Podcast n. 42 – Il Mondo Nuovo – La road map del civismo italiano.

Pubblicato sul magazine online Il Mondo Nuovo – Rubrica “Il biglietto da visita” il 30.4.2023

Buongiorno a tutti, sono Stefano Rolando,

oggi faccio una cosa un po’ insolita.  Anziché commentare un fatto, un evento, una notizia già in evidenza, tolgo un piccolo velo a una storia ancora sottotraccia che riguarda me ma anche altre centinaia di persone.  E trasferisco qui più o meno le cose che ho detto in una ampia assemblea da remoto con voci da tutta Italia, voci che appartengono ai fondatori di una cosa difficile.

Il tentativo – previsto per metà giugno a Roma – di dar vita alla federazione di tre movimenti che – al nord, al centro e al sud – ognuno costituito da molte liste civiche locali, porta a compimento una federazione nazionale che, di fatto, mette in campo per la prima volta un soggetto civico nazionale (con proiezioni europee) rispetto alla frammentazione locale del civismo, fin qui nato per raccogliere il voto, soprattutto nei comuni, di chi è disaffezionato dai partiti ma che pur di non astenersi (come fa quasi metà dell’elettorato italiano) vota quelli che si dichiarano indipendenti e legati agli interessi generali di questo o quel territorio.

Come dicono i civici, “quelli che considerano la politica un bene comune”. Più che il loro stipendio, gli interessi di parte, la loro carriera.

Non è sempre così – si intende – ma la tradizione civica comporta alcune caratteristiche di altruismo e generosità. Chi non le ha è un civico sedicente.

Andando verso questo traguardo (che è un inizio, non una fine e che guarda avanti, molto avanti) bisogna consolidare molte cose e convergere su condivisioni che vanno da Aosta a Lampedusa. Una cosa qualche volta difficile per chi ha finora usato la piazza del paese come piattaforma relazionale.

Ho dato il mio contributo a questa discussione e qui propongo le riflessioni principali fatte, diciamo ora per allargare il dibattito.

Mi occupo di civismo politico da molto tempo, al di là del lavoro in istituzioni, aziende e università; e ho scritto un saggio una decina di anni fa cercando di vedere potenzialità e limiti di questo fenomeno dopo aver partecipato ai cantieri interessanti del civismo progressista a Milano e in Lombardia appunto una decina di anni fa.

Poi ho seguito l’evoluzione di un movimento di pensieri e tentativi che ha camminato carsicamente mentre il sistema dei partiti ha peggiorato le sue condizioni fino a quando nel 2021 il Presidente della Repubblica lo ha considerato in crisi e in emergenza, incapace di fare scelte per governare il paese (e poi persino per eleggere il nuovo capo dello Stato) e ha creato una seconda discontinuità (la prima era stata con il governo Monti, con al Quirinale  Giorgio Napolitano) per governare le crisi e le transizioni urgenti ma anche per sollecitare i partiti a rigenerarsi.  Più che rigenerazione, tuttavia, abbiamo visto cambiamenti, anche forti. Ma il dato della disaffezione e i problemi di cattivo rapporto tra politica e società persistono.

Da qui l’evento che è in cantiere. L’ipotesi è a Roma il 17 giugno.

Il mio punto di partenza riguarda ciò che le discussioni hanno acclarato. Non ancora e non del tutto attorno a ciò che siamo e ciò che vogliamo, ma più chiaramente attorno a ciò che non siamo e ciò che non vogliamo.

L’astensionismo (1) – che i partiti non combattono molto perché si limitano ad accettare la formula “la democrazia è chi c’è” e contano i voti espressi non la percentuale sugli elettori nel complesso – è un fenomeno che  andrebbe ascoltato, interpretato, affrontato e combattuto. Esso sta producendo una polarizzazione della politica (2) che non ci piace, perché radicalizza ogni confronto creando devianza rispetto all’impegno per le soluzioni. Ma anche il liderismo (3) che ha caratterizzato l’evoluzione del cosiddetta seconda Repubblica ha prodotto comunicazione ma non partecipazione. E soprattutto la scienza politica è stata annichilita e trasformata in regno della tattica, cioè marketing elettorale (4). Infine – con deriva internazionale – il nostro europeismo ha stretto i confini a favore di una crescita pericolosa di nazionalismo (5), causa di tragedie.

