
Ugo Savoia – Bombe su Milano, ottobre 1942 – Castelvecchi editore, ottobre 2022 .
Prefazione di Stefano Rolando
Le bombe, la fame, la paura, l’insolito.
Gli occhi dei bambini – quasi tutti di buona famiglia, i più con la “via di fuga” dello sfollamento, che non era una vacanza ma era una salvezza – ci restituiscono, attaccati sempre alla memoria di chi ancora vive, l’essenziale di un dramma collettivo.
Per il quale – appunto con gli occhi dei bambini – non ricorre tanto il perché e forse nemmeno il come.
Ma soprattutto ricorre il cosa. E ci vuole l’antifascismo materno di Natalia Aspesi a portare in scena per un attimo il duce, il regista, l’istigatore, il responsabile di quella guerra.
La mamma ascolta sotto due cappotti Radio Londra e, non trattenendo un’imprecazione, dà finalmente a quei bambini un soprannome alla responsabilità di quella situazione: lo shifuss.
Per gli altri la politica è lontana come lo sono i comandi militari, i quartier generali, i nemici e gli alleati.
C’è la città, le strade, i quartieri di abituale attraversamento, stravolti ogni giorno al suono delle sirene.
I rifugi. Certo i rifugi. Luoghi ormai noti nella pratica svelta dei bambini: correre, scendere, stare contro il muro, chinarsi, tacere, niente luci.
Raccontano queste cose alcuni nostri grandi anziani.
Anziani perché attorno ai ’90, grandi perché quelle radici drammatiche li rese consapevoli subito, adulti presto. Con un’etica della vita e della morte e con l’affetto di ciò che si perde ingiustamente.
Ma con la tenacia, anche, verso ciò che poi, nella vita, difenderai giustamente.
Milano città martirizzata dalle bombe anglo-americane dal ’42 al ’43 per premere sull’Italia, quindi sul re e sul governo, per l’uscita unilaterale dal conflitto, per una resa per loro necessaria a spostare dall’Italia stessa e da altri teatri di guerra nel Mediterraneo armi e soldati utili a schiacciare da sud e da est (con i russi) la tenuta salda dei tedeschi, che nel ’43 hanno ancora in mano più di mezza Europa.
Questa storia non c’è nei racconti perché non avrebbe potuto esserci nella percezione dei bambini.
E gli stessi manifesti nelle piazze di Milano con cui i fascisti spiegavano le bombe erano parte di quella guerra delle parole che nel corso del secolo fino ad ora sarà protagonista di ogni conflitto, ormai alla pari dell’atomica. Ma l’informazione non è propriamente parte della fantasia dei bambini.
I bambini però reagiscono tutti al razionamento, ad un pane che sa di segatura, alla possibilità di scambiare la fortuna di qualche chilo di sale con il latte e il formaggio dei contadini. E reagiscono all’immagine rossa, incendiaria, di quei bombardamenti che i loro genitori conoscono con terrore consapevole. Chiamano (lo ricorda Anna Maria Siviero) “Pippo” quella palla di fuoco, per mitigare la marzialità del nemico. Ma le storie di Pippo finiscono (come fu nella mia famiglia, per mia mamma e mia nonna con la casa in Via San Gregorio) con una casa in macerie e con la storia di una vita in cenere.
Per alcuni non c’è solo un popolo inerme – i civili – schiacciato dai Lancaster che bombardano con programmazione la città. C’è anche chi conosce l’esistenza dei partigiani. E Luca Beltrami Gadola non ne ha un’idea vaga. Suo padre è stato ucciso dai tedeschi nel ’44 e sa fin da quell’anno che i tedeschi danno la caccia a sua madre, che parlava inglese ed era sospettata di connivenza con il nemico.
Ma anche per un ragazzino più consapevole, insieme alla visibilità delle macerie c’è la sorpresa di una inusuale povertà. Ecco il ritorno nella propria casa abbandonata di Luca ed ecco la scoperta di un intero parquet divelto perché chi l’abitava non aveva altro modo di riscaldarsi nel freddo dell’inverno.
E nella memoria di Piero Bassetti, già quattordicenne al tempo dei bombardamenti, resta indelebile l’azione del cacciabombardiere inglese che avanza nel cielo sopra la città con suono sinistro accompagnato dalle sirene, fino a sganciare dai suoi portelloni, in vista ai passanti, le bombe sufficienti per annientare la vita di duecento bambini della scuola elementare di Gorla.
Da Milano all’Ucraina di oggi il pensiero di questi testimoni è rapido e inevitabile.
Ugo Savoia li ha cercati e, anche con lo stimolo delle attuali immagini di guerra dall’Ucraina, ha pensato doveroso il potere della testimonianza di casa nostra.
Quando il tempo ha riparato ogni orrore, senza tuttavia esentare nessuno dal dovere della narrazione.
Mentre alcune mostre fotografiche ritornano di recente a ricordare le ferite di Milano e l’epica collettiva degli anni della ricostruzione, queste interviste mostrano a ogni generazione che senza quelle pagine mancherebbero i caposaldi del nostro stesso tempo.
Ugo ha così formato una grande pagina di cronaca milanese (sua imbattibile professione) di cui la fotografia ricorda il profilo distruttivo ma la parola che emerge dai ricordi rigenera sentimenti di resilienza e di fierezza.