Presentazione al Circolo e Centro Studi “Emilio Caldara” (Milano 17.11.2023) del libro di memoria, ricerca e devozione personale di Biagio Longo (Guerini editore, 2023).

L’intervento di Stefano Rolando
Avevo fatto “a caldo” una piccola recensione al libro di Biagio Longo, scrivendo che si tratta di un testo “voluminoso, denso, narrativo, affettivo, interpretativo e identitario”.
Lasciamo qui perdere il volume e la densità. E anche la narratività (che passa attraverso testimonianze).
Mi soffermo un momento sui caratteri dell’interpretazione e dei profili identitari.
Il libro avvolge una storia personale (1943-2012, una generazione , insomma, che ci riguarda) in tre grandi storie che potrebbero andare tutte per loro conto:
- la storia dell’autonomia energetica italiana (che offre il destro per il sottotitolo e di cui Walter Marossi ha appena raccontato le origini nel primo ‘900);
- la storia della classe dirigente lombarda (che riguarda proiezioni nazionali del livello di Vanoni piuttosto che di Saraceno, ma che riguarda anche la tela di valorizzazione dei talenti che Milano ha esercitato nel ‘900 rispetto alla Lombardia profonda);
- la storia del sistema-Milano, fatto dorsalmente dal Comune e dall’evoluzione delle sue municipalizzate (che altro diventeranno nel tempo) in cui l’accento può passare dal carattere pubblico al carattere privatizzato, ma restano immutate almeno due cose:
- la dimensione identitaria del servizio pubblico,
- l’efficienza organizzativa e finanziaria che connota i brand e la dimensione profondamente industriale nella quale la storia degli ingegneri del Politecnico si salda con la storia della cultura tecnologica che avvolge il riformismo turatiano in tutto il Novecento).
Essendo poi evidente che quel “sistema Milano” per essere tale con evidenza riguarda anche il privato imprenditoriale e sociale.
Questi tre veri e propri romanzi delle nostre radici recenti, ho letto questo libro pensando che avrebbe avuto un gran senso presentarlo qui al Caldara, con gli amici che sono previsti nel panel di oggi in cui Comune e cosiddette Municipalizzate sono ambiti di responsabilità e di governo intrecciati.
Giampiero Borghini ha dato poco fa un felice punto di sintesi tra la storia generale (che ha chiamato “il potere di chiamata dell’agenda che è fatta dalla città stessa”) e la storia particolare, in particolare riferita al suo breve periodo di sindacatura, con dettagli molto interessanti e anche con l’intreccio personale con la figura di Giuliano Zuccoli.
Poi nel libro c’è un’ultima ponderosa parte – quella dei suoi discorsi e delle lettere agli azionisti, che riempiono un terzo del volume – che va segnalata. La retorica pubblica è una mia specialità disciplinare. Temevo che la retorica (si dice così anche quando non è “retorica”) degli ingegneri mi deludesse un po’ (lo dice lo stesso Biagio che Zuccoli era uomo del fare e non del dire).
La pregiudiziale è ché temo sempre che i vincoli dei parlare nei consigli di amministrazione e non nelle piazze freni il vocabolario e quindi sottometta le parole ai numeri.
Ma devo ammettere che la cultura dei ragionieri che ha fatto grande Milano (ossatura della cultura della mia famiglia paterna, con mio nonno in testa che ebbe responsabilità nella ragioneria del Comune degli anni ‘20 e ‘30) permette di pensare che anche una chiosa di bilancio può diventare il frammento di un’epopea.
Ho conosciuto l’ing. Zuccoli quando la sua fama era già compiuta.
E vengo con due parole alla persona. Altro profilo identitario: i milanesi ariosi.
I milanesi ariosi si riconoscono al volo per un’apparente ruvidità, una sostanziale franchezza, la capacità di conservare una gerarchia tra la natura (la Lombardia) e i marciapiedi (Milano).
Gerarchia che il milanese puro non prende nemmeno in considerazione (mio padre, nato dietro Porta Vittoria, attraversava quotidianamente le brume per raggiungere le aziende distribuite a raggio in due altre province, ma credo che uniformasse alla vista e nel giudizio gli alberi ai pali della luce).
In questo libro ci sono tutte le informazioni che completano i giudizi sommari di quella conoscenza, trovandoci anche risposte a quesiti importanti:
- sui percorsi formativi;
- sul rapporto “leggero” tra la competenza tecnica e la politica (molti dei presenti hanno storia per raccontare meglio questo complesso rapporto e in particolare il prof. Roberto Tasca ha argomenti di esperienza personale per aggiornare questo rapporto che oggi si deve anche; confrontare con l’opinione di chi – come, per esempio, Enrico Giovannini – che ha scritto un libro per dire che “i governi tecnici non esistono”).
- sul significato che l’espressione di “patrimonio simbolico” – che uso spesso per definire un brand urbano, che è la materia di cui mi occupo di più – ha, a Milano, un perimetro diverso rispetto a quasi tutte le altre belle e grandi città italiane.
La domanda che mi sono fatto, una volta letto il libro, ma qui ci sono autorevoli interlocutori a dircelo (tra cui diciamo il successore stesso di Zuccoli cioè il prof. Tasca), se una generazione di tecnici di quel livello, di quella passione per le grandi cause che stanno di fronte ai destini delle loro aziende (parliamo in questo caso della autonomia energetica dell’Italia!), per il rapporto teso con il loro azionista fatto di dialogo vero e ciascuno con la sua competenza, insomma tutto ciò che appassiona la lettura storica del passato prossimo in cui c’è anche la nostra vita, se, appunto, tutto ciò esiste ancora.
Ho trovato mirabile in proposito, anche per alcune cose che non condivido del tutto, il racconto-intervista che fa nel libro Gabriele Albertini.
Beppe Sala nella prefazione parla del manager (che era in squadra con lui in A2A, uno come ad, l’altro vicepresidente) come “figura di portata storica”.
E infatti la scrittura di Biagio non si sogna nemmeno di fare il verso agli ingegneri, meno che mai ai bocconiani. Racconta delle storie.
Le colora con la devozione dell’ex-collaboratore, che torna sulle carte quando la vita non ti dà più le risposte in diretta.
Ma con il grande pregio di farti credere in copertina che si tratti della storia di un montanaro che scala il potere come una montagna. Mentre alla fine questa è la storia di una trama corale, appunto, di una classe dirigente che non ha bisogno che si riscopra oggi cosa vuol dire “l’interesse nazionale”, essendo quello il pensiero di una bella generazione che applicava quel valore giorno per giorno alla sua Morbegno, alla sua Lombardia, alla sua capitale industriale, a tutta l’Italia. Esattamente il paradigma così ben descritto da Piero Borghini nel suo intervento.
