
Pubblicato sul magazine online Il Mondo Nuovo, lunedi 21 novembre 2022
Buongiorno, sono Stefano Rolando.
Nella settimana passata, mentre a Roma c’è stata una certa eccitazione politica, inseguendo la presidente Meloni per il mondo, alla ricerca di conferme e smentite circa i suoi luoghi comuni mediatici, Milano ha mantenuto la sua linea – che si va consolidando – di una certa indifferenza per la politica. Pur con il relativo turbamento recente provocato dalla decisione di Letizia Moratti di abbandonare il suo storico posizionamento di centrodestra, per passare al posizionamento di destra del centrosinistra.
La notizia della settimana è stata che il PD ha rifiutato l’offerta di far parte di una alleanza un po’ curiosa, per qualcuno però dopo 30 anni forse vincente, optando per l’orgoglio di bandiera, a favore del suo esponente più caratterizzato come “sociale”, cioè l’eurodeputato Majorino. Si dice che così potrebbe finire che PD e centristi si piazzino secondi e terzi (a seconda della forza della campagna di profondità e delle risorse attivate) prolungando, al di là del suo confine di ciclo vitale, ancora il governo di centrodestra confermando l’uscente Attilio Fontana, avvocato in una Varese ormai espugnata rispetto allo storico controllo dei leghisti. Ho trovato brillante, però, la sortita di Majorino che, per una par condicio puramente simbolica rivolta alla Moratti, ha detto: desisti e sostienimi. I qualche modo ammettendo con un po’ di ironia la possibilità di un’alleanza stralarga ma guidata dalla forza maggiore di quell’alleanza. Questi fatti tuttavia, come ho detto, non scuotono tanto i milanesi, in progressivo disincanto rispetto alla politica, figuriamoci poi quella che riguarda non le sue mura spagnole ma il territorio vasto e vagamente estraneo della Regione. Un giorno o l’altro anche Milano si sveglierà dal sonno e tornerà a dare il suo contributo.
Vai e vieni in città, invece, in una mobilità tanto intellettuale che fisica, per l’undicesima edizione di BookCity, inventata nel 2011 in una forma un po’ anti-salonistica (la polemica di Milano verso il Salone del libro voluto a Torino a metà degli anni ‘80 data dall’ epoca) preferendo quella che è ormai la principale cultura organizzativa e relazionale della città e della sua comunità professionale: l’eventistica.
Tanto che essendo diventato Bookcity un grande lenzuolo della rappresentazione del valore sociale e culturale dell’editoria steso su tutta la città, e anche un lenzuolo della rappresentazione dell’agenda di indagine dei maggiori temi del nostro tempo, ho pensato di parlarne in questa rubrica intitolata “Il biglietto da visita” che si occupa di come funziona e come evolve la rappresentazione.
La centralità dell’evento vale nell’economia postindustriale milanese quasi per tutto. Vale per la gastronomia, per il design, per la moda. Vale così anche per l’editoria libraria che – crisi o non crisi – resta una tradizione forte ambrosiana di origine illuministica, un punto di equilibrio tra contenuti e una economia della cultura che malgrado tutto tiene. E assecondando l’idea dei commenda di una volta secondo cui “la pubblicità è l’anima del commercio”.
Dal 2011, tra programmi ufficiali e ufficiosi. BookCity ha visto organizzare piccoli e grandi eventi per presentare e parlare di circa 30 mila libri, mobilitando – per almeno tre volte tanto – autori, esperti, giornalisti, professori e vip di vario genere e tipo. Una manifestazione che sconfina programmaticamente dai centri reputati del dibattito pubblico: verso le scuole (in questi anni diecimila classi coinvolte e più di duecentomila studenti toccati), verso le università (ormai la più grande azienda milanese con molti atenei radicati e connessi, tra generalisti e specialistici, che oltre alla didattica coprono un ruolo importante nel dibattito pubblico del territorio). Ma anche verso carceri, biblioteche, biblioteche di condominio, tabaccherie con retrobottega, luoghi di spettacolo. E naturalmente verso le librerie, le grandi (che funzionano) e le piccole (che resistono).
La formula che i fondatori hanno ideato è quella di fare un po’ il contrario del Salone di Torino e degli altri più o meno fortunati saloni esistenti, che prevedono una vasta mobilità verso un luogo. Qui è piuttosto il libro che va a cercarsi il pubblico. Un po’ l’idea che aveva Paolo Grassi fondando a metà del secolo scorso il primo e poi maggiore teatro municipale italiano, cercando sempre nuovi pubblici e cercando di arrivarci in tutti i modi possibili.

