Appunti di viaggio nel cuore dell’Africa occidentale, la Guinea.
Nuova fonte dei migranti verso l’Italia.
Università dei due paesi promuovono un laboratorio formativo.
Stefano Rolando
Conakry, 12 maggio 2018
Riunisco, in partenza, gli appunti di questa settimana
Una patina rossa corona l’Atlantico tra le palme e la vegetazione del giardino della “Pension Les Palmiers” che attira, qui a Conakry, europei No-Sheraton, con i piccoli disagi e i grandi privilegi di questo genere di hotellerie coloniale, nascosta tra il verde di alti fusti e rosseggianti alberi “flamboyants”. Tra i privilegi quello di guardare dritto in faccia l’oceano, senza la mediazione di brutture, rifiuti fumanti, baracche sull’orlo di collassare, cineserie appese agli ombrelloni.
E’ in questa cornice che raccolgo, nell’ultima sera di permanenza, gli appunti di questi giorni per dar conto di un breve viaggio nel cuore dell’Africa occidentale, nella capitale della Guinea, organizzato da Fondazione IULM e dal suo presidente prof. Angelo Turco, che ho affiancato per la specificità della missione. Missione che ha avuto lo scopo di stabilizzare e programmare una cooperazione tra università italiane (la nostra e forse altre) e guineane attorno alle opportunità delle scienze della comunicazione (soprattutto nel campo pubblico) dove il punto di partenza per noi è rappresentato dal fatto che, dopo la Nigeria, la Guinea è diventata la fonte della seconda migrazione africana in Italia. Per loro, per i guineani, il punto di partenza è rappresentato dalla scoperta che, essendo totalmente disarmati in campo comunicativo, la vicenda di Ebola ha ammazzato il paese dal punto di vista turistico e ha colpito duramente la stessa immagine nazionale.
Quattro le giornate di lavoro: la prima dedicata ad incontri istituzionali; la seconda dedicata al colloquio inter-universitario su migrazioni e comunicazione; la terza per partecipare ad un grande evento nazionale, il “Forum dello studente guineano” aperto dal presidente della Repubblica, con tutte le università del paese e altrettante straniere e soprattutto con venti imprese che partecipano al dialogo educativo sull’innovazione; la quarta a creare le preliminari condizioni (contenuti, finalità, tecnologie, finanziamenti) del progetto formativo bilaterale delineato.
Nei tratti cosiddetti “liberi”, odissee nel traffico di una città in cui più di un milione di abitanti dei villaggi si è trasferito negli ultimi anni, nel tratto migratorio “interno”, senza che vi fosse alcuna infrastruttura (case, strade, ospedali, scuole, luce, acqua) per accoglierli. Così da rendere la città accerchiata dal caos incontrollabile e spingendo molti al secondo tratto “migratorio”, quello verso l’Europa.
Incontri preliminari (9 maggio)
Alla Universita’ “Lansana Conte'” il nuovo rettore è arrivato da poco, è un economista nominato dal presidente della Repubblica Alpha Condè, si chiama Ahmadou Oury Kore’ Bah e ci riceve in un salottino del suo pavillon al termine del campus, con attorno i prorettori “vecchia guardia” (già noti al professore Angelo Turco) e ai giovani dirigenti delle strutture interessate all’evento. Serve una conferma di impegno nel progetto, che arriva con un certo calore. Le spinte all’emigrazione sono due e in un certo senso contraddittorie, dice. Da una parte inutile cercare altre parole, la spinta è la povertà. Ma dall’altra parte c’è una tensione generazionale a voler partecipare ai temi del cambiamento planetario Nei nostri villaggi – continua – i ragazzi erano una speranza delle famiglie. Adesso sono diventati la loro disperazione. In realtà si preparano ad andarsene da piccoli. A un certo punto staccano la spina e vanno via.
