Podcast n. 23 – Il Mondo Nuovo – Lunedi 19 dicembre 2022 – Qatargate. Proviamo a spalancare gli occhi.

Per la rubrica audio del magazine online Il Mondo Nuovo “Il biglietto da visita”

Pubblicato il 19 dicembre 2022

https://ilmondonuovo.club/qatargate-proviamo-a-spalancare-gli-occhi/

Buongiorno, sono Stefano Rolando.

Chiusi dunque ieri sera i mondiali di calcio. Con una strepitosa finale.

Fa il risultato l’Argentina che fa dire che – quando comunque ci sono squadra e campioni – dietro ci sono anche popoli che il mistero sociale del calcio lo interpretano più a fondo. E in quella storia c’è anche un pezzo di storia d’Italia, come raccontano i nomi di alcuni calciatori della nazionale argentina.   La Francia comunque ha lottato e reagito con forza schierando ai Mondiali 14 giocatori nati in Africa o da famiglie africane e diventando così la nazionale più multietnica del mondo.

Fine, con queste poche parole, dei commenti sportivi.

World Cup 2022

Siamo ora obbligati – in questo podcast del lunedì – ad andare invece ad un tema che non è chiuso per niente, che sta dietro ai Mondiali e che va sotto il nome di Qatargate.

In questa rubrica ci occupiamo di comunicazione come “rappresentazione”.

Rappresentazione di molte cose: la politica, gli interessi, alcuni valori, gli affetti, i prodotti, l’arte, i miti, gli stereotipi, i conflitti identitari. Insomma, il grande teatro in cui siamo immersi.

Sempre come spettatori, a frammenti anche come attori, poi alcuni terrestri uguali a noi persino come sceneggiatori o registi.  Un teatro vero. E al tempo stesso un teatro mentale e un teatro virtuale per come gira ormai ogni comunicazione grazie al digitale.

La rappresentazione legata a questi Mondiali di calcio, infatti, non è stata solo quella del pallone e del suo pubblico planetario.  Ma è avvenuta su più piani incrociati.

  • Quello sportivo, per cui da decenni i Mondiali di calcio sono avvincenti, seduttivi, in alcuni momenti totalizzanti.
  • Quello etnico-politico, per cui una squadra assume valori – veri e finti allo stesso tempo – che rispondono ad una nostra classificazione, spesso in rapporto alla sua provenienza territoriale, di squadra buona o cattiva, forte o debole, prepotente o coraggiosa. Insomma, in grado di attirare il nostro favore o al contrario da non farci piangere troppo per la sua  sorte sportiva.
  • E poi quello economico-finanziario, perché ormai il calcio ha un altro volto oltre allo spettacolo, quello dei suoi costi stratosferici: i soldi girano in modo così vorticoso che persino centenarie società italiane mollano la presa finendo in mano a chissachì e chi resta ai comandi (come la Juve per un secolo in mano alla famiglia italiana n. 1, sempre passata come “società forte”) un bel giorno si scopre che è a un metro dalla catastrofe.

Come si è visto, la citata rappresentazione degli interessi economico-finanziari, sta diventando stravolgente.

Il calcio la esprime nel suo mondo lastricato di denaro, come è quello dei diritti televisivi, come quello delle speculazioni finanziarie attorno a giocatori e bilanci, come quello di stadi da costruire per giocare o da riempire soprattutto per destinazioni commerciali.

Ma se difendi un altro modello ti dicono che il tuo posto è la serie C, la provincia da quattro soldi.  Mettiamola così: un mondo nato anni fa con mecenati e pedatori poveri in cerca di riscatto è divenuto un mondo regolato dalla finanza che ha trasformato le identità territoriali in un paganesimo spettacolare e trasformato persino le tifoserie in bande d’affari.

Intanto per capire meglio i tre piani incrociati provo a mettere insieme i blocchi di notizie che sono uscite a rate nel corso di almeno 15 anni.

Qui si innesta, infatti,  il primo tempo della vicenda dei Mondiali in Qatar.

Per un bel pezzo una partita preliminare e poi parallela rispetto a quella di pallone.

