Lettere dalla Merica – n. 9/2023 – Ho visto qui “Oppenheimer”

Paolo Giacomoni

Amico dai tempi del liceo (liceo classico finito con lui iscritto a Fisica e poi, in tutta la sua vita, prima a Parigi e poi in America, ricercatore sugli effetti delle radiazioni solari), ma anche con lui nelle prime frequentazioni della politica, tra i giovani repubblicani (ai tempi della campagna contro la proliferazione nucleare), Paolo Giacomoni mi manda ogni mese una breve “lettera dalla Merica”, soprattutto per raccontare l’America profonda, tra società, politica e diritti civili. Con le sue novità e le sue stranezze. Questa volta ho fatto io il committente e gli ho chiesto un parere – da spettatore negli USA – del film Oppenhemer. Segnalandogli qualche spunto di interesse. Perché questo tema (con alle spalle quella sceneggiatura) nel contesto attuale USA. Gli americani credono ancora fermamente nella teoria del “male minore”? La guerra russa in Ucraina cosa dignifica rispetto al dibattito che questo film vuole certamente promuovere? La relazione storica e attuale tra Americani e tedeschi. Il film dice qualcosa di nuovo? Come e trattato Fermi nel film? Vincerà l’ Oscar? Risponde. Non a tutto ma su parecchie cose. Lo ringrazio e pubblico la sua letterina n. 9 di quest’anno.

Dal vero: Robert J. Oppenheimer (secondo da sinistra), Enrico Fermi (primo a destra)

 Alabama, 1 settembre 2023

Ho visto il film “Oppenheimer”

Il film è costituito fa una fastidiosissima serie di flash back nel quadro dell’azione intesa a non rinnovare a Oppenheimer  l’autorizzazione (clearance) ad accedere a segreti militari associati al programma di preparazione della bomba all’idrogeno.

In questi  flash back ci viene detto che Oppenheimer simpatizzava col movimento comunista, ma non era comunista. Che Oppenheimer aveva delle amanti, ma aveva una libido claudicante. Che Oppenheimer, messo di fronte alla contraddizione di aver fatto la bomba A e di non voler usare la bomba H avrebbe risposto “Il Progetto Manhattan era il mio lavoro” (in America questo equivale a dire “Obbedivo agli ordini”). Si scopre un Oppenheimer più simile a Carlo Alberto che a Prometeo.

Si scopre altresì che è stata la moglie a istigarlo perché lottasse contro la perdita della clearance, e ci viene detto che il cattivaccio della storia non è il Maccartismo o l’imperialismo americano o la nevrosi anticomunista dell’America degli anni 50, ma il professor Levy Strauss che vuole fargli perdere la credibilità morale per impedirgli di continuare ad opporsi al progetto della bomba H.

Nel corso di questi flash back si ha anche l’occasione di vedere gli scienziati più famosi dell’epoca ridotti a macchiette in episodi a volte di fantasia, con Fermi che appare solo per scommettere che i conti di Teller sono sbagliati, con Feynmann che suona il bongo, con Bohr che rischia di mangiare una mela, avvelenata da Oppenheimer per uccidere Blackett, con Einstein che partecipa a una conversazione che non si è mai svolta. Ci sono tante altre sviste storiche, come quella di far dire a uno scienziato che siccome la meccanica quantistica è una scienza ebrea, i nazisti non faranno mai la bomba. Ci sono tanti errori scientifici grossolani: io, per esempio, non aprirei mai una bottiglia contenente una soluzione di cianuro di potassio per iniettarlo in una mela, sapendo che il cianuro di potassio in contatto con acidi (la mela contiene l’acido malico) libera acido cianidrico, il gas letale della camera a gas, che ti uccide quando lo respiri senza lasciarti il tempo di espirare.

Il titolo del film non è né “Il Progetto Manhattan”, né “Il caso Oppenheimer”.

È tratto da un libro pubblicato una quindicina di anni or sono, American Prometheus, una biografia completa di Oppenheimer che cerca di spiegare la sua instabilità psicologica con il suo rifiuto di accettare di essere un ebreo tedesco. Ma senza riferimenti all’infanzia in una famiglia ricca e disfunzionale, senza ovvii riferimenti allo status della comunità ebraica ancora non accettata nell’America degli anni venti-trenta, senza il riferimento alla sua “nascita alla meccanica quantistica” mediante il forcipe di Max Born, ebreo tedesco a Göttingen, il racconto del film resta senza capo né coda.

Allora ci si può chiedere: perché? Perché fare questo film?

Siamo di fronte a una riabilitazione dell’America degli anni Cinquanta? Il cattivo non era il senatore Joseph McCarthy ma il perfido Lewis Strauss?

O allora si vuole rivisitare il personaggio Oppenheimer e, da eroe della libera coscienza farlo diventare vittima sacrificale, in una storia di “cristificazione” del protagonista?

È ben vero che in molti film americani, e quindi nell’inconscio collettivo americano lievitato da Trump, il lieto fine è costituito dalla morte del rompiscatole che ha ragione, o nel sacrificio di uno per salvare tutti, come se ciascuno potesse attribuirsi la capacità di decidere chi sarà il Gesucristo dell’occasione.

O magari, in un momento difficile per la democrazia in Israele, siamo solo di fronte a un tentativo di ridare visibilità alla comunità ebraica, visibilità che è andata scemando per via delle diverse comunità che ormai occupano la scena politica e culturale americana?

Penso che non vincerà l’Oscar.

Se io fossi il critico cinematografico del Canard Enchaîné, metterei questo film nella rubrica “Les films qu’on peut ne pas voir”.

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