Quando si arriva al tema di come approfondire la cooperazione sulla materia, il rettore aggiunge che tutta l’Europa dovrebbe dare la sua interpretazione ai due fattori di spinta. Circa la povertà è evidente che qui tra Europa e Cina (lo vediamo noi in poche ore di traffico) è la Cina che sta coprendo i bisogni (le motociclette che girano all’ impazzata sono tutte loro, i materiali di modesta tecnologia ma indispensabili alla vita che si vendono per strada sono tutti loro; ma loro sono anche i grandi centri commerciali che si vanno aprendo e persino gli stadi di football). Dall’ Europa arrivano stock di auto usate che tengono in piedi il mercato dell’automobile di seconda mano (l’unico che esiste, dato che nuove sono solo le macchine dei ministri e degli ambasciatori). Mentre sulla modernizzazione, dice, le leve formative sono quelle che ora permetterebbero sviluppi programmati. Dice anche che l’Italia è il paese europeo più proiettato verso l’Africa e dall’Italia ci si aspetta molto per avviare a soluzione alcune questioni sulle migrazioni che sono diventate primarie nell’agenda internazionale.
Si corre ora in senso inverso rifacendo l’altra filiera del traffico: mercatini di infimo ordine, baracche abusive, moto a zig zag, vecchi taxi zeppi che svolgono in realtà ruolo di servizio pubblico (in assenza assoluta di bus), frutta, pane, scarpe, cassoni a forma di letto, ventilatori, bambini in divisa che escono da scuola, vigilesse urbane grasse e urlanti, crocchi di nullafacenti sotto tettoie che non si sa cosa vendano, polvere e gas a tutto andare.
Siamo diretti al Ministero dell’insegnamento superiore e della ricerca scientifica per incontrare il ministro Abdoulaye Yero Balde. Si sale al quarto piano di una sorta di grande casa di ringhiera, con il personale di segreteria che è alle prese con la conferenza nazionale degli studenti guineani, organizzata dal governo e aperta dal presidente della Repubblica. Coglie e apprezza l’opportunità della partnership di una sua università con una università italiana e si segna su un quaderno il campo di interesse di eventuali programmi formativi comuni futuri riconoscendone la pertinenza. SI farà poi un punto con il suo consigliere alla ricerca Sally Camara.
E ora all’ Hotel Palm Camayene dove alloggia e lavora in attesa di firmare il contratto di affitto per la sede della ritornata ambasciata italiana nella capitale appunto il nostro ambasciatore Livio Spadavecchia, in arrivo da Santo Domingo e in rapida acculturazione circa i tratti fondamentali delle connessioni economiche, politiche e relazionali di un paese che ha rispetto e interesse per l’ Italia con un quadro di potenzialità che è delineato e che richiede certo molti altri approfondimenti. La conversazione è utile e interessante.
La conferenza tra le tre università (10 maggio)
La nostra conferenza universitaria è cominciata il 10 maggio alle 10 della mattina ed è finita dopo le 17. Prologo di Ahmadou Oury Kore’ Bah, rettore di Sonfonia (è il quartiere da cui prende il nome l’ Università pubblica “Lansana Contè “, che concentra le facoltà di scienze sociali, diciamo un po’ come la nostra Bicocca, che prende infatti nome dal quartiere di radicamento) e dell’ ambasciatore d’Italia, Livio Spadavecchia.
Poi i pro-rettori degli atenei che stanno dando vita ad un patto formativo di prospettiva: la stessa “Lansana Contè”, la “Julius Nyerere” di Kankan verso il nord della Guinea (il prorettore Abdoulaye Wotem Somparè) e la nostra IULM milanese caratterizzata per le scienze della comunicazione, materia che viene percepita qui come il buco nero dell’offerta formativa di questo paese.
