Malta (4-6 ottobre) la conferenza euromediterranea sulla comunicazione nei processi migratori – In apertura l’intervento di Stefano Rolando (presidente Club of Venice) qui in integrale (IT – FR – EN).

Dal 4 al 6 ottobre, si svolge nella capitale di Malta, la Valletta – a pochi giorni di distanza da MED 9 la conferenza sulle migrazioni dei capi di governo dei paesi della UE e dei responsabili delle istituzioni europee – una conferenza euromediterranea promossa sulla specificità del tema comunicativo nei processi migratori che da alcuni anni avviene in forma itinerante per iniziativa di Euromed, ICMPD, Club di Venezia (rete dei responsabili della comunicazione istituzionale dei paesi membri), sul tema “Euro-Mediterranean Migration Narratives Conference”.

Quest’anno orientata a discutere in particolare su come l’approccio del partenariato multi-stakeholder costituisca una leva di cooperazione per affrontare il crescente problema di comunicazione pubblica verso i migranti e verso i cittadini, agendo anche nel quadro interistituzionale attraverso le complesse responsabilità di studio, ricerca e aggiornamento statistico.

Introducono i lavori il direttore generale del Ministero degli Affari Esteri maltese Neville Aquilina e il presidente del Club of Venice Stefano Rolando. In apertura anche un intervento di un rappresentante dell’Unione Europea, mentre tocca a Julien Simon, responsabile area mediterranea di ICMPD, la relazione introduttiva affiancato da Vincenzo Le Voci (Consiglio UE) segretario generale del Club of Venice.

The flags of Malta and the European Union waving in the wind on a clear day. Luxembourg became a member of the EU in may 2004. 3d illustration render. Fluttering textile

Conferenza euromediterranea sulla comunicazione migratoriaPromossa da Euromed, ICMPD, MC2, Club di Venezia (Consiglio UE) con l’attiva partecipazione del Governo di Malta-Ministero degli Affari Esteri con il patrocinio dell’Unione Europea. La Valletta, 4-6 ottobre 2023

Sessione di apertura – Intervento di Stefano Rolando (Presidente del Club di Venezia – Rete europea dei responsabili della comunicazione istituzionale UE)

Autorità, Rappresentanti della UE e del Governo di Malta, illustri Partecipanti, cari Amici e Colleghi, siamo in una fase in un certo senso concitata e a volte anche evoluta della discussione internazionale  e dunque anche europea sui processi migratori. Processi  che tengono ormai da anni in mobilità centinaia di milioni di abitanti del pianeta all’anno,  con la stima che da qui al 2040 migreranno nel mondo 1 miliardo e mezzo  di esseri umani. Ma siamo al tempo stesso in una condizione statica che responsabili rappresentanti di Stato hanno giudicato proprio qui a Malta pochi giorni fa “pericolosa”.

La conferenza MED 9 si è appena conclusa qui a La Valletta.

Il primo ministro maltese ha detto: “Resta  che la questione nel suo complesso deve ancora essere affrontata alla radice”. Si è dato atto nel corso dei lavori di accordi, avanzamenti, punti programmatici (per esempio i 10 punti presentati dalla presidente della UE Ursula von der Leyen).Ma alla fine tra i premier partecipanti c’è chi ha detto:

  • Bisogna passare a una risposta europea unita” (il presidente francese).
  • Per ora la volontà è sulla carta” (la presidente italiana).
  • Manca l’accento concreto sull‘adattamento” (il presidente greco).

Eccetera.
Mentre saluto e ringrazio tutti i partecipanti, dico solo che la mia riflessione riguarda questa nostra conferenza. Che consente a due ambiti di operatori professionali della nostra Europa di occuparsi di default del tema migratorio ma che – malgrado il loro impegno nella comunicazione – per una certa etica della funzione pubblica hanno più ruolo nel fare che nel parlare.

Non parlo in nome della mia cittadinanza italiana, ma come presidente fondatore di un organismo informale costituito da operatori istituzionali che molti anni fa hanno deciso di creare un tavolo di confronto fitto per cercare di armonizzare civilmente una materia profondamente legata a istanze e gelosia nazionali, raccontandosi esperienze e interpretazioni senza dover temere la rigidità di ruolo delle bandiere nazionali. Un paradigma apparentemente fragile. Ma in Europa con una forza istruttoria che non hanno molte commissioni istituzionalmente radicate – quindi con certi vincoli – a Bruxelles.

