Seminario di orientamento su elementi identitari e valoriali del civismo italiano. Milano, 31.5.2023 – La relazione introduttiva

Verso una federazione nazionale delle alleanze civiche del nord, del centro e del sud Italia

Seminario di orientamento su elementi identitari e valoriali del civismo italiano

Promosso dal Centro Studi “Emilio Caldara” – Via De Amicis 17, Milano – 31 maggio 2023

Intervento introduttivo

Stefano Rolando [1]

Ringrazio coloro che sono qui, coloro che hanno contribuito ad arrivare sino a qui, coloro che pensano che questa giornata abbia qualche ruolo e qualche utilità in un percorso in itinere, con opportunità e insidie, che ha bisogno di razionalizzare le difficoltà, condividere le opinioni e problematizzare alcuni nodi da sciogliere. Ringrazio le tre associazioni civiche territoriali che hanno deciso si svolgere questa giornata non per fare una passeggiata in campagna ma per stringere un po’ le viti al loro stesso modo di pensarsi e di spiegarsi

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Tre temi generali

Mi propongo di svolgere tre punti di leggero scavo, procedendo non astrattamente ma con qualche pragmatica ricognizione.

  1. La ricognizione riguarda i punti spazio-temporale e valoriale-immaginario in cui stiamo svolgendo questo piccolo ma forse importante laboratorio di verità.
  2. Abbiamo consapevolezza che oggi si tenta un trait-d’union tra una lunga marcia compiuta e il proposito di dar vita a un soggetto federato nazionale.  Ci sono stati due anni di cammino con le attuali focalizzazioni, ma con dieci-dodici anni alle spalle con episodi abbastanza innovativi attorno a ciò che chiamiamo “civismo politico”. Anni in cui questo civismo si è misurato con una frammentazione territoriale che ha mostrato i limiti. Con una articolazione di scopo legato a questioni sociali e a transizioni del nostro tempo, che ha allargato quei limiti. Con un altalenante percezione di ruolo politico che nei centri sotto i 20 mila abilitanti ha una protagonismo certo; sotto i 40 mila abitanti è consapevole di concorrere alla vita democratica; nei centri maggiori avverte la difficoltà della pari dignità rispetto ai partiti politici, pur in crisi di qualità e fiducia sociale ma che proseguono la loro marcia all’insegna non delle analisi sulle insufficienze ma all’insegna del motto “la democrazia è chi c’è”.

Quindi nemmeno spaventati dall’astensionismo.

  • La federazione nazionale delle alleanze civiche del nord, del centro e del sud – che è alle viste – è ora sorretta da alcune chiarezze.
  • Confermare l’annunciato distacco dal localismo senza perdere la ferma posa dei piedi nei territori. E senza rinunciare alla tematica che Giuseppe De Rita ha indicato nel maggio 2022 con “Ridiamo spazio ai livelli intermedi – Lettera alla gente della mediazione e della coesione sociale”.
  • Immaginare che tutto ciò che fa frizionare le tre Italie (distinte tra loro nella prima Repubblica, ma in un aggravarsi della reciproca repulsione nord-sud nella seconda Repubblica) potrebbe ricomporsi in qualche aspetto solo risalendo alle complementarità identitarie e riconoscendo le complementarità funzionali.
  • Ammettere la fragilità ancora di proposte all’altezza delle poste nazionali ed europee però decidendo di tentare il miracolo della visibilità delle intenzioni, ma anche tentando un serio cantiere creativo per consolidare la nostra agenda, dialogando con tutti in piena indipendenza e migliorando la comunicazione interna tra diversi filoni di esperienza.
  • Infine, uno sforzo in più. Provare a scendere – con lo spirito dello sbarco sulla Lunanella tundra brumosa e imprecisa della Terza Repubblica, cantiere aperto dalla crisi del populismo, dalla discontinuità del governo Draghi e dal consenso dato dagli italiani alla lunga marcia di opposizione di una formazione che era e che resta post-fascista. Alcuni stanno tentando il viaggio, immaginando che ciò abbia un perché, una ricerca di radici, una aspettativa, un carico di doveri e una speranza al servizio delle nostre comunità ma lette nel loro insieme. E nel nostro ambito si tratta di chi individua precisi interlocutori nel tessuto della società prima ancora che nella mobilità opportunistica dei partiti.