Proprio pensando a questa contro-mobilità – penalizzata un po’ dalla pandemia, come tutti gli eventi, ma ora tornata ad esprimere quella che certamente per giovani ma non solo per loro costituisce anche una domanda importante – gli organizzatori hanno intitolato l’edizione del 2022 alla cultura dell’ibrido. Ibride sono le città ormai fatte di comunità etniche integrate. Ibrido è lo stile di vita, è il commercio. Ibrida è l’urbanistica del nostro tempo. E ibrida è la produzione e la diffusione di libri, in cui la carta tiene ma il digitale avanza. Ha detto anzi a Bookcity il presidente degli editori italiani Ricardo Franco Levi che la stampa su carta, data per spacciata, sta reggendo in Italia e in Europa “continuando a fare di questo settore l’industria culturale ancora più importante del vecchio continente”.
Dunque, l’ibrido. Ibrido come ibridi appaiono i temi scelti per aprire le danze della manifestazione (tema l’animo umano) e per chiuderle (tema il valore sociale della scienza). Ci sono poi paradigmi che tematizzano gli eventi in senso più abituale. Per esempio, gli anniversari, quest’anno con la storia del ‘900 indagata rispetto alla nascita del fascismo, il 1922, ma anche rispetto a temi più dettagliati: dai 30 anni di stragi mafiose in Sicilia ai 100 anni della regina Elisabetta.
Le Fondazioni che – con il pieno sostegno dell’Assessorato alla Cultura di Milano – mantengono la regia dell’evento (la Mondadori, la Mauri, la Feltrinelli, quella del Corriere della Sera), assicurano uno stile organizzativo non burocratico, non paludato, più alla ricerca di interlocutori sociali e mediatici che politici e istituzionali. Magari conservando quel tocco elitario che appartiene allo stile borghese della città e delle sue imprese culturali, ma alla fine tutte anche attente al botteghino e al fatturato.
Fatemi fare per un momento il mio vecchi mestiere quando mi occupavo di libri e di lettura nel nostro sistema istituzionale. Una breve e aggiornata tabella. Questi i dati oggi del settore.
- In Italia ci sono circa 1800 case editrici attive (400 in Lombardia).
- Si producono 75 mila titoli all’anno, tutto compreso.
- 4 italiani su 10 leggono almeno un libro all’anno.
- Un terzo degli italiani supera i 3 libri all’anno.
- Il 14% supera la decina.
- I lettori del nord hanno un reddito medio di 35 mila € all’anno.
- Quelli del Centro 30 mila.
- Quelli del Sud 18.500.
- Vendiamo 6000 diritti all’estero per farne libri tradotti nel mondo.
- Compriamo 11 mila diritti per tradurre libri esteri in italiano.
Solo per annotazione personale dirò che ho dedicato buona parte del mio weekend milanese (che per molti ormai comincia il venerdì, mentre ai tempi di mio padre, che lavorava a Milano nel sistema industriale, per we si intendeva la domenica pomeriggio) ad eventi in questa cornice.
Milano senza pioggia e con i tram meravigliosamente funzionanti.
- Prima presentando nella mia università, con valorosi colleghi, libri sulla comunicazione e le situazioni di crisi (compreso un dossier che ho curato su comunicazione e guerra in Ucraina, dal titolo fornito, a proposito di grandi libri, da Fëdor Dostoevskij (ma messo tra virgolette) “Delitto e castigo”, che è uscito il giorno stesso della presentazione).


- Poi assistendo ad eventi di ritorno dell’interesse sul protagonismo socialista a Milano e in Italia negli anni Settanta e Ottanta (tra cui un volume del Mulino sulla politica estera di Craxi realizzato da storici di vaglia attorno alla desecretazione degli archivi della diplomazia americana).
- Come per tutti i palinsesti tocca scegliere. E per farne uno ne manchi tre (tra cui all’Umanitaria alcuni amici che parlavano della Milano di passaggio, diversa dalla passione degli operatori di marketing che distringono solo tra città attrattive e repulsive.
- E infine una bella lettura alla Fabbrica del Vapore di un florilegio delle lettere di e a Paolo Grassi negli anni ‘40 quando il fervore della ricostruzione animava tutto e tutti. Riascoltare quegli entusiasmi è come darsi un bel pizzicotto rispetto al presente.
Spero di aver dato un’idea dell’evento, pardon della catena di eventi, soprattutto ai non milanesi.
Grazie per avermi ascoltato e a risentirci presto.