Da una parte abbiamo qui riuniti oggi funzionari di organismi trans-nazionali sostanzialmente pubblici (per mission, per parte importante del loro commitment) e poi – come è nel caso del Club di Venezia – di un nucleo fondante che è istituzionale e di un anello cooperante che è fatto di esperti e studiosi.

Il linguaggio, le informazioni, i documenti, il dialogo , tutto ciò ha per questo genere di soggetti una caratura diversa da quella degli apparati politici che esprimono al tempo stesso interessi generali ma anche posizionamento su temi oggi molto divisivi e su cui la lotta politica è molto forte.

Questo tema del doppio registro, del doppio paradigma, della comunicazione in materia migratoria, è una parte importante della matrice della discussione che in queste nostre conferenze ci portiamo dietro dal 2018, se ricordo bene da Tunisi.

Noi non abbiamo né la vocazione né l’opportunità di lanciare indirizzi ideologici e neppure corriamo il rischio di costruire con le parole l’articolazione del mondo tra amici e nemici. Siamo pertanto più invisibili, ma al tempo stesso, soprattutto in certi momenti, forse più utili, ancorché non decisivi. Ma dobbiamo guardare in faccia con realismo professionale alle ambiguità e al dualismo strutturale che sono parte delle narrazioni e quindi nel terreno che genera le fonti stesse della comunicazione. Che non è quasi mai materia asettica, quasi mai materia innocente.

Non vi è dunque un problema di doversi schierare – se non di fronte a irrevocabili questioni morali – anche se è necessario, in questo campo, mantenere saldo uno spirito civile che non può essere cancellato, trattando materie così delicate circa diritti e tragedie in atto.

Abbiamo tuttavia un compito pressante. Quello di costruire una produzione di “lògos” che possa anche accorciare le distanze nelle fasi in cui il conflitto politico non permetta soluzioni. Ovvero generare un sistema di organizzazione dei dati e delle spiegazioni rivolte anche ai cittadini perché cresca la domanda motivata di soluzioni sostenibili. In democrazia l’apparato riconosce doveri verso le istituzioni e parimenti (ove genericamente normati) verso i cittadini.

Quando mi riferisco ai nodi conflittuali non c’è solo  quello che ci appare un po’ stereotipato rispetto ai contenuti sempre più regolati dalla globalizzazione di una Europa del nord, un’Europa del sud e un’Africa del nord. Anche se persistono ovvie diversità antropologiche.

C’è anche una perdurante confusione tra i dati di realtà e la percezione dei processi. L’insufficienza regolatoria riguarda molte cose. Chi si deve occupare dell’accoglienza e con quali regole?

Se prevale lo schema puramente securitario si dovrà anche continuare ad avere a che fare con la tacita legge dei migranti di dissimulare alla frontiera  ogni informazione per ragioni – così credono – di difesa. Gettando i documenti, dichiarando in maniera fantasiosa i paesi di origine, il nome e altro. Tra cui qualunque informazione sui reali piani migratori. Affidati poi al caso, altro che alla programmazione!

A buoni conti, al vertice di tutti i dualismi resta quello sempre meno comprensibile in questa fase di analisi delle dinamiche globalizzate del pianeta, attorno a cui si muovono migliaia di università, di discipline, di ricerche, con personale colto che conosce la Bibbia metà della quale parla di migrazioni, dunque cose millenarie, oggi divenuto un dualismo sia culturale che politico.

Nei giorni scorsi l’ex presidente del Consiglio italiano Giuliano Amato che fu anche vicepresidente della Commissione europea che si occupò senza giungere all’obiettivo di Trattati costituzionali, ha detto: “Oggi si accoglie chi è perseguitato da un regime e si respinge che è perseguitato dalla fame. È inammissibile sul piano dei diritti umani e l’Europa deve uscire dall’equivoco”.