Le argomentazioni specifiche e di contesto

Provo ad argomentare e corredare un po’ questi punti.

  • La minuscola striscia di terra di questa giornata è figlia della decisione di mantenere la definizione civica, sapendo che essa ha radici lontane (e chi ha radici è bene che se le tenga perché è noto che gli alberi senza radici sono la prima cosa che vola via con il maltempo). Tra l’altro le più lontane sono millenarie: sono le prime intermediazioni sociali, le corporazioni e le università che si collocano tra Principe e Popolo nelle nostre città del basso Medioevo, uscito dall’angoscia del millenarismo e della fine del mondo.

Ci sono esperienze virtuose nel secolo scorso, che hanno mantenuto luce ma anche volo radente, perché avvenute in un tempo in cui i partiti volevano e potevano fare sintesi nazionale. Ci sarà spazio in mattinata per brevi cenni allusivi a quelle storie.  E c’è anche un percorso meno limpido: vicende di opportunismo, di pura occasionalità, di trasformismo, di parcheggio determinato da molteplici crisi del sistema dei partiti (l’evaporazione di sistema della Prima Repubblica e la trasformazione liquida della Seconda), insomma la produzione di volubilità di posizionamenti che ha visto la regia della politica passare dall’ideologia al marketing.

  • Il civismo di prossima federazione agisce dunque con queste due decisioni: la rielaborazione del post-localismo e un complesso ripensamento dell’identità civica. Sono due temi intrecciati che si devono misurare soprattutto con le maggiori transizioni in atto (processi incompiuti, disagio dei sintomi, non acquisizione di tutte le soluzioni). Transizioni che degradano anche vecchie forme organizzative – nella politica, nei sistemi produttivi, nella fruizione dei consumi e della cultura – e un nuovo insorgere di equilibri tra tecnologie e sentimenti in cui si formano a volte creativamente altre volte nevroticamente le nuove generazioni. Chi vuol far politica deve cercare lì dentro i filoni di tensione al futuro che questo quadro di incertezze contiene. E deve provare a ridurre il peso autolesivo che la condizione umana esprime, la crescita delle solitudini e l’incrudelirsi delle competizioni che ci circondano. Cercando si trovano anche i ragazzi della Romagna di queste ore,  come chi cercava in passato i ragazzi delle bandiere bianche a Palermo o  i ragazzi di “adesso ammazzateci tutti” nella Locride. E se si tirano le somme del volontariato giovanile si contano 4 milioni e 400 mila soggetti, il 7,9% della popolazione.
  • Vi è anche nel nostro progetto di federazione un tema di unità d’Italia. Diciamocelo, non è un tema di moda e neppure di passioni collettive. È più gestito dai treni ad alta velocità – come ci ricorda spesso Piero Bassetti – che non dagli stimoli di una nuova e, in questo aspetto, preparata classe dirigente. Ciò che – in qualunque competenza – sappia integrare gli asset socioculturali e geopolitici che farebbero di questo paese ciò che Giorgia Meloni sbandiera senza avere, appunto, una vera classe dirigente, con sobbalzi autarchici, con una cultura politica che rivela sempre arroganze, con modesti risultati reputazionali perché agli occhi dell’Europa l’Italia è sospettata di posizionamento più su Visegrad che sui bastioni occidentali. E qui si sta innestando un problema molto serio. La bandiera bianca sul PNRR per alzare poi le mitragliatrici contro gli altri e contro l’Europa che non vuole “rinegoziare il Piano” (Draghi spiegò nel dettaglio l’impossibilità tecnica di questo rinegoziato a progetti già formulati e firmati). Insomma, altro che “interessi nazionali”, è un’altra pagina di manipolazione. Per noi l’unità d’Italia è il tema di rifare l’Italia sbagliata, con poche infrastrutture e guai idrogeologici e rifare gli italiani disuniti, ultraprovinciali, populisti e per metà analfabeti funzionali. Naturalmente una unità nazionale contro il nazionalismo, per l’Europa federale, per l’Euromediterraneo strategico.