Malgrado la partenza un po’ formale, un po’ protocollare, la presenza, nella sala della biblioteca, di più di 150 ricercatori e studenti, ha spinto i relatori a entrare nel vivo delle percezioni disciplinari di cui sono portatori. Il tema – migranti oggi, tra un paese con i giovani in fuga e noi che abbiamo mandato nel mondo un secolo fa metà degli italiani – è duro, controverso, da reinterpretare con qualche sforzo di convergenza. Così che se sei geografo cogli subito la mondializzazione dei processi; se sei demografo lanci l’allarme sulla ipertrofica urbanizzazione in tutta l’Africa; se sei sociologo ragioni sui livelli di “relativa povertà” che spinge ad emigrare (relativa perché, come fu per gli italiani cento anni fa, non sono i poverissimi ad emigrare ma coloro che riescono a mettere insieme il necessario e a ragionare su un difficile patto famigliare); se sei antropologo cerchi la fonte della decisione migratoria (che qui fanno risalire alle donne e sostanzialmente alle madri, che alla fine legittimano le partenze dei figli); se sei economista cerchi di immaginare che le rimesse degli emigrati sono diventate la “ragion di Stato” di una condiscendenza dei governi, che debbono versare lacrime sui talenti in fuga ma che non hanno ancora davvero messo mano a piani di sostegno al rientro.
Al comunicatore pubblico resta la possibilità di beneficiare dei confini disciplinari, tutti utili per fare un progetto di analisi della rappresentazione mediatica del fenomeno; poi di proporre una breve analisi di come allargare il dibattito pubblico; e ancora di proporre schemi di relazione con i protagonisti delle migrazioni meno farisaici è più interni al rapporto tra migranti, famiglie e piani migratori; e infine di un possibile modo di affrontare i rischi di negativa incidenza sull’immagine e la reputazione nazionale (come è stato per il caso Ebola, che qui si pensava fosse confinabile in un perimetro clinico e, in assenza di un barrage comunicativo e argomentativo, ha annientato (per anni) le potenzialità turistiche del paese e soprattutto ha messo una macchia sulla reputazione internazionale della Guinea su cui non si è mai lavorato seriamente.
Ora la Guinea è il secondo paese africano che sbarca i suoi giovani, dopo la Nigeria, sul suolo italiano. Venivano anche prima ma – spiega Laye Camara, colto ricercatore guineano con un rapporto stabile con Fondazione IULM – erano diluiti nelle presenze dal Senegal e dal Mali. I clandestini quando arrivano gettano i documenti. Da qui il fatto che le statistiche tendono a essere tutte approssimative.
Comunque essere nel 2017 il secondo paese in Africa nei flussi migratori verso l’Italia, apre ai due paesi lo spunto all’obbligo di guardar meglio dentro questo dossier approfittando di un ambito di confronto (come è questa conferenza) e magari di un ambito più stabile di sperimentazione formativa (come è quella che si immagina di attivare) per ragionare sul rispettivo schema di approccio.
Per gli africani conta il progetto di smuovere la mobilità sociale attraverso il rischio migratorio, ma anche guardando a possibili piani di rientro. Per gli italiani c’è il solito problema di non rifugiarsi dentro schemi puramente sicuristi per guardare ai flussi migratori come opportunità, da forgiare, selezionare, formare, nel quadro di un piano assimilativo che riguarda soprattutto le fasce di esigenze reali del proprio mercato del lavoro.
I partecipanti alla conferenza ci appaiono sorpresi e alcuni anche colpiti nel comprendere che il dibattito politico in Italia non sia ancora arrivato – come è arrivato in Germania – a gestire in modo più efficace il tema migratorio e soprattutto che ci sia speculazione politica sul fatto che i migranti “toglierebbero lavoro agli italiani“. Per cogliere alcune parole scambiate nel corso del colloquio eccone alcune, di parte africana, colte al volo.
- “La donna-madre – sia che lo faccia per il figlio che per il fratello – in Africa è in grado influenzare qualunque decisone“.
- “Tentare un’altra vita è una filosofia tipicamente influenzata dalle donne“.