Qatar – come Arabia come Abu Dhabi, come un po’ tutti gli stati arabi che regolano petrolio e finanza conflittuando anche tra di loro – scopre 10/15 anni fa che il terrorismo di matrice islamica produce una divisione frontale con il mondo occidentale, una rischiosa guerra di religione, il tagliarsi via troppe opportunità di affari che stanno nei mercati dell’Occidente e alla fine pochi vantaggi concreti per gli scopi che lo animano.  Nemmeno fanno avanzare di un millimetro la causa della Palestina che a quei paesi serve spesso strumentalmente. E non è vero che garantisce più grande presa sul grosso delle seconde o terze generazioni di emigrati islamici che si vanno occidentalizzando.  

Dopo avere mandato i figli a studiare a Eaton, a Oxford, alla Sorbona, all’MIT – per altro come hanno fatto anche i vecchi boss della mafia (lo dico per parallelo oggettivo non perché veda chiaro un nesso) – il risultato generazionale di ritorno è che la diplomazia finanziaria viene considerata in grado di risolvere più problemi competitivi del tritolo e dei kalashnikov.  

La regola inventata in Occidente ma sperimentata grandiosamente anche Oriente, di investire sui grandi eventi, diventa così di moda e il calcio un modo per fare affari e per introdurre al tempo stesso una certa de-occidentalizzazione del calcio europeo.

Ne hanno fatto grandi uso in tanti. La Cina, il Brasile, la Russia. Persino Milano tra l’Expo del 2015 e le Olimpiadi invernali (insieme a Cortina) nel 2026. Era evidente che i laboratori delle candidature dovevano prima o poi affascinare paesi che vogliono bruciare i tempi della loro modernizzazione.

Ed eccoci così  al Qatar che tra il 2008 e il 2009 vuole avere ad ogni costo i Mondiali di calcio del 2022.

Lo fa con una lobby di Stato sostenuta da una organizzazione finanziaria anche privata e con correlazioni che trovano presto la via delle corruzioni. In cambio il Qatar offre affari d’oro. Alle imprese e agli Stati.

Finalmente si leggono ora molte trame di quelle storie.

Per esempio la  rete francese con la regia dell’allora capo dello Stato Nicolas Sarkozy (spesso con ruolo specifico di Michel Platini), dentro cui c’è pure un fetta rilevante di armamenti avionici e la qatarizzazione del PSG, in cui guarda caso giocano insieme Messi e Mbappè, leader delle due nazionali destinate a disputare  la finale) che è decisiva nel voto a favore del Qatar contro la candidatura degli Stati Uniti.

Ma anche la rete italiana (su Repubblica una pagina ieri) in cui al servizio di interessi nazionali (commesse di flotte, commesse di porti, commesse di investimenti) si prestano molti leader politici attivi nelle relazioni internazionali con i paesi d’oro (i nomi di D’Alema a Renzi, sono fatti perché loro stessi hanno ammesso da tempo ruoli di “consulenti”). Tra le nuove notizie che affiorano si parla di Costa Smeralda, di Sampdoria, di ospedali in connessione con la Fondazione Gemelli, eccetera.

Christian Chesnot e Georges Malbrunot, due reporter francesi rapiti dall’Esercito islamico. hanno raccontato nel 2019 nei loro “Qatar Papers” la politica di infiltrazione del Qatar verso tutti i Paesi europei, con dentro gli argomenti di intrecciare loro interessi con interessi occidentali ma al tempo stesso anche per coltivare un obiettivo più segreto, fatto di finanziamenti copiosi al radicalismo islamico sparso nello stesso Occidente. Argomento che avrebbe dovuto suonare la sveglia dell’intelligence di tutto l’Occidente.

Qui – diciamo così – finisce il primo tempo e il Qatar è in vantaggio perché si aggiudica i Mondiali. E perché apre porte così strategiche nell’economia occidentale.

Avendo per esempio ormai anche un dossier con nomi e cognomi di percettori di denaro costituito dal libro d’oro della politica europea. Quella che, pur non sempre e non tutta, dà lezioni di diritto, democrazia e moralità al mondo.

Come sappiamo l’Italia è stata fuori dai Mondiali.