Altri conflitti in seno alle nostre società (cittadini e sistemi di impresa) alimentano però questo equivoco. Parliamo anche di classi dirigenti, cioè consapevoli, che per molto tempo non hanno mai detto con chiarezza ciò che adesso emerge con più diffusione in qualunque latitudine dell’Europa. Cioè, ammettere i  numeri di accoglienza che sarebbero necessari per mantenere la fisiologia del turnover occupazionale nei processi produttivi e previdenziali.

Ma il dualismo è generalmente sociale. E dipende largamente dalla dominante dei dati percettivi rispetto a quelli statistici. L’onda è un po’ calata ma si accreditano ancora le voci di “invasioni” e di “ondate” tanto che non fa più nemmeno impressione vedere i dati reali della piccolissima isola di Lampedusa che sopporta un carico quotidiano indicibile  solo a causa della sua posizione geografica.

Il dualismo sociale rispetto alle migrazioni è storico. Con sfumature diverse (la legittimità o meno della schiavitù dei migranti forzati) gli americani ci hanno costruito una guerra civile che è parte dell’identità costitutiva dello Stato che deve ora alle migrazioni la sua identità multietnica.

Questi argomenti hanno già fatto parte delle nostre analisi in questi anni. Ora il dualismo è diventato perfetto: sociale, culturale, economico, politico., istituzionale.

Questa complessità sociale del conflitto sulle politiche migratorie deve evidentemente motivare l’azione pubblica – quella di studio e istruttoria, quella di progettazione e gestione delle regole, quella dell’accompagnamento attuativo, quella della spiegazione e del discorso pubblico – a lavorare con i principali soggetti sociali attenti al fenomeno. Fino ad ora si sono sviluppate relazioni delle istituzioni con il sociale solidale. Oggi è una collaborazione necessaria (anche se contiene un altro ambito di conflitto che richiede opportuni chiarimenti, quello del rapporto con le ONG nel campo dell’assistenza di emergenza).Ma per le cose dette e per quel che si dirà anche in questa conferenza il partenariato multi-stakeholder  per nazioni e enti territoriali è maturo per un confronto e un piano di iniziativa convergente anche con il sistema di impresa. Non solo limitato al terzo settore ma riguardante tutta la progettazione del futuro occupazionale e produttivo. Ecco perché trovo che il titolo dato a questa conferenza non sia per nulla un profilo tecnico. Ma una grande opportunità di lavorare con una grande moltiplicazione di risorse, energie, argomentazioni. Insomma, una delle tante realtà in cui la comunicazione pubblica e la comunicazione di impresa (vale enormemente anche per la sostenibilità ambientale, per la transizione digitale e le nuove forme di apprendimento) non devono più considerarsi separate per scopi e attività, ma dialoganti e cooperanti.

E questa potenzialità riguarda anche lo spostamento dello sguardo di indagine. Dai nostri confini nazionali ai confini del mondo.

Chi, come me, ha fatto missioni e analisi sul posto sulla formazione del processo migratorio giovanile e famigliare sa che questa soglia di indagine ha ancora adesso poco accesso mediatico e pubblico.

Lo sguardo entra in funzione ai nostri confini,  non all’origine. È un tema di fondo sui fattori originari delle notizie, che riguarda il giornalismo internazionale con cui noi dobbiamo discutere. Ricordo la bella iniziativa che ICMPD ha sviluppato con i giovani giornalisti per lo più indipendenti.

Questo è il terreno che frena qualunque pur invocata opzione. Quando arriveranno a compimento le previsioni demografiche a medio termine, non ci saranno più opzioni in campo su cui discutere.

Arrivo alla conclusione. È chiaro che quella funzione  di servizio pubblico che i nostri mondi qui  riuniti rappresentano, incide sul problema di svolgere competenze in questo quadro scivoloso.

Il programma della conferenza, oggi e domani, ha punti per favorire una certa analisi su questo aspetto. Come rigenerare – uso una parola allusiva – un codice della utilità degli operatori della comunicazione, così come li ho prima professionalmente  descritti, stando al riparo dal credere di “dover far politica” ma anche sapendo che non basta più riempire solo studi e rapporti senza trovare quei percorsi istruttori attraverso i quali  si fa camminare – anche per pochi centimetri – ciò che qui a Malta pochi giorni fa i nostri stessi capi di governo hanno considerato una – cito tra virgolette – “fase ingiustificabile di stagnazione decisionale”.