- “Eravamo a consolare una famiglia che aveva perso un figlio nel Mediterraneo, mentre nella casa vicina si festeggiava il selfie di un figlio che ce l’aveva fatta“.
- “Partire è raramente un progetto fino in fondo individuale, coinvolge sempre una famiglia che ti mette in condizioni di farcela“.
- “Un progetto di vita, che si capisce essere un progetto a rischio, mobilita un sistema di credenze, in
cui i fattori religiosi hanno rilevante importanza“.
- “Nella contabilità morale delle migrazioni, non conta il numero dei morti, conta il numero di chi ce l’ha fatta“.
Angelo Turco, presidente di Fondazione IULM è già prorettore dell’ateneo, profila agli esponenti universitari guineani un progetto di master trasferibili tecnologicamente attorno al rapporto tra comunicazione, migrazioni e inclusione sociale in cui la mitigazione dei flussi possa diventare obiettivo complementare sia a nuovi aspetti preventivi che ad aspetti legati a politiche di reinserimento.
Nella parte pomeridiana ristretta il piano viene esaminato meglio e tocca a me fare emergere gli aspetti declinabili nel campo tecnico-professionale della comunicazione pubblica in grado di collocarsi in un asse formativo euro-africano che possa essere sostenuto da fonti di finanziamento, almeno per le borse di studio necessarie alla fase di startup. SI tornerà oggi, in incontri bilaterali, su come mettere in piedi realistiche condizioni di startup.
Il “Forum nazionale dello studente guineano” (11 maggio)
Nella sede della Assemblea nazionale della capitale, si è aperta la seconda edizione del “Forum de l’étudiant guinéen” (10-12 maggio), di cui siamo ospiti nella giornata intermedia.
Caschiamo sulla tavola rotonda dedicata all’innovazione tecnologica nell’ambito della formazione professionale. Conduce il capo di gabinetto del presidente della Repubblica. Due temi fanno cornice sostanziale: l’apprendimento della gestione tecnologica avanzata; la focalizzazione sulle opportunità reali di estensione del mercato del lavoro. In entrambi i casi la relazione istituzioni-imprese è strategica.
Ormai tutto il mondo è paese.
Qui sono schierate tutte le università pubbliche e private della Guinea (una trentina in tutto), una ventina di università straniere (in apparenza tutte africane) e un robusto drappello di imprese che sostengono l’evento (tecnologie, comunicazioni, banche, assicurazioni, consorzi).
Nelle prime file (poltrone bianche) classe dirigente e in particolare donne con apparenza autorevole. Poi docenti e operatori e, nelle file dei posti sdruciti, anche studenti, ai quali è dedicato il Forum ma che, stando almeno a questo caso, non hanno affaccio ai microfoni.
A buoni conti è qui il controvalore evidente dell’immenso slabbramento urbanistico e sociale che circonda la capitale. Convivono insomma la progettazione della modernità e l’adattamento all’urbanizzazione sottoproletaria. Il professor Angelo Turco dice che questa forma, per noi contraddittoria, in Africa è un paradigma della resilienza diciamo genetica.
La cornice degli espositori, nei vasti corridoi del palazzo, è un panorama tematico che contiene tre storie: quella delle settorialità emergenti dei nuovi spazi occupazionali (in cui svetta l’agricoltura specializzata); quella degli indirizzi della collaborazione tra università e imprese nel campo sanitario; quella dei processi digitali (con la francese Orange in testa) che spinge sulla narrativa del “futuro a portata di mano”.
Qui ieri il presidente della Repubblica Alpha Condè (Alpha è un nome arcaico che designa un capo) ha inaugurato il Forum sul tema “forzare il perimetro culturale del paese attorno alle istanze dell’innovazione”. Domani il ministro dell’insegnamento superiore e della ricerca scientifica (che abbiamo incontrato ieri al ministero) chiuderà la seconda edizione. Ma tra poco, terminata la tavola rotonda, che lo comprende, svilupperemo l’incontro di ieri con il suo consigliere per la ricerca Sally Camara.