Magari avrebbe avuto un certo spazio libero per guardare meglio in faccia certi intrighi e fare affiorare di più i segnali di allarme, ma alla fine questo spazio non si è aperto. Ma questo “star fuori” ora è anche una remora tipica dell’Italia per aver davvero voglia di capire i contorni e i nessi dello scandalo che affiora. Che rischia di restare argomento di minoranza.

In più,  retrostante e poco valutata c’è un’altra cosa che Giovanni Cominelli (sociologo ed editorialista del giornale della curia di Bergamo) ha messo in evidenza, proprio sul fronte più segreto e preoccupante della strategia di Emirati e affini: “  C’è stata anche – scrive Cominelli –  una lotta per l’egemonia culturale nell’Europa futura, che l’Europa laico-liberale ha gravemente sottovalutato, incominciata da anni, al fine di rinforzare la resilienza integralista islamica rispetto ai tentativi di integrazione degli immigrati operati dalle società democratiche europee. Chiunque abbia cercato di aprire gli occhi europei, è stato accusato di islamofobia”. Se ne è parlato poco da noi forse perché erano attive forze frenanti. In ogni caso sono opinioni che disegnano una ambiguità sconcertante nelle strategie degli stati mediorientali del petrolio, quelli che in modo ancor più sconcertante un nostro ex-premier ha chiamato pubblicamente “rinascimentali”.                                                                                                                          

E veniamo al secondo tempo.

I Mondiali schierano ora la loro narrativa migliore, la loro comunque potente rappresentazione. A favore ci sono storie che finalmente il giornalismo sportivo può raccontare come storie di passione e di riscossa: la tosta Croazia, il risorgimento africano del Marocco, il coraggio civile degli iraniani, il declino delle grandi squadre europee del calcio atletico. Ma che può raccontare anche che c’è una  ricerca del Santo Graal, per stabilire chi sia il vero erede di Maradona e Pelè (il primo morto, il secondo in fin di vita). Se la battono Messi, Mbappè, C. Ronaldo, Modric, Neymar, Benzèma, altri. I primi due – esponenti del PSG squadra del Qatar – arrivano, certo anche con loro meriti, alla finale del Qatar. Attenzione a due assi. Stessa squadra. Stesso datore di lavoro (il Qatar) ma due diverse nazionali competitive e soprattutto due diversi sponsor che si dividono il mercato pubblicitario: Mbappè è firmato Nike, Messi è firmato Adidas.

Ma nell’anno che precede i Mondiali, altri segnali arrivano.

Ogni tanto nelle cronache spuntano proteste per il trattamento dei lavoratori nei cantieri degli stadi. Striscioni appaiono parlando di morti sul lavoro tenuti nascosti. Nessuno però in Europa apre finalmente uno scandalo, nessuno degli Stati membri accoglie i boatos come un argomento per prendere duramente le distanze. Intanto le linee aeree del Qatar entrano nello spazio europeo e a Bruxelles si lavora per togliere al Qatar i visti di ingresso nella UE.

Poi succede quello che è in prima pagina ora. Prima del giro delle finali, dunque non prima dell’inizio dei Mondiali, va a segno la soffiata di un eurodeputato (qualcuno dice anche originata dai servizi sauditi) che muove servizi segreti di mezza Europa e alla fine fa agire la polizia belga, per mettere le mani su un giro di soldi che alla fine si rivelerà solo un tassello della complessiva operazione Qatar. Il tassello di trame per aiutare a ripulire l’immagine del Qatar e dei Mondiali da notizie oscuranti.  Cioè i fondi destinati ad attutire la polemica contro l’abuso fatto in materia di diritti umani dai qatarini per costruire in tempo tutta l’infrastruttura sufficiente per far giocare i mondiali di calcio in un paese in cui la stessa nazionale di calcio vale più o meno come una squadra parrocchiale italiana.