  • È stata questa la trama storica del riformismo italiano che, prima e dopo il fascismo, ha visto il concorso prevalente delle culture politiche socialiste, cristiane, liberaldemocratiche. Non casualmente oggetto di attenzione del nostro laboratorio di tensione nazionale ed europea del civismo di origine territoriale che ha dedicato riflessioni e convegni al modello di esperienza del “semaforo tedesco” che attualmente guida  la Germania, disponendo ancora di partiti con questo radicamento valoriale che in Italia è stato disperso dalla confusa transizione della “seconda Repubblica”.
  • Riprendo anche il punto sulla discesa sulla Luna, allusione alla Terza Repubblica, che resta un modo di dire. La polarizzazione politica provocata dall’astensionismo, dall’esplosione del verticalismo leaderistico, da debolezza progettuale sulla modernità dei problemi dei modelli di sviluppo e di adattamento, si innesta sulla crisi di fiducia sociale verso Partiti e Parlamento (per Demos, fine 2022, sono gli ultimi due gradini della fiducia degli italiani), pari alla repulsione degli apparati di partito  sia in rapporto alle dinamiche sociali (almeno una volta si leggevano tutti le parole d’ordine dei Rapporti Censis, ora neanche quello) sia in rapporto alle priorità territoriali. La polarizzazione significa che i due partiti maggiori puntano alle egemonie: uno dell’alleanza di governo, l’altro dell’opposizione. E in questo tratto, che durerà ancora a lungo, curiosamente tanto Meloni quanto Schlein danno importanza al rispettivo riordino identitario. Parola che appariva rivendicata dalle destre (prima la Lega, poi FdI) che a sinistra resta ancora un po’ camuffata. Ma che dovrebbe essere divisiva per i contenuti non per il buon diritto di esistere.  
  • L’una ci prova cercando di comporre il conflitto tra le radici nostalgiche dentro il 35% degli italiani che – SWG di un mese fa – non si ritengono “antifascisti” ci sta tutto il suo 15% di voto degli italiani con diritto di voto) e l’aspirazione a costruire una visione di partito conservatore europeo finora ripulito a chiacchiere.
  • L’altra ci prova saltando dall’ideologico al generazionale, estremizzando un po’ la tensione partecipativa, cinturando la sua organizzazione con una filiera che proviene più da SEL che dal riformismo di centrosinistra, e lavorando sul recupero di flussi di voti verso ambientalisti, grillini, movimentismo vario e generico astensionismo (sempre ricordando che quello di CS è l doppio di quello del CD).
  • Parliamoci chiaro. Questa dinamica appesa alle elezioni europee non è la Terza Repubblica. È lo strascico della crisi degli ultimi dieci anni. Nessun ripiegamento di analisi profonda. Tutto annunci e lampi sui social. Un tentativo di ritonificare le categorie sbiadite di destra e sinistra. Tenendo fermo lo schema governo-opposizione che ci fa ripiombare nel clima degli anni ’50 anche se il velo protettivo – fin che dura – ha una sua logica, perché il rinnovamento di genere delle due leader non è una bazzecola in un paese come l’Italia.
  • Questa digressione su eventi e contesto è per avere più chiaro il nostro spazio concettuale e di manovra. Questa giornata serve a dire ai nostri ambiti di partecipazione che non ha senso che quattro gatti si mettano a studiare e gli altri procedano a generare attività politica con rimasticature di conoscenze, a cui si dà poca importanza. Lo sforzo di rinnovamento di un pensiero originale deve essere collettivo. Territori e tradizioni devono essere sottoposti a paradigmi in cui educazione, salute, informazione, mobilità, mercato del lavoro, ambito delle sostenibilità di produzione e consumo hanno cambiato tutto: narrative, morfologie, economie, ecologie, valori simbolici.
  • C’è un grande progetto Nord-Sud che riguarda l’Europa e il mondo con cui l’uscita dal localismo ci fa misurare. C’è il tempo e il valore del consolidamento creativo della nostra rigorosa indipendenza dai partiti che deve farci esprimere nuove capacità di racconto e di negoziato. La linea di lettura è con i progetti di classi dirigenti che puntano allo sviluppo capace di autosostenersi.