La Guinea resta linguisticamente nell’orbita francese e la Francia resta la fonte di legittimazione principale della classe dirigente e naturalmente degli intellettuali riconosciuti. Il radicamento qui delle sue reti televisive è un segno diffuso di questo inalterato potere. Ma l’avanzata, dal basso, dei cinesi con i soldi in mano per conquistare spazi commerciali e nel mercato delle costruzioni (facendo ogni tanto qualche regalo alla comunità) chiude apparentemente la tenaglia degli interessi internazionali rappresentati. Come sempre restano tuttavia spazi di opportunità offerti alle intuizioni e alle abilità relazionali di altri paesi, europei in testa che hanno qui ragioni nel bilaterale. Spazi di cui negli ultimi tempi hanno beneficiato, ad esempio, belgi e tedeschi.
Per l’Italia la ragione migratoria – come abbiamo visto – accende una luce e potrebbe essere una motivazione di ingresso alla perlustrazione. La presenza tra l’altro di un nunzio apostolico italiano potrebbe essere una sinergia. La decisione italiana di svolgere annualmente una conferenza stabile Italo-africana è inoltre una cornice politica di aggiornamento dell’agenda che può contenere anche progetti di dettaglio se raggiungono esemplarità significative.
In questo quadro i soggetti universitari – in questo Forum si vedono spunti – che hanno intrecciato già relazioni sono accreditati per la costruzione di ponti. Parte da qui l’intuizione elaborata dal presidente della Fondazione IULM, l’africanista Angelo Turco, che conosce questo paese da più di trent’anni, che ora si accinge a verificare le condizioni per poter attraccare la sua zattera, non priva di argomenti, in porto.
Cosa che in Africa significa vedere, capire, rimuovere stereotipi, immaginare paradigmi sperimentali del cambiamento, lavorare. Tutte cose attorno a cui diciamo spesso che, in Italia, c’è stato tanto spazio per fare mentre ora crescono dubbi e delusioni. Nei piccoli e nei grandi progetti chi sa e può ha l’occasione di spostare anche altrove la creatività. Perché anche nei campi immateriali è l’export italiano a dare spesso il suo contributo a rinnovare e sprovincializzare il paese.
Immagine e reputazione nazionale (12 maggio)
Siamo tornati l’ultima mattina con l’ambasciatore d’Italia in Guinea Livio Spadavecchia su un tema che, non da oggi, è parte integrante dell’azione diplomatica e del rapporto di forza tra le nazioni: la consistenza dell’immagine nazionale.
Uno strumento nelle corde dell’Università IULM per intercettare bisogni formativi che si vanno chiarendo in materia migratoria – anche se lentamente e forse anche in ritardo perché il passaggio dall’emergenza alle strategie di normalizzazione è lento per tutti – è quello che proviene da una specializzazione della comunicazione pubblica che va sotto il nome di Public Branding. Tema quindi che è parte del perimetro disciplinare messo in campo.
Una settimana scarsa non permette alcuna seria diagnosi, ma dovendo scrivere qualche appunto preliminare sul tema “Brand Guinea”, annoto qui cose sentite e cose percepite.
- La signora Isabelle Ghussein, proprietaria della “Pension Les Palmiers”, franco-libanese qui dal 1958, dice parlando di Conakry: “Eravamo la perla dell’Africa occidentale ora siamo diventati la sua pattumiera“.
- Il prorettore dell’Università pubblica “Lansana Conte'”, Kefing Condè, socio-antropologo, ha in testa il conto dei morti della crisi di Ebola, scoppiata del 2014 e chiusa nel 2016, più di 11 mila, con la cancellazione dei voli, poi l’annullamento di quel poco di prenotazioni turistiche che il paese si era conquistato, infine con il ritiro degli investimenti di molte aziende internazionali, che solo da poco hanno ripreso.