La vicenda è cronaca di questi giorni. Appariva come italian connection, solo perché è questa la pista spuntata prima. In ogni caso tocca in alto la vicepresidente greca del Parlamento europeo, ora revocata. Tocca esponenti della sinistra più esposta in materia di diritti umani. Brutta cosa, che sferza pretese superiorità morali, aggredisce l’immagine delle ong (quella poi dei diritti umani provoca sbalordimenti anche tra noti promotori originari), apre persino forme di rappresaglia politica interna tra i gruppi politici rappresentati. Ha poco senso dire che manda in frantumi la logica della rappresentanza degli interessi a fronte del processo legislativo europeo, perché se responsabile e trasparente essa è anche parte ruvida della democrazia, non parte malata della corruzione per definizione. Certo, a patto che limiti e controlli siano di ferro.  

Che arrivi uno scandalo sul lobbismo al Parlamento Europeo è grave ma non imprevedibile.

Il 50% di chi ha fatto il commissario a Bruxelles ha fatto dopo attività lobbistica (ultimo caso l’ex commissario greco Dimitris Avramopoulos finanziato dall’ong di Panzeri). E lo stesso ha fatto il 30% degli ex-parlamentari. Come si vede non c’è solo l’Italian connection. Eccetera, eccetera.

A buoni conti, si va verso complicazioni. Tanto che si sta parlando di sciogliere il PE e anticipare le elezioni europee. Ovvero di creare un organismo etico in grado di prevenire. Vedremo meglio quando non solo ci saranno molti occhi spalancati, ma quando le indagini avranno raggiunto una quadra. Il Sole 24 ore di ieri, domenica,  pone quattro domande ancora senza risposta, compresa l’esatta provenienza del denaro a fiumi. Dal lobbismo di Stato che ha originato la lunga fase della demarche finanziaria mondiale degli arabi mediorientali al cedimento, questa la parola, degli europei alle lusinghe di tanto denaro facile, a difese improprie della cosiddetta reputazione nazionale. Fino ai fatti recenti in cui il Banco misterioso, con trolley traboccanti di euro, si è messo a proteggere uno Stato organizzatore di eventi la cui potente regia geopolitica regola anche grandi affari che appunto si chiamano “di Stato”.

Girano in rete opinioni di alcuni giovani circa il fatto che ormai pezzi delle nuove generazioni stanno staccando la spina dalla mitologia del calcio.

Dicono anche le cronache che quello che si è scoperto ha anche mostrato rispetto a paesi con le verità segregate che In Europa alla fine esiste un sistema di indagine che riesce a non farci vergognare dei nostri padri della morale pubblica: si chiamino Voltaire o Beccaria.  

Io penso che dovremmo non fare terra bruciata dei terreni mitici, come è in generale quello del calcio, in cui si può competere senza fare morti ammazzati. Nel senso che si potrebbe difendere ancora il calcio, ma solo sapendolo davvero mettere in discussione.

E raccontando tutte le parti di queste storie che affiorano – per far più luce sui nessi e le dinamiche – dovremmo anche fortemente mettere in discussione la permeabilità e la porosità del quadro politico-istituzionale europeo che se dovesse franare ancora un po’ faremmo fatica a capire dove sta il torto e la ragione della guerra che c’è ai nostri confini.

Grazie per l’ascolto. A risentirci presto.

Post-scriptum (21.12.2022)

Nella stesura del testo per il podcast del 19 dicembre – all’inizio una traccia di punti da sviluppare a voce, poi una volta inciso una trascrizione per offrire anche una lettura scritta – non avevo sottomano dati precisi sulle prolungate denunce di incidenti e morti nei cantieri delle infrastrutture per i Mondiali in Qatar. Ho riferito nel testo, dicendo che le denunce non hanno fatto esplodere un vero scandalo in Occidente.
In questi due giorni emergono molti elementi con più evidenza, anche elementi usciti ma rimasti un po’ in ombra nella agenda mediatica e politica.
Il giornale inglese Guardian aveva scritto di un’ipotesi di oltre 6.500 morti sul lavoro. Le autorità del Qatar, nel tempo, messe un po’ alle strette, avevano ammesso alcuni fatti, da loro stimati da 400 a 500 morti.
Faccio questa aggiunta che mi sembra significativa dell’andamento del dibattito pubblico, appunto andamento ultra-decennale, su questo tema.

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