Un riferimento di esperienza concreta

  • Inserisco qui bevi considerazione su un episodio del nostro moderno civismo politico – che appartiene a questo secolo – finito derubricato perché il suo leader ha lasciato la politica e perché la crisi dei partiti ha tagliato la memoria per vivere alla giornata senza scontare le pene della memoria stessa. Ma è un episodio che contiene elementi di senso per il nostro itinerario attuale. Mi riferisco alle vicende del Patto Civico nato in Lombardia con le regionali del 2013. Lo racconto anche se so che Franco D’Alfonso non ha mai nutrito grandi simpatie per quella vicenda, ma io avevo la responsabilità progettuale di quell’esperienza, ne ho scritto nel 2015 e ora ripesco – per strumentare i ragionamenti che sono in corso – alcuni frammenti pedagogici. E anche per ricordare questo ambiente in cui siamo oggi che ha avuto nel tempo, ma anche in quegli anni, un forte ruolo.
  • Parlo di una fase storica in cui il PD era consistente ma in condizioni di impotenza. Parlo dell’immediato dopo elezione di Giuliano Pisapia in cui lo scarto che ha chiuso 20 anni di berlusconismo a Milano è avvenuto per un accurato lavoro di spostamento significativo del voto borghese o intermedio, espressione di voto non militante quindi civico, dal fronte conservatore a quello progressista (lavoro che ebbe in Piero Bassetti la bandiera).  Parlo di un  bel nome del civismo istituzionale in Italia, legato alla memoria di Giorgio Ambrosoli, assassinato dal connubio tra mafia e finanza, incarnato dal giovane  Umberto, avvocato e suo figlio allora quarantenne, costruito sull’idea della politica servizio al bene comune.
  • Ebbene la lista civica alle regionali prese il 13,6%. Ma la decisione di Ambrosoli – che significò un forte negoziato alla pari con il PD – di partecipare alle primarie del CS, gli portò il sostegno gioco-forza di una parte rilevante di quel partito che aveva accettato l’ipotesi che il leader della coalizione avrebbe potuto essere un civico (il negoziato con il segretario del PD regionale di allora Maurizio Martina lo considero una bella pagina di buon senso della democrazia). La campagna fu all’insegna del valore di quel salto civico rigenerante, pur nella diffidenza di parti della sinistra che avrebbero voluto un qualche muscolato vecchio lupo di mare alla guida. L’esito delle elezioni contro un Maroni ancora con presa popolare e una Lombardia che non è Milano, rese la Lombardia contendibile dopo più di vent’anni di centro destra con pochi punti di distanza (in seguito i candidati del CS hanno regolarmente preso la metà di quei voti). Aggiungo che il programma elettorale (argomento su cui molti ogni volta ironizzano) fu il risultato di un lavoro serio di oltre 50 esperti, universitari di fama, professionisti di esperienza. Era un programma di riforme affidato a una squadra pensata da un civismo progettuale più avanti degli avversari. Un Patto Civico, appunto, con i partiti in squadra ma con l’originale impronta di una aggregazione fuori dai puri apparati.
  • Il disarmo avvenne subito dopo le elezioni. In un inaudito silenzio generale. Ognuno per la sua strada, fatto salvo un generico coordinamento di opposizione. Nessuno dei presupposti maturò per volontà dei soggetti della coalizione. Era un modello di pari dignità, di pari concorso progettuale, di pari diritto di interpretare l’agenda e le priorità. Necessariamente costruito con la forza maggiore della coalizione, perché quel 13% della lista civica avrebbe potuto portare al successo anche una forza tre volte più grande ma non tanto da farcela da sola. Progetto in realtà premiato in una regione in cui il sentimento elettorale ha tendenza conservatrice. Esattamente quello che avviene oggi nei comuni sotto una certa soglia di abitanti. La morale lì rimase questa: se vinci fai storia, se perdi, pur di poco, meglio togliere l’ingombro che conservare il dossier dell’esperienza acquisita.

