
Con questo titolo venerdì 10 novembre 2023 si è svolta al Teatro Verdi di Pordenone (nella foto) la presentazione di una ampia ricerca promossa dallo stesso Teatro Verdi e svolta da Andrea Maulini (Profili), dedicata ad analizzare oggi e in prospettiva il rapporto tra il teatro, la sua offerta e i suoi pubblici, nel quadro del sistema culturale della città e del suo contesto territoriale. Ha introdotto i lavori il presidente del Teatro Verdi Giovanni Lessio, ha moderato la tavola rotonda Giovanni Carta (capo ufficio stampa del Sindaco di Firenze ed esperto di comunicazione culturale), Andrea Maulini ha presentato i principali esiti della rilevazione commentata da Paolo Dalla Sega (docente di “Valorizzazione urbana ed eventi” all’Università Cattolica di Milano) e da Stefano Rolando (docente di Comunicazione pubblica e Public branding all’Università IULM di Milano, presidente della Fondazione “Paolo Grassi” e membro del CdA della Fondazione Milano-Scuole civiche dello spettacolo). Ha concluso i lavori – a cui ha partecipato anche il vicepresidente e assessore alla Cultura della Regione Friuli Venezia Giulia Mario Anzil – il sindaco di Pordenone Alessandro Ciriani. Segue qui il testo – nella versione originariamente predisposta – dell’intervento di Stefano Rolando.

Giovanni Carta, Stefano Rolando, Giovanni Lessio, Marika Saccomani, Andrea Maulini, Alessandro Ciriani, Paolo Dalla Sega