Conférence euro-méditerranéenne sur la communication migratoirePromu par Euromed, ICMPD, MC2, Club de Venise (Conseil de l’UE) avec la participation active du gouvernement de Malte-Ministère des Affaires étrangères avec le patronage de l’Union européenne

La Valette, 4-6 octobre 2023

Séance d’ouverture

Discours de Stefano Rolando (Président du Club de Venise – Réseau européen des responsables de la communication institutionnelle de l’UE)

Autorités, représentants de l’UE et du gouvernement de Malte, distingués participants, chers amis et chers collègues,

nous nous trouvons dans une phase quelque peu excitée et parfois même évoluée du débat international et donc aussi européen sur les processus migratoires.

Des processus qui maintiennent mobiles chaque année des centaines de millions d’habitants de la planète depuis des années, avec l’estimation que d’ici au 2040, de 1 milliard et demi d’êtres humains qui migreront dans le monde.

Mais en même temps, nous nous trouvons dans une situation statique que les représentants responsables des État ont jugée “dangereuse” il y a quelques jours ici même à Malte.

La conférence MED 9 vient de se terminer ici à La Valette.

Le Premier ministre maltais a déclaré : « Il n’en reste pas moins que le problème dans son ensemble doit encore être abordé à la racine. »

Au cours des travaux, des accords, des avancées et des points programmatiques ont été reconnus (par exemple les 10 points présentés par la présidente de l’UE Ursula von der Leyen).

Mais finalement, parmi les premiers ministres participants, il y en a qui ont dit :

• « Nous devons aller vers une réponse européenne unie » (le président français).

• « Pour l’instant, la volonté est sur papier » (la présidente italien).

• « Il y a un manque d’accent concret sur l’adaptation » (le président grec).

Etc.

Tout en saluant et en remerciant tous les participants, je dirai seulement que ma réflexion concerne notre conférence. Ce qui permet à deux secteurs d’opérateurs professionnels de notre Europe de traiter par défaut la question migratoire mais qui – malgré leur attachement à la communication – en raison d’une certaine éthique de la fonction publique, ont plus de rôle à jouer qu’à parler.

Je ne parle pas au nom de ma citoyenneté italienne, mais en tant que président fondateur d’un organisme informel composé d’opérateurs institutionnels qui ont décidé il y a de nombreuses années de créer une table de discussion étroite pour tenter d’harmoniser civilement une question profondément liée aux exigences et jalousies, racontant leurs expériences et interprétations sans avoir à craindre le rôle rigide des drapeaux nationaux.

Un paradigme apparemment fragile. Mais en Europe, une force d’investigation que de nombreuses commissions institutionnellement ancrées – donc avec certaines contraintes – n’ont pas à Bruxelles. D’une part nous avons réunis ici aujourd’hui des responsables d’organisations transnationales substantiellement publiques (en termes de mission, pour une part importante de leur engagement) et ensuite – comme dans le cas du Club de Venise – d’un noyau fondateur qui est institutionnel et d’un cercle de coopération composé d’experts et d’universitaires.

Langage, information, documents, dialogue, tout cela a pour ce type de sujets un calibre différent de celui des appareils politiques qui expriment à la fois des intérêts généraux mais aussi des positionnements sur des questions aujourd’hui très clivantes et sur lesquelles la lutte politique s’articule très fort.

Ce thème du double registre, du double paradigme, de la communication en matière de migration, est une partie importante de la matrice de discussion que nous portons avec nous dans nos conférences depuis 2018, si je me souviens bien, depuis Tunis.

Nous n’avons ni la vocation ni la possibilité de lancer des orientations idéologiques et nous ne courons pas non plus le risque de construire avec des mots l’articulation du monde entre amis et ennemis.

Nous sommes donc plus invisibles, mais en même temps, surtout à certains moments, nous sommes plus utiles, même si nous ne sommes peut-être pas décisifs.

Mais il faut regarder en face avec un réalisme professionnel les ambiguïtés et le dualisme structurel qui font partie des récits et donc du terrain qui génère les sources mêmes de la communication.

