Podcast n. 63 – Il Mondo Nuovo – 8.10.2023 -Lettera da Malta – Quando la “migrazione” è ancora soprattutto “percezione”

Conferenza euromediterranea su comunicazione e migrazioni – La Valletta, Malta 5-6- ottobre 2023

All’uscita dal Parlamento maltese

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Stefano Rolando

Già una volta – nel novembre dello scorso anno – mi è capitato di utilizzare questo podcast per  una “lettera dal Mediterraneo” (allora ero in Marocco), cioè dalle tante città in cui la parola “migrazioni” non può essere nascosta. Anche quella volta era per una conferenza euromediterranea su “comunicazione e migrazioni”, in cui si capisce come evolvono narrazioni, linguaggi, sistemi di informazione, rapporto tra istituzioni e cittadini, evoluzioni della politica.

Oggi a Malta, alla Valletta.

Pieno Mediterraneo, 135 km sotto la Sicilia, un po’ più a est di Lampedusa, così da avere Malta un diverso destino rispetto alla nostra martoriata Lampedusa. E sede una settimana fa di una conferenza di capi di governo dell’Unione Europea – Med 9 – che non ha concluso gran che. Il primo ministro maltese ha chiuso i lavori dicendo “La questione nel suo complesso deve ancora essere affrontata alla radice”.

Quando la politica non decide, la comunicazione soprattutto pubblica stagna.

E ai media non resta che correre dietro alle emergenze, agli allarmi, a piccole e grandi tragedie.

In un caso e nell’altro l’effetto è di disorientamento e di paura.

E in  questo clima c’è chi cerca soluzioni e chi cavalca politicamente le paure.

Ormai è una storia che si ripete da anni.

Ma andiamo per ordine.

Sono stato più volte a Malta. Sempre per conferenze e meeting. Insomma, cose poco turistiche. E ogni volta ho fatto un pensiero per gli splendidi quadri di Caravaggio che l’isola custodisce (uno fu rubato e poi ritrovato dopo due anni un po’ di tempo fa). Senza mai vederli da vicino. Questa volta ho avuto il tempo di farlo. E comincio da qui. Perché in un certo senso Caravaggio è stato il simbolo, al contrario e a suo modo , delle emigrazioni per fuggire a rischi e pericoli. Dall’Italia su cui pendeva una condanna a morte della giustizia Vaticana per avere ucciso un uomo a Roma in una rissa, fino a quel punto del Mediterraneo che aveva visto tutto passare, tutti occupare, tutti dominare e poi fuggire. Nei secoli i fenici, poi i romani, poi gli arabi, poi i normanni. Finché i Cavalieri Ospitalieri di San Giovanni presero l’isola come propria sede gestendola per tre secoli, respingendo l’assedio dei turchi, cedendo a Napoleone e alla fine dell’Ottocento finendo sotto gli inglesi, che diedero a questa isola,  grande due volte l’Elba oggi con  mezzo milione di abitanti, ancora con nomi e usi della vicina Sicilia, lingua e costumi moderni anglosassoni (tra cui la guida a destra). Malta ebbe l’indipendenza nel 1964 entrando poi nel 2004 nell’Unione europea.

Fatemi fare questa piccola digressione su Caravaggio, per l’emozione di vedere i suoi dipinti custoditi nella suntuosa Con-Cattedrale cattolica di San Giovanni , l’altro ieri durante un concerto per arpa e violoncello con una soprano celestiale e una voce narrante che raccontava la storia drammatica del fuggiasco pittore milanese (in realtà battezzato nella parrocchia di Santo Stefano maggiore, che per anni si è ritenuto nato a Caravaggio da qui il suo nome, scritto maiuscolo nella storia dell’arte, potente narratore dei chiaroscuri, anti-accademico, anti-raffaellita, anticipatore del barocco.