- Lo stesso ambasciatore d’Italia Luigi Spadavecchia, tenuto acauti giudizi sulla capitale che lo ospita, si arrende di fronte ai canaloni che circondano il suo stesso grande albergo, facendo navigare a cielo aperto liquami, plastiche, rifiuti di ogni genere e acque polluenti.
Si potrebbe andare avanti ancora: le crisi sanitarie e l’esplosione del caos urbanistico e sociale della capitale segnano una crisi di brand che tiene lontana una parte del mondo, mentre favorisce le incursioni spericolate di russi, cinesi e americani che spolpano la terra stessa guineana, caricando i containers non solo della bauxite di cui hanno licenza, ma di qualunque altra “ricchezza” che essa contiene (oro compreso). Un rapporto di sfruttamento che sta generando risentimento pubblico e che vede sommare ai morti dell’insostenibilità’ ambientale i morti di incidenti sul lavoro.
Ci accontentiamo di poche pennellate per capire che la mitologia delle foreste, dei villaggi, della fauna speciale che faceva della Guinea una tipologia accreditata della attrattiva africana, pur continuando ad esistere è fuori da ogni narrazione, così da non pesare ormai quasi per niente nel racconto più equilibrato e perciò anche più positivo a favore di questo paese. A cui comincia a sommarsi l’etichetta delle migrazioni che nel linguaggio ormai ruvido dell’Europa pressata crescentemente dal sud – e quindi dall’Africa – identifica proprio gli immigrati africani, rispetto ad altre aree di origine, come poco utile e talvolta dannosi (oggi con i nigeriani in testa).
Certamente questa diagnosi è approssimativa e non tiene conto di tutti gli elementi addizionali in uno sforzo di strategie di rigenerazione reputazionale. Ma il guaio vero è che, per quel che si capisce, questa rigenerazione è retoricamente predicata dal governo ma non segue nessun bandolo che possa ragionevolmente produrre qualche esito in tempi prevedibili.
La Guinea non è il caso peggiore né del mondo e nemmeno dell’Africa, tanto che chi la conosce bene, saprebbe mettere l’accento su altre storie e altri racconti. Proprio all’ora del caffè dell’ultima giornata un racconto in positivo ci è venuto da un’etologa canadese, Rebecca Kromes, che si prepara a girare un documentario per National Geografic Magazine dedicato agli scimpanzé e alle foreste.
Ma dentro il laboratorio migratorio che ormai sta oggettivamente connettendo Italia e Guinea per numeri che cominciano ad essere significativi, nel momento in cui si sta tentando di aprire qualche pista alla formazione per arginare e rettificare le tendenze più dannose, ebbene questo tema delle condizioni di attrattività ineludibile ormai per qualunque nazione al mondo, entra nell’inventario. Con la sua inevitabile critica ma anche con la sua interessante trasversalità.
Intanto, sempre di buon mattino, qualcuno ha piantato nello spiaggione in riva all’Atlantico sotto la terrazza dell’albergo una bandiera della Guinea. Che divide e unisce al tempo stesso due schiere di giovani.
Da un lato chi si allena dietro ad un pallone sognando il mito di Paul Pogba, classe ’93, francese di origine guineana (genitori emigrati in Francia con fratelli e parenti che giocano al calcio in Francia e in Guinea), nazionale di Francia dal 2008, dal 2012 al 2015 mezzala della Juventus e ora astro del Manchester United, considerato tra i migliori al mondo della sua generazione. Dall’altro lato, ragazzi impiegati dall’Amministrazione pubblica a ripulire la spiaggia e tra di loro, dicono, anche qualche rimpatriato sfortunato da recenti tentativi migratori, nei programmi della Organizzazione Mondiale delle Migrazioni che a fine 2017 ne ha riportati a casa 150 dalla Libia nel quadro di progetti di ricollocamento.
Quando partiamo abbiamo il saluto, al gran completo, di tutta la famiglia del nostro collega trait-d’union, Laye Camara, che è stato preziosissimo in questa missione.