Il sindaco Ciriani alle conclusioni della tavola rotonda
Obiettivi e condizioni della rigenerazione culturale urbana e territoriale
Stefano Rolando
La ricerca svolta e presentata da Andrea Maulini, su lodevole intuizione del presidente del Teatro Verdi di Pordenone Giovanni Lessio, corrisponde a un obiettivo molto importante per la nostra realtà culturale radicata nelle città e nei territori.
Dare connessione a soggetti e ambiti spesso troppo separati oppure casualmente accoppiati. Il teatro ( nel caso di Pordenone e di molte altre città, i teatri), altre imprese culturali, le istituzioni, le rappresentanza sociali, gli ambiti di formazione e di alfabetizzazione culturale, i media, le fonti dell’ attrattivita’.
E – come un filo rosso che attraversa tutto – il pubblico.
Insomma, per usare il titolo di questo nostro incontro, ci si pone il tema – oggi, dopo la pandemia, nel quadro di irrisolti e di potenzialità di questo settore – se è possibile “fare sistema”. Che in questo caso si chiama “sistema teatro” perché è una importante organizzazione teatrale a porsi il problema di andare verso un modello di rete e traino più ampio. Altrove potrebbe anche chiamarsi “sistema museo” o “sistema eventi” o “sistema arte”, dal momento che contano le intuizioni, contano i progetti di chi e’ in condizione di far partire, appunto in forma stabile e modellistica, il “sistema delle connessioni culturali”.
Meritorio porsi questo obiettivo, cioè il misurarsi con limiti e opportunità di un ambito territoriale – che e’ parte della membership, non solo fornitore di pubblici – e avere fin da ora interlocuzione con le istituzioni per fare incamminare opzioni concrete.
Partirei dalla retorica per cui , in un paese come il nostro e con la sua poderosa storia di centralità culturale, a un certo punto si è venuta formando l’opinione che la cultura costa troppo e rende poco. Cioè che con la cultura “ non si mangia”. Lasciamo perdere la polemica su chi lo ha detto ( il sospettato ha più volte smentito), ma è certo che la diceria ha molto girato e molti amministratori pubblici vi hanno dato retta. Naturalmente si sono create e dimostrate le opinioni opposte. E cioè che la cultura non costa molto ma, soprattutto nelle dinamiche territoriali, rende molto. Cioè – qui dico io, pagata il giusto – è un forte attore del cambiamento, dell’adattamento alle trasformazioni generali , dei nuovi processi di attrattivita’.
Vorrei provare a dare, su questa base, la mia risposta al quesito di questa tavola rotonda, che e’ poi anche la domanda posta da Giovanni Carta, nostro moderatore.
Per le esperienze che ho svolto – aziende culturalmente significative, istituzioni centrali e territoriali , universita’, fondazioni – provo a pescare alcuni argomenti per inquadrare questa meritoria iniziativa in un contesto più generale.
Il governo di emergenza dei due anni passati ha fatto una cosa metodologica che non deve passare sotto silenzio. Ha messo le transizioni – tendenzialmente globali – che stiamo attraversando al centro di una sorta di “piano superiore” di concertazione governativa ( anche con gli occhi al PNRR): quella digitale, quella ambientale, quella sanitaria e quella della relazione tra sviluppo ed equità (economia e lavoro). Avrei anche aggiunto quella culturale e dei processi di alfabetizzazione ( dunque rinnovamento anche della scuola, come molti hanno detto). È chiaro che per transizione si deve intendere un porto abbandonato e un punto di arrivo incerto. Ed è in questa condizione che qui credo parliamo oggi.
Il viaggio – stiamo al campo di indagine qui in discussione – avviene in pre-condizioni di cui è bene avere cognizione.
- La trasformazione digitale cambia la tecnologia, da mezzo ad ambiente. Non tramita soltanto. È contesto cognitivo e funzionale. Trasforma tutte le fruizioni di prodotti industriali e obbliga ad una nuova strategia sociale le attività fondate sulla creatività legata alla partecipazione, ai rapporti interpersonali, alla fisicità dei consumi culturali
- La globalizzazione – accettata in generale per i consumi di massa – spinge a generare attenzione per i processi identitari legati ai rapporti con i territori di appartenenza. E qui quella che chiamiamo “tradizione “ va molto ridefinita. Non e’ la semplice riedizione delle fotografie in bianco e nero. Non è riportare in salotto le cose in soffitta. E’ dentro un complesso contesto di rigenerazione ( pensiero, nuova interpretazione, spiegazione) che ha a che fare con valori materiali e immateriali che devono trovare le giuste narrative e non un localismo sterile.
- Questa parola di moda, rigenerazione (in voga molto tra gli urbanisti anche se i sociologi la interpretano come “risignificazione”) – ne ha fatto cenno Paolo Dalla Sega – è una cornice importante della nostra riflessione, su cui dobbiamo però ammettere che spesso poggia su due fattori ancora molto fragili: la scarsezza delle risorse finanziarie pubbliche per la cultura ( che in alcuni casi coincide con l’incursione a volte speculativa altre volte virtuosa delle risorse private) ; la difficolta tecnico-professionale delle pubbliche amministrazioni di fare regia attiva nella progettazione (che può essere un riconosciuto e poderoso argomento che sollecita il “fare sistema”).
- E qui entra in campo un concetto costituzionalizzato ma ancora faticosamente attuato: la sussidiarietà. Tutto quel che abbiamo detto spinge gli attori realmente in campo ad ampliare la propria mission in un ambito che appunto chiamiamo “sussidiario”. Cioè, la connessione virtuosa di quegli ambiti di cui si è detto che sono casualmente connessi: le amministrazioni, ovviamente, perché e’ necessario legittimare le scelte e riportarle alla bussola della identità competitiva; la filiera formativa per adeguare i profili professionali; il privato sociale ( fondazioni e consulenza) per presidiare la progettazione; l’impresa interessata (molte forme di economia immateriale, molti servizi, il sistema mediatico, eccetera) per integrare le risorse, gestire i servizi e altro (interessante lo spunto della ricerca che ha segnalato Andrea Maulini sulla fine della pura sponsorizzazione ma con la diffusa segnalazione delle imprese di volere essere partecipi al processo progettuale di questo rinnovamento)
- La partita si sposta così sui territori che autonomamente non aspettano dalla luna indirizzi ad una uscita dalle transizioni che – regola numero uno – è fondata su una competizione non dichiarata ma necessaria. In questa vicenda – che corrisponde diciamo ad alcuni spunti della ricerca che il Teatro Verdi ha promosso – prendono forma varie piste concrete che corrispondono ad altrettanti cantieri possibili del “ fare sistema”: i nuovi apprendimenti; la sperimentazione; l’intesa sulle fonti finanziarie; le sfide concrete ( ovvero la definizione condivisa degli obiettivi ) con strategie a medio termine.
Proviamo a far cenno anche ad alcuni dei possibili obiettivi per portare lo sguardo alla necessaria fuoriuscita dalla operatività di routine, per collocare gli “attori del sistema” in una sorta di piano parallelo rispetto all’ordinaria amministrazione:
- lavorare in rete ai dossier di candidatura connessi al tema “capitali della cultura”, su cui il pragmatismo e la competenza del soggetto trainante è decisivo, dal concept alla progettazione tematica e finanziaria;
- lavorare alla fondazione o all’ ampliamento di festival e comunque ambiti di nuova specializzazione;
- lavorare sulla formazione di futuri pubblici (in particolare i bambini);
- porsi il problema concreto della reinvenzione dei gemellaggi, che comporta la profonda revisione dei modelli turistici e di immagine attuali;
- soprattutto mettere mano alla costituzione di reti stabili di cooperazione per la gestione dei progetti, ma anche della reputazione e della attrattività territoriale (tema su cui si innesta la possibilità di dare sviluppo a politiche di public branding).
In ordine, infine, allo specifico trattamento delle ricerca di Andrea Maulini, vorrei in conclusione fare brevissime chiose pensando a – come la sua ricerca esprime – cosa implementa la ricerca delle prospettive: futura mission, futura offerta, futuro pubblico.
- La storia degli organizzatori culturali italiani ed europei ( la memoria va al capostipite novecentesco di questa complessa professionalità, che fu Paolo Grassi) che aggiorna in ogni tempo il tema di cercare nuovi pubblici ponendosi il problema della mobilità anche dell’offerta.
- Capire ( di conseguenza) che esistono spazi rituali ma anche spazi irrituali, per immaginare fruizioni culturali coerenti con il cambiamento sociale.
- Lavorare sull’ articolazione necessaria delle narrative, concetto più ampio della “comunicazione” che affianca questo processo e che va ovviamente oltre alla funzione della “critica” di genere).
- Approfondire i bisogni per target generazionale. Non solo il tema dei giovani, ma anche quello della generazione intermedia lavorativa e, in un chiave nuova e adeguata a potenzialità spesso trascurate, il tema degli anziani.
- Andare oltre il semplice nesso amministrativo Teatro/ Comune per disegnare la forma della nuova membership.
- Riassuntivamente: lavorare concettualmente ma anche pragmaticamente sui percorsi possibili per la rigenerazione identitaria.
Il Gazzettino – Cultura e spettacoli. 11.11.2023

Messaggero Veneto, 11.11.2023