Quali sono allora i punti della rigenerazione progettuale?

Ecco una breve scorsa ora al programma di questa giornata.

  • Il civismo federato deve studiare con realismo e attenzione gli andamenti dell’astensione e capire gli ambiti in cui il fenomeno galoppante sarebbe reversibile conoscendo l’articolazione delle cause (diverse tipologie studiate anche da noi che ne abbiamo fatto oggetto di iniziative) e costruendo una difficile azione di relazionamento perché a target multiplo e da affrontare senza chiacchiere generiche.
  • Il recupero almeno del 10% di quel voto, di solito d’opinione, scappato per assenza di risposte alle cause di disaffezione, costituirebbe l’orgoglio di un capitale per guidare le alleanze non per subirle. Spero che se ne parli. Perché è un obiettivo difficile e non scontato. Sentirete dalle parole di Stefani Zamagni che sulle ragioni stesse dell’astensionismo ci sono letture diverse.
  • Le fonti sociali della partecipazione ai circoli civici e poi anche alle liste dovrebbe essere il secondo capitolo delle attenzioni visibili ponendo – come sta per fare qui un panel dedicato – la priorità di provenienze (amministratori, scopo sociale, associazionismo professionale e tematico, cittadinanza attiva, complessità delle esperienze educative, altre forme di tessuto intermedio) che dimostrino l’uscita dal circolo asfittico del riciclare quadri tesserati , chi orfano chi in itineranza al miglior offerente.
  • Alcuni ambiti tematici (è dedicato a questo il panel successivo “Caratteri del civismo”) fanno davvero premio sull’impostazione di un lavoro, che è solo imbastito ma non compiuto, per passare dalle intuizioni alle proposte (sostenibilità praticabile, democrazia partecipativa, impresa sociale, modello del “fare politica”).
  • Con il pomeriggio si preparano appunti su un meditazione che non abbiamo mai fatto: come costruire nuove narrative efficaci di noi stessi (forma-linguaggi-contenuto-tecnologie) che è un altro momento per il quale c’è la tentazione di lanciare una vera e propria scuola di comunicazione politica, avendo alle spalle vicende storiche (quelle appunto novecentesche) in cui la comunicazione esprimeva una esemplarità discontinua, rispetto ai partiti, che ha sempre fatto la differenza. Ma anche storie più recenti in cui il malinteso civismo (penso ai 5 Stelle) li ha fatti cascare per anni nella prigionia del loro algoritmo, pur avendo avuto l’intuizione originaria delle rivoluzione delle parole che alla fine si è rivelato il copione di Masaniello.
  • La cornice dell’Europa (quale modello intercetta di più le rappresentanze interessate ai territori) e della strategicità euromediterranea (quale spinta geopolitica ed economica può trasformare un ritornello dei convegni in una scelta competitiva per l’intero continente che deve trovare una soluzione all’imprigionamento delle prospettive determinato dalla guerra e dalle prove di forza delle superpotenze) è l’ultima quinta tematica di analisi e proposta.
  • Sia al mattino sia al pomeriggio momenti di convergenza e di discussione permetteranno ai rappresentanti delle tre associazioni civiche territoriali, ad esponenti di significative  amministrazioni – è annunciata la presenza del sindaco di Milano Beppe Sala non iscritto a partiti che guarda con attenzione sia a questo Circolo sia al nostro terreno di analisi oggi – di portare osservazioni sul tema di come creare condizioni di ancoraggio al nostro progetto che i cittadini possono avvertire dentro preliminari sentimenti di fiducia e non di diffidenza. Segnalando che la dimensione amministrativa territoriale oggi raccoglie quattro volte la fiducia degli italiani rispetto ai partiti politici.

