Lettere dalla Merica – n. 1/2023 – Suburbs, borghesi e un po’ settari.

di Paolo Giacomoni

Primo dell’anno 2023 – Una delle costanti geografiche più chiacchierate della middle class americana è il mimetismo che si osserva tra i vicini nei cosiddetti suburbs.

suburbs, impropriamente tradotti suburbi, non sono da confondere con la suburra: plebea e peccaminosa questa, borghesi e virtuosi, anche se un po’ ipocriti, questi.

Da Savannah a Seattle e da San Diego a Syosset, nei giardini delle cassette mono-famigliari, senza muri e quindi ben visibili dalla strada, il taglio dell’erba, la scelta dei fiori, il barbecue eccetera, seguono strette regole non scritte che vengono osservate con zelo da tutti, anche per non far diminuire il valore commerciale delle varie proprietà immobiliari.

Anche i tempi delle decorazioni natalizie seguono regole relativamente rigide.

Quando vivevo a Long Island, abitata prevalentemente da italo-americani e da ebrei, le decorazioni per la festa solstiziale, che si chiami Christmas o Hannukah, si mettevano esattamente la prima domenica di dicembre e si toglievano rigorosamente  il giorno dopo l’Epifania, indipendentemente dalla meteorologia: spesso a quelle latitudini il 7 gennaio vede temperature sotto i dieci gradi centigradi e togliere le ghirlande dai cespugli può richiedere tempo sufficiente a farsi congelare i polpastrelli e portar via le orecchie dal vento.

Adesso abito la cosiddetta Bible Belt, formata da Luisiana, Mississippi, Alabama, Arkansas e Georgia, terra cristiana a oltranza, e quindi mi aspettavo che fossero rispettate le stesse regole. Immaginatevi dunque la mia sorpresa, la mattina di Santo Stefano, quando ho visto il mio vicino buttare l’albero di Natale nella spazzatura. Credevo che avesse litigato con la moglie, invece no: è un protestante della denominazione (nome elegante per dire setta) dei Battisti, che stanno ancora discutendo per vedere se i Vangeli obbligano o proibiscono i festeggiamenti per la nascita del Redentore… e che per adesso fanno l’albero il 25 e lo buttano il 26.

Altre denominazioni hanno altri rapporti con le regole dei festeggiamenti (i Calvinisti pensano che noi, vili vermi di sembianze umane, meritiamo solo di essere flagellati, e quindi non osano neppure pensare che si possa di parlarne, dei festeggiamenti) e queste difficoltà interiori di ogni denominazione rendono difficile il dialogo con quelli che appartengono ad altre sette, e non si sa più cosa caratterizza una setta rispetto ad un’altra.

Alla lunga il piacere della conversazione non viene coltivato, non ci si parla più se non per fare gli acquisti o per commentare il baseball, si perde l’abitudine di discutere, non si confrontano più le proprie idee con quelle degli altri, e si arriva all’incubo trumpiano, con le fake news e le interpretazioni allucinanti della cronaca.

Tutto ciò stava già, in nuce, nella storiella che girava quand’ero ragazzino, ma che allora non avevo capito, quella del bambino e della figlia dei vicini, che vanno in piscina e, mentre si mettono il costume da bagno, la bambina guarda il bambino e dice: Accipicchia, guarda un po’ che differenza c’è, tra i presbiteriani e gli episcopaliani!”

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