Ce qui n’est presque jamais une matière aseptique, presque jamais une matière innocente.

Il n’y a donc aucun problème à devoir prendre parti – sauf face à des questions morales irrévocables – même s’il faut, dans ce domaine, entretenir un fort esprit civique qui ne s’efface pas, face à des questions aussi délicates de droits et de drames en cours.

Cependant, nous avons une tâche urgente. Celui de construire une production de « logos » qui peuvent aussi raccourcir les distances dans les phases où le conflit politique ne permet pas de solutions.

C’est-à-dire générer un système d’organisation des données et des explications également destiné aux citoyens afin que la demande motivée de solutions durables augmente.

En démocratie, l’appareil reconnaît des devoirs envers les institutions et également (lorsqu’ils sont réglementés de manière générique) envers les citoyens.

Quand je fais référence aux questions conflictuelles, il n’y a pas seulement ce qui apparaît un peu stéréotypé par rapport aux contenus de plus en plus régulés par la mondialisation de l’Europe du Nord, de l’Europe du Sud et de l’Afrique du Nord. Même si d’évidentes différences anthropologiques persistent.

Il existe également une confusion persistante entre les données de réalité et la perception des processus.

L’insuffisance de la réglementation affecte beaucoup de choses.

Qui doit s’occuper de l’accueil et selon quelles règles ?

Si le schéma purement sécuritaire prévaut, nous devrons également continuer à faire face à la loi tacite des migrants de dissimuler toutes les informations à la frontière pour des raisons – croient-ils – de défense.

Jeter des documents, déclarer avec imagination les pays d’origine, le nom et bien plus encore. Y compris toute information sur les projets de migration réels. C’est donc bien le cas et non la programmation qui régule cette « mobilité secondaire ».

Dans l’ensemble, au sommet de tous les dualismes reste celui qui est de moins en moins compréhensible dans cette phase d’analyse de la dynamique mondialisée de la planète, autour de laquelle évoluent des milliers d’universités, de disciplines et de recherches, avec un personnel cultivé qui connaît la Bible qui nous parle de migrations  comme une histoire  millénaire, qui est aujourd’hui devenue un dualisme à la fois culturel et politique.

Ces derniers jours, l’ancien Premier ministre italien Giuliano Amato, qui était également vice-président de la Commission européenne, qui a traité sans atteindre l’objectif des traités constitutionnels, a déclaré :

« Aujourd’hui, nous accueillons ceux qui sont persécutés par un régime et rejetons ceux qui sont persécutés par la faim. C’est inacceptable sur le plan des droits de l’homme et l’Europe doit sortir de ce malentendu.”

Cependant, d’autres conflits au sein de nos sociétés (citoyens et systèmes d’affaires) alimentent ce malentendu.

Nous parlons aussi de classes dirigeantes, c’est-à-dire conscientes, qui pendant longtemps n’ont jamais dit clairement ce qui se dessine aujourd’hui plus largement sous toutes les latitudes de l’Europe.

 C’est-à-dire en admettant les effectifs d’accueil qui seraient nécessaires pour maintenir la physiologie de la rotation de l’emploi dans les processus de production et de sécurité sociale.

Mais le dualisme est généralement social. Et cela dépend en grande partie de la prédominance des données perceptuelles sur les données statistiques. La vague s’est un peu apaisée mais les rumeurs d'”invasions” sont encore crues, à tel point qu’il n’est même plus impressionnant de voir les données réelles de la toute petite île de Lampedusa qui supporte à elle seule une charge quotidienne indescriptible. en raison de sa situation géographique.

Ces sujets ont déjà fait partie de nos analyses ces dernières années.

Désormais, le dualisme est devenu parfait : social, culturel, économique, politique, institutionnel.

Le dualisme social concernant la migration est historique. Avec différentes nuances (légitimité ou non de l’esclavage des migrants forcés), les Américains ont construit une guerre civile qui fait partie de l’identité constitutive de l’État qui doit désormais son identité multiethnique aux migrations.