Il Gran Maestro dei Cavalieri di Malta gli aveva fatto intravedere la possibilità, in cambio dei suoi quadri lì dipinti tra il 1607 e il 1608,  di diventare lui stesso “cavaliere di Malta”,  titolo che gli avrebbe annullato la pena capitale che lo perseguitava. Lui diede al suo straordinario San Gerolamo scrivente davanti ai simboli della morte il volto del Gran Maestro. E questi lo fece “cavaliere”, ma di serie B. Il titolo esatto era  “cavaliere di grazia”. Così da avere magari sconti ai teatri ma nessun habeas corpus del Vaticano. Si arrabbiò, si infuriò, sbattè la porta. E tornò fuggiasco ancora in Italia dove errò un po’ lontano da Roma e finì per morire non ancora quarantenne vicino a Porto Ercole.

Fine della digressione. Come si vede non tutti i migranti sono uguali.

Alcuni sono famosi, altri sono solo numeri. Alcuni fuggono per ragioni di libertà, altri per fame, per salute, per storie di famiglia.  La Bibbia ha raccontato di interi popoli migranti. La storia ci ha consegnato, per esempio,  le vicende di metà degli italiani migrati dunque in massa nel quarantennio a cavallo tra l’800 e il 900. Allora poveri , con molte sofferenze subite. Oggi si direbbe “migranti economici”. Poi alla quarta, quinta generazione divenuti classe dirigente in molti paesi. Dopo avere aiutato l’Italia a crescere con le loro rimesse.

Questa storia mi fa partire – per raccontarvi dei temi migratori discussi a Malta – dal riprendere un’altra notizia di questi giorni, che per la verità non ha fatto notizia come la precedente. Mi riferisco all’intervista (ormai mensile) del presidente Giuliano Amato a Repubblica (due volte capo del Governo e presidente emerito della Corte Costituzionale) che in precedenza, parlando dei misteri di Ustica ha sollevato consensi e dissensi in una polemica da prima pagina, e che questa volta – dicendo una cosa che nella sua verità dovrebbe avere senso comune e invece produce silenzio politico e quindi anche sociale – ha detto:

“Oggi si accoglie chi è perseguitato da un regime e si respinge che è perseguitato dalla fame. È inammissibile sul piano dei diritti umani e l’Europa deve uscire dall’equivoco”.

Già, ne parla la Bibbia, ne parla la storia moderna di mezza Europa (Italia, Germania, Portogallo, Irlanda tra i primi grandi esportatori di esseri umani). Ma non ne parla la politica che oggi governa.

Così è stato anche alla conferenza di Med 9 a Malta. Che non ha consegnato nessuna decisione importante alla successiva conferenza più tecnica sulle comunicazioni.

Come si sa bene: politiche sospese, comunicazione al palo.

Così i media ne approfittano per raccontare cose per altro vere. Ma trasformando il cromatismo stesso della vicenda. Divisioni, allarmi, naufragi. Riappare la parola – falsa ma percettivamente vera – “invasioni”.

Ciò che – nelle stesse due righe di Amato – potrebbe essere oggi in sostanza fisiologia del problema (come lo è stato nei suoi lunghi anni di governo per Angela Merkel) si trasforma giorno per giorno in benzina incendiaria.

Questa rappresentazione – che avviene anche su media per così dire moderati e con buoni propositi – finisce per essere la fonte delle paure e l’alimentazione di quella politica che non ha alcuna intenzione di trovare soluzioni, di nessun tipo, perché essa campa sulle incertezze dei governi e sulla percezione allarmata degli elettori. Italia, Francia, Grecia ma anche Ungheria, Polonia, eccetera, il tema è stato travasato in una perenne patologia capace di spostare baricentri elettorali favorendo derive nazionaliste ma soprattutto razziste.

Nel parlarne nella più piccola conferenza tra operatori che ho contribuito a organizzare mi sono chiesto come mai la comunicazione di impresa non sia veramente scesa da tempo in campo per aiutare a riequilibrare le cose verso la fisiologia dei processi (regolarizzare non dire vuol dire subire, vuol dire gestire).