In conclusione

Lo schema del seminario è concepito, come ho detto all’inizio, come passaggio del guado in corso. La storia ci pressa a rendere brevi le fasi in successione. Fa venire in mente lo sfortunato governo Kerensky che rappresentava l’opzione dei menschevichi ma che fu fatta passare come l’ineludibile stagione borghese che deve precedere ogni rivoluzione marxista. Vecchi lampi di chi ha visto la politica prima del ’68 spartiacque che portò qualche trasformazione sui costumi ma che fu l’inizio di nuovo massimalismo e di epoche in cui si torneranno a bruciare i libri.

In ogni caso è evidente che vanno messe in campo altre pratiche rigenerative rispetto a una giornata di pur intense riflessioni.  Il rapporto con i partiti politici rappresentati nazionalmente va oggi misurato dal cambiamento di una capacità che la democrazia repubblicana ha espresso per anni tenendo connesse politica e cultura e riuscendo a continuare l’esperienza di far sintesi delle trasformazioni e delle domande sociali. La connessione è per lo più saltata, la capacità di analisi ha fatto perdere la relazione sociale e quella territoriale. Se gli argomenti originali di modifica dell’agenda di cui ci consideriamo portatori possono passare nel negoziato politico generale è perché noi stessi riusciremo a produrre questa sintesi.

Lo stesso Marco Pannella – un figlio puro del modello dei partiti del tempo – intuì tra i primi la parabola autoreferenziale dei partiti e si dedicò ad un immenso lavoro di scopo per introdurre cose che erano estranee all’agenda della politica nazionale. Alla fine, però trovando ancora un sistema che, spettacolarmente pressato dal più grande influencer della storia repubblicana, riusciva a convincere i padroni del voto e delle tessere a cedere sul patto legato alla trasformazione normativa. Il guado in cui siamo è semplice: non c’è più un Marco Pannella e non ci sono più partiti in condizioni di fare quelle trattative.

Oggi con il voto dimezzato rispetto a 50 anni fa, il civismo di scopo, di territorio, di responsabilità istituzionale (c’è anche questo aspetto che Draghi ha risollevato), non ha altre risorse che sé stesso se vuole essere parte del negoziato sull’agenda e se non vuole dipendere dalla strumentalizzazione di chiunque per aggiungere qualche zero virgola all’ansia di fluttuazione a cui tutti i partiti sono stati sottoposti negli ultimi trent’anni. Senza una nuova casa costruita con le nostre mani (e sottolineo con le nostre idee) non siederemo a nessun tavolo intestato alla pari dignità. Ma deve essere una casa in cui si parla di educazione civile, in cui c’è attenzione alle sofferenze, c’è slancio per sostenere una nuova imprenditorialità sociale, c’è profonda sintonia con la fatica degli educatori, c’è afflato sincero per un mondo migliore, con umiltà e generosità senza cui la politica resta una tecnica non valore.


[1] Professore di Comunicazione pubblica e politica all’Università IULM di Milano, direttore scientifico del Circolo e Centro Studi “Emilio Caldara”, autore di Civismo politico. Percorsi, conquiste, limiti (Rubbettino) – Già direttore generale in istituzioni e dirigente in aziende di rilievo nazionale.  È presidente a Milano della Fondazione “Paolo Grassi” e a Melfi-Roma della Fondazione “Francesco Saverio Nitti”. 

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