Cette complexité sociale du conflit sur les politiques migratoires doit évidemment motiver l’action publique – celle de l’étude et de l’investigation, celle de la planification et de la gestion des règles, celle de l’accompagnement de la mise en œuvre, celle de l’explication et du discours public – à travailler avec les principaux sujets des réseaux sociaux. attentif au phénomène.

  • Jusqu’à présent, les relations entre institutions et solidarités sociales se sont développées. Il s’agit aujourd’hui d’une collaboration nécessaire (même si elle contient un autre domaine de conflit qui nécessite une clarification appropriée, celui de la relation avec les ONG dans le domaine de l’aide d’urgence).
  • Mais pour les choses dites et pour ce qui sera dit aussi dans ce Conférence, le partenariat multipartite entre les nations et les autorités locales est mûr pour la discussion et un plan d’initiative qui converge également avec le système des entreprises. Non seulement limité au tiers secteur mais concernant toute la planification de l’emploi et de la production futurs.

C’est pourquoi je trouve que le titre donné à cette conférence n’est pas du tout un profil technique.

Mais une belle opportunité de travailler avec une grande multiplication de ressources, d’énergies, d’arguments. Bref, une des nombreuses réalités dans lesquelles la communication publique et la communication d’entreprise (cela s’applique également énormément à la durabilité environnementale, à la transition numérique et aux nouvelles formes d’apprentissage) ne doivent plus être considérées séparément en termes d’objectifs et d’activités, mais dans un dialogue et coopération.

Et ce potentiel concerne aussi le déplacement du regard enquêteur. De nos frontières nationales jusqu’au bout du monde.

Ceux qui, comme moi, ont mené des missions et des analyses sur place sur la formation du processus de migration des jeunes et des familles savent que ce seuil d’investigation est encore peu accessible aux médias et au public.

Le regard s’opère à nos frontières, non à l’origine.

C’est une question fondamentale sur les facteurs à l’origine de l’information, qui concerne le journalisme international, dont nous devons discuter. Je me souviens de la belle initiative que l’ICMPD a développée avec de jeunes journalistes, pour la plupart indépendants.

C’est le motif qui retient toute option, même invoquée.

Lorsque les prévisions démographiques à moyen terme se concrétiseront, il n’y aura plus d’options à discuter.

J’arrive à la conclusion. Il est clair que la fonction de service public que représentent nos mondes réunis ici touche au problème de l’exercice des compétences dans ce cadre glissant.

Le programme de la conférence, aujourd’hui et demain, comporte des points pour inciter à une réflexion sur cet aspect.

Comment régénérer – j’utilise un mot allusif – un code de l’utilité des opérateurs de communication, tels que je les ai déjà décrits professionnellement, en restant à l’écart de la croyance selon laquelle “il faut faire de la politique” mais en sachant aussi qu’il ne suffit plus de remplir des études et des rapports sans trouver ces chemins éducatifs par lesquels nous parcourons – ne serait-ce que de quelques centimètres – ce que, ici à Malte, il y a quelques jours, nos propres chefs de gouvernement considéraient comme – je cite entre guillemets – “une phase injustifiable de stagnation du processus décisionnel “.

Euro-Mediterranean conference on migratory communicationPromoted by Euromed, ICMPD, MC2, Club of Venice (EU Council) with the active participation of the Government of Malta-Ministry of Foreign Affairs with the patronage of the European Union

Valletta, 4-6 October 2023

Opening session

Speech by Stefano Rolando (President of the Club of Venice – European network of EU institutional communication managers)

Authorities, Representatives of the EU and the Government of Malta, distinguished Participants, dear Friends and Colleagues,

we are in a somewhat excited and at times even evolved phase of the international and therefore also European discussion on migratory processes. Processes that have kept hundreds of millions of the planet’s inhabitants mobile every year for years now, with the estimate that between now and 2040, 1 and a half billion human beings will migrate around the world. But at the same time we are in a static condition that responsible state representatives judged right here in Malta a few days ago to be “dangerous”.

The MED 9 conference has just concluded here in Valletta.

The Maltese Prime Minister said: “It remains that the issue as a whole still needs to be addressed at its root.”

During the work, agreements, advances and programmatic points were acknowledged (for example the 10 points presented by the President of the EU Ursula von der Leyen).