Le imprese ammettono che oltre il 20% del turnover occupazionale è scoperto perché gli europei non vogliono più fare certi lavori (e in parallelo che manca all’appello della  futura previdenza almeno il 20% di contributi). Ma poi non vogliono contraddire le derive reazionarie di alcuni governi con cui devono fare patti tutti i giorni e così la loro voce diventa  flebile (salvo in  alcuni territori dove le cose stanno cambiando per necessità).

Insieme alla comunicazione sociale ci sarebbe un soggetto civile importante per molti degli aspetti della regolarizzazione in senso selettivo, formativo, distributivo. Anche qui questo ruolo è sottaciuto e si parla solo delle ONG che aiutano i salvataggi emergenziali.

Insomma, tutto ciò che farebbe notizia fisiologica è tendenzialmente  accantonato, tutto ciò che fa chiasso e paura è enfatizzato.

Ed è sulla base di questo ragionamento che nel mio contributo introduttivo ai lavori a Malta ho messo l’accento sulla necessaria svolta della responsabilità civile degli operatori pubblici (che non sono solo i funzionari di Stato, ma anche medici, insegnanti, assistenti sociali, ambientali, culturali).
Se si attivasse un po’ di sussidiarietà, prevista costituzionalmente, si troverebbero rapidamente cose interessanti da fare:

  • Istituire tavoli di iniziativa tra amministrazioni, imprese e soggetti sociali che potrebbero diventare stabili.
  • Aprire un fronte di lavoro con i media disponibili e soprattutto con il diffuso giornalismo online per diverse narrazioni.
  • Agire civicamente  – molto spesso coperti dalle amministrazioni territoriali – per risolvere problemi non per enfatizzarli.


Penso fortemente che la percezione manipolata non sia un paesaggio immoto da contemplare.

Penso piuttosto che sia una distorsione artificiale da rimuovere, da cambiare. Una vera e propria anti-modernità da combattere. Meno sondaggi e più dati statistici. Meno narrative pilotate e più storie vere.

Tra cui naturalmente ci sarebbe posto anche per tanti legittimi interrogativi attorno ai processi di integrazione.

Il tema era stato percepito anche dagli organizzatori della nostra conferenza intitolata al Partneriato multi-stakeholder nel campo comunicativo sulle migrazioni. Poi se ne è parlato poco perché, con i chiari di luna che la politica europea ha prodotto, resta debole anche il commitment per promuovere ricerca e iniziativa grazie a strumenti di questo tipo. Che io percepisco non solo come multi-stakeholder ma anche multi-target.

Perché enorme è il problema di parlare in altro modo ai cittadini. Ma c’è anche il tema della comunicazione inter-istituzionale  (che segue altri percorsi) e soprattutto il problema di parlare non solo il linguaggio di polizia con i migranti. L’ho sperimentato in  ricerche sul campo. La securizzazione integrale delle frontiere migratorie senza operatori sociali e mediatori culturali davvero impiegati, oggi produce l’effetto che nessuno arriva con i documenti in mano (gettati in mare un chilometro prima, se si è portata a casa la pelle), nessuno dice il paese di provenienza, nessuno dice il proprio nome vero, nessuno racconta i veri piani migratori (che basterebbe conoscere quelli che sono già in partenza previsti, per sgonfiare  ormai diatribe intra-europee coniate ad arte).


Siamo ancora in tempo per una virata di cooperazione attiva per non essere sommersi dall’uragano segnalato.

La curva demografica insieme alle valutazioni socioeconomiche racconta che da qui al 2040 andrà in mobilità forzata 1 miliardo e mezzo di esseri umani.

È chiaro che, se si resta a non fare nulla, a non decidere nulla, tutto sarà subito con decisioni assunte in sede globale dai maggiori pochi global player del pianeta. Non certo da noi. Quando nel quadro del Mediterraneo – per storia e per geografia – un paese come  l’Italia potrebbe avere grande ruolo a condizione di avere una politica attiva orientata nel senso migliore sia della storia che della geografia.

Politica che non pare quella che va di moda.

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