Il secondo snodo riguarda la necessità di affrontare critiche o diffidenze che da tempo il civismo provoca.

Siete troppo localisti, si è detto. Ma è evidente che questo aspetto è fortemente modificato dalla costruzione di un soggetto nazionale con nessi europei.

Siete spesso solo sintomatici (più sui problemi che appaiono che sulle cause). Non è sempre vero, ma è vero che le cause obbligano ad analisi di processi ampi, regionali nazionali e globali. C’è una critica di avere scarsa interpretazione e una critica di essere poco visionari. La risposta è mostrare che si sa affrontare senso della storia e progettualità del futuro. Cosa che si fa, ma che va organizzata meglio.

Infine, c’è un’etichetta appiccicata a chi è utile per fare coalizioni locali, ma poche volte con una indiscussa decisività. Essere “ancillari, si dice. Comincia a non essere più molto vero. Perché le indagini mostrano più di un 20% di situazioni nei territori in cui la decisività civica è la condizione di successo. Ma è chiaro che un’organizzazione e una narrativa coerente sul piano nazionale comportano sia un ribaltamento di questo rischio sia il ripristino di una “pari dignità” di condizione grazie anche ad una capacità negoziale più ampia e generale.

Se è vero che “visionario” oggi significa capacità interpretativa e progettuale, dobbiamo creare condizioni più competitive su questo fronte, che comincia con il padroneggiare meglio la nostra storia. Nel mio “Civismo politico” (Rubbettino, 2015) scomodai un filosofo medioevista, Riccardo Fedriga, per partire dall’alto medioevo e vedere come tra Principe e Popolo la dimensione urbana cominciò mille anni fa a creare intermediazione. Professionale (le corporazioni), della conoscenza (le prime università italiane), della stessa informazione. Poi il Rinascimento inserirà le professioni creative. Poi il Risorgimento costruirà i patrioti (tra Re e popolo). Poi il ‘900 ci mostrerà infiniti tasselli di esperienza, cantieri di scopo sociale e civile, in un’epoca in cui tutto era federato dai partiti.

Comunità di Adriano Olivetti – tra impresa e città – era una grande idea, si fece partito tra il ’53 e il ’58 e non andò oltre a un deputato. Per il resto da Barbiana ai movimenti per la pace o per la legalità, per l’emancipazione femminile e per i diritti produssero cultura ma alla lunga anche trasformazione del perimetro della politica. Ma rimasero tasselli. Il Melone a Trieste determinò una coda più ampia in materia di autonomie.

Quei tasselli vanno riletti per capire la genetica di un paese lungo e complesso. Ma soprattutto per nutrire la nostra idea di federabilità.

Restano alla fine alcuni chiarimenti da fare sul cammino a breve.

Un primo sforzo di lavoro e di sperimentazione riguarda la necessità di dare coerenza alle narrazioni del civismo territoriale in una chiave nazionale ed europea. Trovare pensieri e parole comunicativamente abitabili nella confusione politica dell’Italia oggi.

Vi è poi il problema di dare alcune priorità consolidando le fonti sociali del civismo. Intendo i bacini di provenienza degli aderenti che non dipendono solo e strettamente dalle carriere politiche. Direi, in prima battuta, gli amministratori, poi le associazioni di scopo sociale, poi le associazioni professionali e di categoria (senza temere corporativismi e lobbismi ma con riferimento al fatto che è vero che cresce l’astensionismo ma cresce anche – dati alla mano – la fiducia degli italiani nell’associazionismo); poi in tutte le professioni educative; e infine nel rilevante campo della cittadinanza attiva.

Su questa base l’aggressione all’astensionismo può portare a risultati significativi.

E su questa base dare corpo agli obiettivi di un’organizzazione non solo elettorale ma anche formativa e di consolidamento culturale e sociale può fare la differenza.

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