But in the end, among the participating prime ministers there were those who said:

• “We need to move towards a united European response” (the French president).

“For now the will is on paper” (the Italian president).

• “There is a lack of concrete emphasis on adaptation” (the Greek president).

Etc.

While I greet and thank all the participants, I will only say that my reflection concerns this conference of ours. Which allows two areas of professional operators in our Europe to deal with the migration issue by default but who – despite their commitment to communication – due to a certain ethic of the public function have more role in doing than in speaking.

I am not speaking in the name of my Italian citizenship, but as the founding president of an informal body made up of institutional operators who many years ago decided to create a close-knit discussion table to try to civilly harmonize a matter deeply linked to national demands and jealousy, telling their story experiences and interpretations without having to fear the rigid role of national flags. An apparently fragile paradigm. But in Europe with an investigative force that many commissions institutionally rooted – therefore with certain constraints – in Brussels do not have.

On the one hand we have gathered here today officials of substantially public trans-national organizations (in terms of mission, for an important part of their commitment) and then – as in the case of the Club of Venice – of a founding nucleus that is institutional and of a cooperating ring which is made up of experts and scholars.

Language, information, documents, dialogue, all of this has a different caliber for this type of subject from that of political apparatuses which express at the same time general interests but also positioning on issues that are very divisive today and on which the political struggle is very strong.

This theme of the double register, of the double paradigm, of communication on migration matters, is an important part of the matrix of the discussion that we have been carrying with us in our conferences since 2018, if I remember correctly, from Tunis.

We have neither the vocation nor the opportunity to launch ideological directions nor do we run the risk of constructing with words the articulation of the world between friends and enemies.

We are therefore more invisible, but at the same time, especially in certain moments, perhaps more useful, even if not decisive.

But we must look in the face with professional realism at the ambiguities and structural dualism that are part of the narratives and therefore in the terrain that generates the very sources of communication.

Which is almost never aseptic matter, almost never innocent matter.

There is therefore no problem of having to take sides – except when faced with irrevocable moral questions – even if it is necessary, in this field, to maintain a strong civil spirit that cannot be erased, dealing with such delicate matters regarding rights and ongoing tragedies.

However, we have a pressing task. That of building a production of “lògos” that can also shorten distances in phases in which the political conflict does not allow solutions. That is, generating a system for organizing data and explanations also aimed at citizens so that the motivated demand for sustainable solutions grows. In democracy the apparatus recognizes duties towards the institutions and equally (where generically regulated) towards the citizens.

When I refer to the conflictual issues there is not only what appears a little stereotyped compared to the contents increasingly regulated by the globalization of Northern Europe, Southern Europe and Northern Africa. Even if obvious anthropological differences persist.

There is also a continuing confusion between reality data and the perception of processes.

Regulatory insufficiency affects many things. Who should take care of the reception and with what rules?

If the purely security scheme prevails, we will also have to continue to deal with the tacit law of migrants to conceal all information at the border for reasons – so they believe – of defense. Throwing away documents, imaginatively declaring countries of origin, name and more. Including any information on real migration plans. Then rely on chance, rather than programming!

On balance, at the top of all the dualisms remains the one that is increasingly less understandable in this phase of analysis of the globalized dynamics of the planet, around which thousands of universities, disciplines and research move, with cultured personnel who know half the Bible. which speaks of migrations, therefore thousand-year-old things, which has today become both a cultural and political dualism.

In recent days, the former Italian Prime Minister Giuliano Amato, who was also vice-president of the European Commission which dealt without reaching the objective of constitutional treaties, said: “Today we welcome those who are persecuted by a regime and reject the fact that they are persecuted by hunger. It is unacceptable on a human rights level and Europe must get out of the misunderstanding.

However, other conflicts within our societies (citizens and business systems) fuel this misunderstanding. We are also talking about ruling classes, that is, aware ones, who for a long time have never said clearly what is now emerging more widely in every latitude of Europe. That is, admitting the reception numbers that would be necessary to maintain the physiology of employment turnover in the production and social security processes.

But dualism is generally social. And it largely depends on the dominance of perceptual data over statistical data. The wave has subsided a bit but the rumors of “invasions” and “waves” are still believed, so much so that it is no longer even impressive to see the real data of the very small island of Lampedusa which bears an unspeakable daily load only because of its geographic location.

