travolto persino nei collegi sacri. E in subordine va detto anche: il modesto risultato di quel “terzopolo” indicato come la fine del populismo in nome di un centrismo decisivo. La scissione filogovernativa nei 5Stelle con Di Maio democristianizzato, lo ha disintegrato elettoralmente, lasciando a Conte un risultato di contenimento che tiene in partita il Movimento come terza forza del Paese e prima al Sud. La Lega – tra dissidi interni e leadership spesso in stato confusionale – ha un crollo elettorale a beneficio del più coeso e assertivo partito alleato, cioè Fratelli d’Italia.

Per questo il vero tema non è tanto quello di misurare ora quanto davvero sia fascista la Meloni, che ha dedicato una campagna elettorale a dissimulare. E che alle prese con il suo rigenerato atlantismo starà attenta su questa narrazione. Dovendo comunque inventarsi qualcosa per spiegare che il suo governo è per un membro filo-americano e per gli altri due filo-putiniano.  

Il tema forse più interessante – per capire l’accaduto –  è proprio quello degli italiani che, al di là di questo lifting, in realtà hanno largamente saputo e percepito la sua caratterizzazione fascistoide, grazie alle mille allusioni di fatti, persone e simboli. E che, ciononostante, più di uno su quattro, hanno scelto la Meloni per governare le crisi in campo e per premiare la sua opposizione dalla prima ora al governo che quelle crisi ha fronteggiato con l’apprezzamento internazionale.

Ma in questi passaggi così dirompenti, non dovremmo limitarci a riproporre gli anatemi contro questo o quell’aspetto dell’offerta politica. Questo in fondo è il loro teatrino preferito.

Dobbiamo profondamente preoccuparci piuttosto della trasformazione della domanda e dopo aver visto il balzo del leghismo e del populismo (ma anche una certa loro parabola) chiederci con quale bussola in testa i nostri compatrioti hanno pensato che il momento fosse giusto in Italia, proprio il momento migliore, per fare il balzo adesso verso il sovranismo alla Orban ispirato alla carta sociale dei repubblichini. Comunque fuori dalla maggioranza che governa la politica europea attuale.

Interessa che si tenga aperta la discussione su questo tema. Interessa immaginare in campo con più coraggio il mondo dell’impresa e soggetti che non hanno solo un profilo amministrativo come le nostre grandi città (per esempio la quattro maggiori città italiane, Roma, Milano, Napoli, Torino).

Prima di sparare giudizi adesso studiamo attentamente questi esiti, queste astensionismo, questo cantiere imprevedibile. E vediamo come il paese reale reagirà alla svolta che appare seriamente regressiva.

E che Dio ce la mandi buona. 

2 thoughts on “Podcast n. 11 – MN – L’ennesima svolta regressiva”

  1. Sull’astensionismo: il Parlamento ha avuto un anno a disposizione per trovare una quadra riguardo all’elezione del Presidente della Repubblica. Tutto cio che é riuscito a partorire é di andare a “rompere le scatole” all’unica persona che aveva piu volte detto di non volerlo (ri)fare il Presidente. Con quale credibilità questo Parlamento chiede agli italiani una (ri)legittimazione tramite il voto? Per davvero dobbiamo tutti correre alle urne per mettere in calce la nostra firma e la nostra approvazione ad un Parlamento che ha manifestato a piu riprese la sua incapacità? Per di piu’, arrivando al seggio e trovandosi una scheda con una serie di nomi pre-compilati dalle segreterie di partito, intente a fare eleggere la fidanzata di Berlusconi a Marsala, o comunque i loro protetti per continuare a farsi gli affari propri? A fronte di tutto questo, il sottoscritto ci é andato a votare, per far sentire la voce (sempre piu fioca) di una gioventu ormai condannata dalla piramide demografica sfavorevole.

    Sulla “trasformazione della domanda”: il risultato di 40 anni di globalizzazione principalmente preoccupata dei Paesi emergenti, e che non ha saputo dare risposte credibili all’ormai ceto medio impoverito dei Paesi sviluppati. Molti dei figli del ceto medio italiano di oggi rischiano di essere piu poveri dei genitori, figli di una generazione sessantottina che si é mangiata tutti i pasticcini (sotto forma di spesa pubblica che si é nel tempo trasformata in debito) ed ha anche lasciato i pierottini vuoti da buttare via. A fronte di tutto questo, la domanda si trasforma come puo’ e “per tentativi”: é stato il turno di Berlusconi, poi Renzi, poi i 5 Stelle, a tratti Salvini ed ora Meloni. Ma la domanda é sempre la stessa: una speranza, un conforto rassicurante (anche se effimero), una idea – anche se puerile – di contare ancora qualcosa, di non scivolare via a colpi di “diktat europei” non compresi ed automazione cinese. Con il passare del tempo, questa domanda purtroppo si “infantilizza” di volta in volta, e privilegia il brevissimo termine (sussidi, mantenimento dei privilegi corporativi, “nazionalizzazione”) rispetto al medio (investimenti, riforme, visione). Ma quale politico riformista potrebbe oggi guardare negli occhi questo elettorato deluso e rinfacciargli qualcosa?

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