The social dualism regarding migration is historical. With different nuances (the legitimacy or otherwise of the slavery of forced migrants) the Americans have built a civil war which is part of the constitutive identity of the State which now owes its multi-ethnic identity to migration.

These topics have already been part of our analyzes in recent years. Now dualism has become perfect: social, cultural, economic, political, institutional.

This social complexity of the conflict on migration policies must evidently motivate public action – that of study and investigation, that of planning and management of the rules, that of implementation accompaniment, that of explanation and public discourse – to work with the main subjects social groups attentive to the phenomenon. Until now, relations between institutions and social solidarity have developed. Today it is a necessary collaboration (even if it contains another area of conflict that requires appropriate clarification, that of the relationship with NGOs in the field of emergency assistance). But for the things said and for what will also be said in this conference, the multi-stakeholder partnership for nations and local authorities is ripe for discussion and an initiative plan that also converges with the business system. Not only limited to the third sector but concerning the entire planning of the future employment and production. This is why I find that the title given to this conference is not at all a technical profile. But a great opportunity to work with a great multiplication of resources, energies, arguments. In short, one of the many realities in which public communication and corporate communication (which also applies enormously to environmental sustainability, the digital transition and new forms of learning) must no longer be considered separate in terms of purposes and activities, but in dialogue and cooperation .

And this potential also concerns the shift of the investigative gaze. From our national borders to the ends of the world.

Those who, like me, have carried out on-site missions and analyzes on the formation of the youth and family migration process know that this threshold of investigation still has little media and public access.

The gaze comes into operation at our borders, not at the origin. It is a basic issue about the originating factors of news, which concerns international journalism that we must discuss. I remember the beautiful initiative that ICMPD developed with young, mostly independent journalists.

This is the ground that holds back any option even invoked.

When the medium-term demographic forecasts come to fruition, there will be no more options to discuss.

I come to the conclusion. It is clear that the public service function that our worlds gathered here represent affects the problem of carrying out skills in this slippery framework.

The conference programme, today and tomorrow, has points to encourage some analysis on this aspect.

How to regenerate – I use an allusive word – a code of the usefulness of communication operators, as I have professionally described them before, staying away from the belief of “having to do politics” but also knowing that it is no longer enough to just fill studies and reports without finding those educational paths through which we walk – even for a few centimeters – what here in Malta a few days ago our own heads of government considered an – I quote in quotation marks – “unjustifiable phase of decision-making stagnation”.

​Breve replica al termine dei lavori

Nello svolgere poco fa a La Valletta, insieme alla d.g. del Ministero degli Esteri maltese Christiana Caruana, le conclusioni della conferenza euromediterranea su comunicazione e migrazioni , ho tralasciato di tornare sui temi discussi e su alcuni argomenti che ho contribuito a porre alla apertura dei lavori, per limitare il pensiero riassuntivo a queste parole:

Le nostre discussioni soprattutto sul tema della responsabilità civile degli operatori pubblici (categoria che non comprende solo i funzionari dello Stato) e sul tema della priorità della comunicazione pubblica di ridurre nel trattamento delle migrazioni l’ eccesso di ruolo della percezione rispetto alla circolazione di dati reali e statistici sui processi in atto, questa conferenza non può che accogliere con emozione la notizia della giornata, che investe la pluralità delle ragioni che nel mondo danno origine a flussi crescenti migratori (mi riferisco alla mancanza riconosciuta di libertà, di alimentazione, di salute oltre a soprusi e violenze) in ordine a cui il Comitato di Oslo, su 300 candidature valutate, ha assegnato il Nobel per la pace a Narges Mohammadi, donna iraniana di 51 anni, vicepresidente in Iran del Centro per i Diritti Umani, arrestata nel maggio 2016, torturata, con 150 frustate subite e 31 anni di prigione assegnati, con tutta la sua famiglia costretta ad emigrare, nel segno di una speranza per lei, per le donne iraniane da tempo in lotta e per l’immensa casistica planetaria della più grave delle disuguaglianze, quella della ingiustificata privazione di ogni diritto”.

Narges Mohammadi

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